Intervista a Monsignor Giuseppe Casale : “Lasciamola morire in pace come facemmo con Giovanni Paolo II” (La Stampa, 5 febbraio 2009)
Mi sento vicinissimo a papà Beppino. Quella di Eluana non è più vita, porre termine al suo calvario è un atto di misericordia». Nel pieno della mobilitazione cattolica contro la «condanna a morte» della Englaro, l’arcivescovo Giuseppe Casale prende le distanze dall’«accanimento contro un povero corpo martoriato, tenuto artificialmente in un limbo».
Lasciar morire Eluana è carità cristiana? «Sì. Non è tollerabile accanirsi ancora né proseguire questo ormai stucchevole can can.
C’è poco da dire: l’alimentazione e l’idratazione artificiali sono assimilabili a trattamenti medici. E se una cura se non porta alcun beneficio può essere legittimamente interrotta. Perciò, lasciamo che Eluana termini i suoi giorni senza stare lì a infierire senza alcun esito né speranza di guarigione. Si è creato il “caso Eluana” agitando lo spettro dell’eutanasia, ma non qui si tratta di eutanasia. Alla fine anche Giovanni Paolo II ha richiesto di non insistere con interventi terapeutici inutili. Vedo quasi il gusto di accanirsi su una persona chiusa nella sua sofferenza irreversibile».
Vaticano e Cei combattono una battaglia durissima. «Dovremmo smettere di agitarci contro i mulini a vento e chiederci se quella della Englaro sia realmente vita. Una vita senza relazioni, alimentata artificialmente. non è vita. Come cattolici dovremmo interrompere tutto questo clamore e dovremmo essere più sereni affinché la sorte di Eluana possa svilupparsi naturalmente. I trattamenti medici cui è stata sottoposta non possono prolungarle una vera vita, ma solo un calvario disumano. E’ giusto lasciarla andare nella mani di Dio. Invece di fare campagne bisognerebbe accostarsi con pietà cristiana alla decisione di un padre».
Perché non è eutanasia? «L’alimentazione artificiale è accanimento terapeutico, se la si interrompe Eluana muore. Rispettiamo le sue ultime volontà e non lasciamo solo quel padre che, appena si saranno spenti i riflettori di una parossistica attenzione, sarà in esclusiva compagnia del suo dolore. Io lo comprendo, prego per lui, gli sono vicino. Neanche io vorrei vivere attaccato alle macchine come Eluana, anche per me chiederei di staccare la spina. Proprio perché crediamo che la morte non abbia l’ultima parola, dobbiamo inchinarci al suo mistero, invece di nasconderci nelle dispute tecniche. Eluana non c’è più da tanto, da molto tempo prima della rimozione del sondino che simula un’esistenza definitivamente svanita».
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