CAMMINARSI DENTRO (98): Più che di amore della saggezza, parleremo di saggezza dell’amore.

Mentre in città tutti si preparano da una settimana al peggio, dal momento che si è diffusa la notizia di un imminente terremoto catastrofico, provo a pensare a fondo quello che con Umberto Curi avevo iniziato a pensare più di dieci anni fa, che amore non è cieco, anzi, insegna a vedere.


La cognizione dell’amore. Eros e filosofia (1997) è un’opera di Curi che ‘riassume’ in sé le due scritture precedenti: Metamorfosi del tragico fra classico e moderno (1991) e Endiadi. Figure della duplicità (1995).

La concezione dell’amore come espressione meramente sentimentale, o peggio ancora come manifestazione di una carica istintuale, comunque contrapposta alle facoltà umane più elevate, prima fra tutte quella della conoscenza razionale, non è affatto un’acquisizione pacificamente condivisa nella storia del pensiero, ma è piuttosto una tesi minoritaria, se non addirittura marginale, che si afferma nell’ambito della filosofia rinascimentale e moderna, assumendo i connotati dell’antagonismo fra la figura dell'”amatore” e quella del “conoscitore”, intento l’uno alla soddisfazione di pulsioni provenienti dalla fisicità del corpo, l’altro al nutrimento e alla coltivazione dello spirito. Viceversa, anche un riferimento sommario ad alcuni fra gli autori più significativi della filosofia occidentale – da Platone a Hegel, da Aristotele a Peirce, dal “Cantico dei cantici” a Schopenauer, attraverso Spinoza, Bruno e Pascal (solo per citarne alcuni) – permette di ritrovare, lungo tutto il corso di una storia che prosegue da due millenni e mezzo, la costante riproposizione delle forme diverse in cui si esprime la “reciproca incrementazione” tra amore e conoscenza. (pp.11-12)

Più che i percorsi che la mente compie nel suo errare erotico, da un’età all’altra della vita, fino al suo compimento nella vecchiaia, a noi interessa lo statuto di verità, l’idea, il concetto, il senso che oggi diamo all’esperienza amorosa. A me interessa sempre, prevalentemente, il senso che l’amore assume per l’esistenza spezzata – essendomi congedato dall’insegnamento, mi sento essenzialmente Educatore di Exodus – , per il tossicomane giovane e meno giovane, colto alle prese con l’esistenza femminile, spesso essa stessa presa nelle maglie della dipendenza. Dei 35 anni di attività educativa a scuola, la cosa più importante che ricordi è di essermi sempre impegnato a dare ai ragazzi un’Educazione sentimentale, anzi, un’Educazione estetica.

Di educazione sentimentale non è nemmeno il caso di parlare, se con essa intendiamo riferirci ad insegnamenti ‘impartiti’ dalla famiglia e/o dalla scuola. Purtroppo, nemmeno quest’ultima assume fino in fondo una vocazione educativa che la salverebbe dalle critiche severe di cui oggi è oggetto: la salute mentale dei ragazzi non è solo assenza di disagio mentale o di disturbo conclamato; l’equilibrio della persona non è solo una meta dell’età adulta o della maturità raggiunta in giovane età; l’individuazione del singolo e l’identità di genere non sono mete che si raggiungano grazie al mero sviluppo psicofisico. Eppure, la scuola non sembra pronta ad intervenire sulle questioni che più stanno a cuore ai ragazzi – naturalmente, per scuola io intendo solo il docente che interviene nel rapporto frontale con la classe e con i singoli studenti; i cosiddetti progetti degli psicologi servono solo ad incrementare il loro reddito e a deresponsabilizzare gli insegnanti, che vengono trattati da quegli “esperti” come deficienti. In realtà, gli psicologi non capiscono niente di Educazione. Credono di saperne più degli insegnanti. Pretendono di sostituirsi alla relazione educativa, con un ridicolo surplus di scienza che non aggiunge mai nulla al compito dell’educare. Gli insegnanti sono soli in classe tutti i giorni con i loro ragazzi. Il tempo della lezione è la più grande risorsa che una nazione possieda: l’investimento culturale dell’insegnante deve contemplare, secondo me, elementi di educazione sentimentale – a me piace parlare di Educazione estetica, cioè di educazione della sensibilità. Gli insegnanti non dovrebbero avere paura di affrontare i temi dell’affettività, delle emozioni, della relazione: la Letteratura e l’attualità consentono di toccare lungo il corso degli studi tutte le questioni più delicate, con il sostegno di testi esemplari, di film, di opere musicali, per tematizzare ogni aspetto della vita di relazione. – Viene voglia di dire, parafrasando un vecchio slogan politico: senza educazione, nessun cambiamento, cioè nessuna vera crescita. La mera erudizione lascia scontenti i ragazzi. E a proposito del sentimento più importante – dell’amore -, è indispensabile che i docenti di Italiano aiutino i ragazzi a conoscerne la natura, dal momento che esso è associato a molti altri sentimenti (non di un solo sentimento si tratta, come dicevamo) e non è solo un sentimento (il cuore è consorte della ragione; emozioni e sentimenti non sono separabili dal contenuto di pensiero che li precede e li accompagna; addirittura, parliamo oggi di pensiero del cuore, per significare un modo di intendere addirittura l’intera vita). La saggezza dell’amore, di cui parlo nel titolo di questo post è, appunto, la capacità del soggetto amoroso di vedere. Amore non è cieco. Su questo fronte decisivo, non vi sembra che i ragazzi debbano essere adeguatamente orientati, per evitare che impieghino decenni per scoprire che non di un solo sentimento si tratta né di un sentimento solo? Noi dobbiamo insegnare ai ragazzi a vedere le cose d’amore.

Questo compito si rivela tanto più necessario nel Centro di ascolto in cui lavoro, in cui sperimento da sempre il carattere nevralgico delle relazioni sentimentali: i ragazzi si perdono – a volte, arrivano a perdere la vita – per amore, per il fatto che vivono in modo ‘sbagliato’ le cose d’amore. Soprattutto i maschi non sono spesso all’altezza della realtà umana della compagna con cui si ritrovano – che raramente scelgono -, giacché non riescono ad inchinarsi di fronte a quella esistenza, per abbracciarne per intero le ragioni. La rappresentazione inadeguata della donna e la concezione ‘facile’ dell’amore – al quale tutti abbiamo facile accesso – sovraccaricano i ragazzi di tensioni emotive che non sempre riescono a ‘sopportare’. Per quanto mi riguarda, esercizi spirituali e pratica letteraria restano mete ambite, oltre il lavoro della parola proprio del colloquio di motivazione. Assieme all’Educazione sentimentale, infatti, occorre una terapia delle idee, che aiuti – alla maniera del counseling breve – a suggerire una diversa prospettiva, un modo diverso di guardare le cose. Se il tossicomane è portato ad agire e poi a pensare, lo aiuteremo a pensare prima di agire; assieme a lui, discuteremo il significato della sua esperienza e cercheremo il bandolo della matassa della sua esistenza; scenderemo agli Inferi insieme e risaliremo insieme: attraverseremo l’Inferno, lo faremo durare e gli daremo un nome. Analizzeremo insieme i pensieri e le idee che precedono e accompagnano i moti dell’anima. Distingueremo insieme tra emozione, sentimento e passione. Parleremo di carattere e di governo dei sentimenti. Discuteremo la legge dell’amore e percorreremo il lungo cammino del perdono. Impareremo a sperimentare la gratitudine. Coltiveremo l’anima, congedandoci dalla disperazione. Ricostruiremo il paesaggio affettivo, assegnando ad ogni persona il giusto posto, senza dimenticare nessuno. Perché chi non ricorda il bene che ha ricevuto, non spera.

Perché non appaia eccessivo quanto vado dicendo, riferirò aspetti della mia esperienza che non lasceranno dubbi su quanto già detto: che l’amore non sia solo un sentimento e nemmeno, poi, un solo sentimento è stata una conquista dei trent’anni, forse dei quaranta, per me. Io sono stato educato all’idea che i sentimenti sono qualcosa di sacro, di intangibile, che viene da sé, come un dono, un’ingiunzione del cielo, a premiare un’esistenza condotta bene, anche se ancora giovane. Dei sentimenti sapevamo che erano e basta: comparivano nel cuore all’improvviso, per non andare più via. Il matrimonio era indissolubile, assieme all’amore, che era eterno. Tutti si sposavano, erano felici e si amavano fino alla morte. Solo qualche attrice (bionda) americana divorziava, ma soprattutto perché corrotta dal denaro: perché in lei non c’era vero amore e perché il matrimonio non era stato celebrato bene, con la convinzione profonda della sua indissolubilità. L’esempio dei genitori, di tutti i genitori, era la conferma di queste idee. Se qualcuno di discostava da esse, era pazzo, avvinazzato, in preda al demonio. Sulla bontà e sull’unicità del sentimento non c’erano dubbi. Io ero convinto del fatto che si poteva anche sbagliare nella ricerca, ma che prima o poi finiva per prevalere l’amore puro e sincero che arrivava per tutti. Un mio compagno di liceo, non particolarmente bello, amava dire: “per ognuno c’è qualcuno”, che voleva dire, più o meno, che ci saremmo sistemati tutti; un amore grande ed eterno sarebbe comunque arrivato.

Molte cose sono successe dopo – e non staremo certo a raccontarle, qui, giacché sono storia recente, della famiglia e della società tutta -: basterà dire che oggi gli stessi ragazzi apprendono con l’esperienza ripetuta delle relazioni sentimentali la difficoltà di costruire relazioni solide e capaci di durare. Ai miei alunni ho riferito sempre le parole di Roland Barthes: “senza cultura non è possibile nemmeno essere innamorati”, che non voleva dire aristocratico disprezzo dei ‘semplici’ e degli incolti; piuttosto, che è facile innamorarsi, più difficile far durare il sentimento, se esso non sia sostenuto da solide ‘ragioni’. Una mia alunna di quinta liceo raccontava tutte le sue esperienze sentimentali, lamentandosi del fatto che la storia più lunga era durata solo quattro mesi. Alla fine dell’anno, dopo cinque anni di letture e di discussioni sull’amore, le dissi: “una storia d’amore che duri quattro mesi è soltanto una storia d’amore che è durata quattro mesi”. Alle sue rimostranze io opponevo la considerazione ragionevole che se non siamo capaci di far durare le nostre relazioni, esse non dureranno. Se non abbiamo filo da tessere, non tesseremo trame capaci di resistere ai colpi della fortuna e agli imprevisti della vita. Oggi possiamo aggiungere: se non porteremo in dote nelle nostre relazioni sentimentali profondità del sentire, se non saremo in grado di attivare gli strati profondi della nostra sensibilità, non riusciremo a dare un nome alle cose, non affronteremo con armi adeguate la questione più grande, quella che contraddistingue l’esperienza amorosa dai tempi di Platone: la dicibilità dell’indicibile. Arriva sempre, cioè, per tutti noi il momento in cui le parole non basteranno più, per dire semplicemente il sentimento, per farci perdonare le nostre mancanze e gli errori, per mostrare all’altro/a ciò che vediamo in lei/lui, per esprimere quello che si agita nel nostro cuore e che rischia di non essere compreso se non sapremo dire che cosa sia. Certo, potremo servirci dei gesti, dei doni, dei simboli dell’amore, ma rischieremo sempre di non saperci districare nella foresta dei simboli, se non avremo voce sufficiente da dare ai moti dell’anima.

Sul pensiero del cuore – che è una delle cose che occorre conoscere – , raccomando la lettura dei due testi chiave: JAMES HILLMAN, L’anima del mondo e il pensiero del cuore, ADELPHI e BALDO LAMI, Psicopatia e pensiero del cuore. Analisi di un concetto chiave di comprensione del nostro tempo, ZEPHYRO EDIZIONI.
E’ il “sublime angelico” di Lami, il pensiero del cuore che guarirà la nostra psicopatia.

Alle pagine 76-77 del suo Psicopatia e pensiero del cuore Baldo Lami si esprime così:

E’ il cuore l’organo della percezione estetica, l’antica fonte dell’aisthesis (discernimento attraverso i sensi), da cui zampillano l’imaginatio e la reflexio, senza le quali non può esserci veramente vita psichica, perché vorrebbe dire che l’aisthesis si è disseccata ed è diventata an-aisthesis, anestesia, lasciandoci «immagini prive di corpo e corpi privi di immagine», come è infatti nella psicopatia.
Per riattivare questa fonte e riconnettersi al mondo, Hillman propone un radicale rovesciamento di orientamento, che ci consente di: […] dare la precedenza all’anima rispetto alla mente, all’immagine rispetto al sentimento, al singolo rispetto al tutto, all’aisthesis e all’immaginare rispetto al logos e al pensare, all’oggetto rispetto al significato, al notare rispetto al conoscere, alla retorica rispetto alla verità, all’animale rispetto all’umano, all’anima rispetto all’io, al che cosa rispetto al perché. (L’anima del mondo e il pensiero del cuore, pp.120-121)

Per Silvia Montefoschi – la seconda fonte di Lami -, invece, non è possibile né auspicabile alcun ritorno a stadi evolutivi precedenti già sperimentati e superati, mentre il rovesciamento di orientamento sta nel rovesciamento della visione, che da frammentaria com’è l’attuale deve farsi nuovamente unitaria, senza per questo tornare a essere univoca com’è stata fino alla crisi del neomitico [del moderno], ma internamente dialettica. […] Anche per Montefoschi, come per Hillman, vale il famoso verso di Hölderlin: «Poeticamente abita l’uomo», ma mentre per Hillman l’abitare poetico dell’uomo sta nei volti divini delle forme sensibili del mondo che risvegliano alla sensibilità estetica, per Montefoschi l’abitare poetico dell’uomo risiede nel manifestarsi della divina coniunctio (congiunzione e coincidenza degli opposti) come unica realtà vivente. La psicopatia in questo caso è il rigetto della coniunctio, che è proprio il pensiero del cuore che scaturisce dai due quando si riconoscono nell’uno, e che è il Vivente. (pag.77 di Psicopatia e pensiero del cuore)

E’ da qui, dall’idea di questa coniunctio, che siamo partiti 20 anni fa per l’avventura dell’ascolto nel Centro di Libera Mente. Lo ‘spettacolo’ dell’infranto, che si staglia davanti a noi, è il punto da cui ogni volta di nuovo ripartiamo, per verificare insieme quanta strada si possa fare insieme, perché solo nella dimensione dell’intersoggettività si dà senso e la possibilità di ‘salvarsi’ insieme.

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