Ci sono persone delle quali non possiamo nemmeno parlare. Sono quelle che teniamo sepolte nel nostro cuore, dove sono state rinchiuse o depositate in un passato anche lontano e che ‘ritornano’ a visitare i nostri sogni da svegli, tormentando il cuore con le parole mai dette e con i passi mai compiuti.
Si consuma con loro una nuova stagione dell’esistenza, con il rinnovarsi di antichi turbamenti che sembrano rivivere come quelli di un tempo, dolci ed aspri ad un tempo.
Tentiamo con loro nuove scene, nuovi affanni, figurando quei gesti che non si produssero interi, a testimoniare un corrispondersi che non si dette mai.
Ora sembra diverso lo scorrere del tempo, più fluido e non interrotto dall’inciampo della voce che esce sicura a disegnare arabeschi compiuti per l’anima. Un altro tempo sembra promettere un aprire e un chiudere lungamente sperati.
Ci affacciamo a considerare i transiti del cuore, il temerario sporgersi più in là, verso spazi reali, le strade e le case, dove avvengono incontri.
Prefiguriamo le attese e l’ansia del duro domandare, che si scioglie in preghiera e tenue invocazione. Cerchiamo il pretesto che possa aprire il cuore che sosta oltre il confine, ignaro dei maneggi e dei riti che consumiamo qui, per le divinità ulteriori della sera.
Cerchiamo un mattino che annunci la voce finalmente protesa verso noi, ad attestare che l’attesa non fu vana.
Ripercorriamo infinite volte il nastro dei simulacri che si svolge dinanzi alla nostra anima attonita. Ci estenuiamo nel lavoro reiterato del sogno che si fa chimera e anelito, convinto già che si tratta di intransitabile utopia.