L’intera esperienza personale nel campo della tossicodipendenza – dal Progetto giovani a scuola, all’inizio degli anni novanta, alla ventennale conduzione di un Centro di ascolto – è stata segnata da un principio educativo che era stato posto alla base delle strategie preventive di quegli anni: la pedagogia preventiva era centrata sulla persona, sul suo disagio; a causa del sociologismo di origine ‘sessantottina’, per cui la ‘colpa’ era sempre della società, si era esagerato andando nella direzione opposta, cioè si era trascurata l’influenza dell’ambiente e della cultura. Tutto nascerebbe dall’individuo, dal suo temperamento, da una inadeguata percezione del rischio, dalla debolezza del carattere…
In questo modo, abbiamo costruito una scuola senza contesto – il nesso scuola-territorio non è stato più curato con convinzione – e abbiamo lasciato la famiglia senza ancoraggi. Quest’ultima è stata caricata di responsabilità che non è in grado di soddisfare: si oppone alla scuola, che è la sola agenzia di socializzazione credibile, da cui si è separata, credendo di avere il monopolio dell’educazione dei ragazzi, mentre essi ricevono ancora un sano orientamento solo dalla scuola laica, se riuscirà a sopravvivere all’opera di destrutturazione a cui la sottopone la destra eversiva al potere in Italia.�
Le persone sono rimaste sole davanti al loro destino. A stento riconosciamo l’influenza dei modelli culturali sui disturbi alimentari!
Non ho mai condiviso tale impostazione, per la sua unilateralità, che ho dovuto seguire a Scuola e nei Servizi, ancorché a malincuore.
La mappatura del genoma umano ha portato ad escludere che ci sia l’azione dei geni alla base delle dipendenze. E questo è un punto di chiarezza per noi.
Nel 1992 Rita Levi Montalcini chiese che si facesse ricerca sulle basi biologiche delle dipendenze: i giornali del giorno dopo scrissero che Rita Levi Montalcini aveva sancito che la base delle dipendenze è genetica! Il disinteresse che il capitalismo di rapina dimostra nei confronti delle sofferenze delle persone – la persecuzione del ‘drogato’ è ancora rituale!: serve a coprire l’ideologia criminale che è alla base della politica oggi, ché si riduce alla manipolazione delle coscienze, al fine della perpetuazione del potere personale di singoli individui malati – costringe a fare altre scelte. Mentre la medicina delle tossicodipendenze segue con affanno lo sviluppo della sensibilità ai problemi dell’uomo, occorre seguire altre strade, per aiutare veramente le persone a non cadere dalla padella di una pedagogia defunta alla brace di una criminalizzazione spinta dei disturbi tossicomanici.
E’ di poche settimane fa la ‘scoperta’ da parte mia, ne L’anima del mondo e il pensiero del cuore di James Hillman, di questo pensiero, a me familiare da sempre:
La mia impressione è che oggi i pazienti abbiano una sensibilità che non trova un corrispettivo nel mondo in cui ciascuno di essi vive. Anziché essere i pazienti incapaci di percepire e di adattarsi «in modo realistico», è la realtà dei fenomeni del mondo che sembra incapace di adattarsi alla sensibilità dei pazienti. Mi lascia esterrefatto vedere tanta vita e bellezza nei pazienti a fronte del mondo morto e brutto in cui abitano. L’acuita consapevolezza delle realtà soggettive, quell’affinamento dell’anima che è derivato da un secolo di psicoanalisi, non è più commensurabile con l’ottusità della realtà esterna, la quale, nei medesimi cento anni, si è mossa invece verso una brutale uniformità e una qualità sempre più degradata.
Quando dico che i disturbi dei pazienti sono reali, intendo dire che sono realistici, proporzionati al mondo esterno. Intendo dire che le distorsioni della comunicazione, il senso di vessazione e di alienazione, la perdita di intimità con l’ambiente immediato, l’impressione di falsi valori e di futilità interiore che a ogni istante viviamo in questo nostro mondo sono valutazioni autentiche e realistiche e non mere appercezioni intrapsichiche. La mia pratica analitica mi insegna che non è più possibile distinguere nettamente tra nevrosi dell’individuo e nevrosi del mondo, tra psicopatologia dell’individuo e psicopatologia del mondo. Non solo, mi insegna anche che, a situare la nevrosi e la psicopatologia esclusivamente nella realtà personale, si compie una rimozione delirante di quella che è la nostra effettiva, realistica esperienza. Questo comporta che, se non voglio che esse alimentino quelle stesse patologie che è il mio mestiere alleviare, dovrò ampliare radicalmente le mie teorie sulla nevrosi e le mie categorie psicopatologiche. (pp.120-121)
Dopo aver ‘seguito’ per venti anni esatti i dettami della Scuola e della Sanità, che sono le autorità a cui occorre rendere conto, riprendo la mia strada, con il pensiero del cuore di Hillman. Ringrazio qui Baldo Lami, che ho conosciuto nel web attraverso un amico comune. Egli dirige la Casa editrice Zephyro, presso la quale ha pubblicato nel 2006 Psicopatia e pensiero del cuore. Analisi di un concetto chiave di comprensione del nostro tempo, che mi ha condotto alla sua psicoanalisi contemplativa e al suo fare anima.