Camminarsi dentro

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Camminarsi (dentro) – Amarsi – Liberarsi

Intervento di don Antonio Mazzi al XVIII Capitolo della Fondazione Exodus (Sirmione del Garda, 1-4 ottobre 2006)

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Cosa vuol dire camminarsi? Non camminare ma camminarsi.

Noi di solito camminiamo attorno a noi stessi. Rischiamo anche di andare fino a Compostela o in Terra Santa. Non è difficile camminare è solo impegnativo, mentre è molto difficile camminarsi dentro, perché strano, inconsueto, fuori moda.

Fare footing dentro l’anima potrebbe essere un nuovo tipo di sport da suggerire?

Chi di noi vorrebbe camminarsi dentro fino ad arrivare a scoprire la propria anima? Ma se non faremo questo tentativo non cambieremo mai. È l’unica avventura che rende l’uomo degno di se stesso, che darebbe un po’ di sale e di lievito all’evangelico verbo: cercate.

Però c’è un però!

Per arrivare fino all’anima dovremmo fare un discreto lavoro di pulizia. Per dirla in modo artigianale dovremmo buttare fuori tutti quei pezzi di mele marce che teniamo gelosamente nascosti nonostante il Paradiso terrestre sia passato da qualche anno, col suo famoso albero.

Solo dopo questa enorme pulizia potremmo scoprire le radici di noi stessi: perché siamo nati, dove andremo, quali strade percorreremo, quale senso daremo alla nostra esistenza.

Solo dopo questa pulizia potremo assaporare la fragranza dell’interiori-tà e potremo capire dove è cominciata la nostra vita e dove giungerà. Siamo nati dal seno del Padre e ritorneremo alla fine della nostra vita nel seno del Padre. Questo atipico Natale fa che il nostro Dio sia contemporaneamente padre e madre.

Tornando alla mela marcia. Più volte abbiamo dato un nome alla parte marcia di noi: Caino, droga, spaccio, alcol, prostituzione, ipocrisia, potere, danaro, ecc…

Fare gesti talmente forti da rovesciare le cose insormontabili (almeno secondo l’opinione pubblica) per riscoprire la francescanità evangelica, avrebbe del miracoloso. Riandare ad Assisi per una spogliazione genuina, facendo arrabbiare i Pietro di Bernardone moderni non sarebbe solo un gesto teatrale.

Se riusciremo a camminare dentro di noi scopriremo un’altra cosa ancora: quanto sia liberatorio il pianto. Da questo mondo è scomparso il pianto sincero. Sono rimasti i pianti isterici, le lacrime fasulle, le paranoie. Il pianto che sgorga da chi sta camminandosi dentro vale un nuovo battesimo, una resurrezione.

Un aiutino al nostro cammino interiore lo potremmo ottenere facendo un quarto d’ora di silenzio al giorno. Nel silenzio sgorgano vibrazioni che noi avevamo sepolto, oltre la mela marcia, nella confusione, negli egoismi, nei doppi giochi e nel fariseismo che ha accompagnato e accompagna tutti i momenti della nostra quotidianità.

Finora abbiamo parlato di mela marcia, di silenzio, di pianto, di anima. Un altro aiuto che potremmo avere consiste nella nostalgia di semplicità, che dovrebbe sopraggiungere tutte le volte che iniziamo un’operazione di smontaggio delle maschere che hanno complicato la nostra giovinezza.

Più volte abbiamo accennato alla seconda faccia. Chi è normale la indossa ogni tanto, chi è “speciale” la sostituisce alla prima.

Se cammineremo con molta convinzione dentro di noi, smonteremo questi meccanismi infami e toccheremo con mano l’anima della nostra anima.

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Questa liberazione si trascina dietro beneficamente due conseguenze:

  • alcuni gesti coerenti legati alla solidarietà, all’autovalutazione, alla trasparenza, alla responsabilizzazione, alla condivisione;
  • il bisogno di far “parola”. Far parola significa comunicare il meglio di sé, i passi fatti, le cadute sofferte, la voglia di trasformare la comunità in famiglia.

Il gruppo non sarà solo un agglomerato di persone che spesso si prendono in giro, che usano violenze – il più vecchio sul più giovane, l’uomo sulla donna e viceversa – ma il luogo degli incontri fraterni.

Se uno si considera fratello e vede l’altro suo fratello che scappa di notte, che si fa, se denuncia i fatti voi lo chiamate “infame”! questo non è il linguaggio della famiglia ma della galera.

Perché voi considerate infame chi denuncia le cose sbagliate? Perché non parla mai nessuno e tutti sanno tutto? È famiglia questa? Non è infame parlare in famiglia ma aiuto fraterno. Fate nascere un gruppo autentico e non un branco di pseudo amici. Trasformate la parola in un regalo permanente, che fate l’uno all’altro.

Il secondo verbo è amarsi o meglio (permettetemi una sgrammaticatura) aman/donarsi.

E’ difficile amarsi. Ci si ama solo se ci si sa perdonare, se si scopre l’angolino migliore di sé. Diversamente potremmo solo arrabbiarci e perfino odiarci. Nessuno può amare la parte peggiore di sé. Il giorno che troverete un angolino positivo, dal quel momento inizierà il vero percorso terapeutico.

Se vi amate in modo sbagliato (il verbo amare qui è usato in modo improprio) non cambierete mai: potete solo peggiorarvi. Per passare da corvi a colombe urge ricordare chi ci ha amati, chi ci ha messo dentro l’arca.

A me piace l’arca, soprattutto perchè ha permesso che anche  gli animali selvatici entrassero. A tutti noi  un giorno qualcuno detto: “sei selvatico ma entra lo stesso” e ci ha salvati lasciandoci selvatici. L’arca ci salva lasciando intatte  le nostre caratteristiche, non ci manipola .

Vorrei ripetervi una frase che ripeto spesso a me stesso: “L’amore ci libera da noi stessi, lasciandoci noi stessi!”.

Chi ama scopre il perdono, si perdona e perdona. È  un perdono che non è cerotto ma resurrezione. Ho coniato il verbo amarsi in modo strano, abbinando tre concetti in uno solo: amarsi; abbandonarsi; donarsi (eguale amandonarsi).

L’amore vero, liberatorio, rigenerativo, dopo aver scoperto la nostra anima, ci permette di capire che possiamo comunque amare donandoci a noi e agli altri nello stesso tempo.

Questa società preoccupa perché non sa perdonare. Vuol dire che non si ama. È penoso ammettere che la società italiana non sa amarsi. Dobbiamo insieme tornare a riflettere su queste lacune perché vanno colmate nei tempi brevi, pena un disagio generazionale trasversale.

Non voglio più credere che non sappiate perdonarvi. Per me è terribile pensare che ci siano delle arche, delle comunità, nelle quali pullulano i capetti, i mafiosetti, i capi bastone. Dovete in ogni modo scoprire la colomba che è in voi se vorrete poi aprendo la finestra dell’arca, spedirla nel cielo riconciliato dall’arcobaleno, a testimonianza di una riconciliazione trasversale e verticale. Vogliamo esporre sul pennone l’ulivo?

L’esperienza di comunità che fate e vi costa un anno o più di separazione dal vostro ambiente, vi deve cambiare in modo profondo altrimenti avrete buttato alle ortiche un altro pezzo della vostra esistenza.

Ci sono tre tipi di uomini e di donne, vediamo voi  a quale appartenete.

Ci sono uomini e donne che odiano la vita perché si sentono sfigati e perdenti.

Ci sono uomini e donne che sfruttano la vita perché si sentono furbi e vincitori.

Ci sono poi uomini e donne che si meravigliano della vita. Vorrei che foste voi a vivere la vostra vita in modo così intenso da lasciarvi inondare dalle sue meraviglie, cancellando le paure dei perdenti e le furbizie dei vincenti.

Ricordatevi un principio: in questo momento voi siete già dentro la vita. Aspettare domani per cambiare è già tardi. Sappiate leggere tra i risvolti delle vostre attività quotidiane e troverete una infinita voglia di riconoscenza e di benessere.

Perché di tanto in tanto non pensate a Madre Teresa di Calcutta, a don Bosco, a Papa Giovanni XXIII? Sono persone che hanno tradotto nel migliore dei modi i piccoli gesti quotidiani. Tutti potremmo essere una piccola madre Teresa o un mini don Bosco. Basterebbe lasciarsi prendere e inondare dalla bellezza dell’anima e non dalla ipocrisia, dalle scimmiottature e dalle farse da cartoni animati.

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Quali sono i  gesti di chi si cammina dentro, di chi si ama fino in fondo?

  • – creare atmosfere calde, cordiali, serene, entusiastiche. Ci sono mo-menti in alcune comunità dove senti di entrare in casa per il sorriso, il modo con il quale ti accolgono. Io vorrei entrare nelle comunità, nelle case, nelle arche e sentirmi inondato da un’aria serena e familiare.
  • – dobbiamo tutti trovare il tempo di fare un quarto d’ora di silenzio al giorno o prima o dopo la cena.
  • – dobbiamo volerci talmente bene da creare dei gemellaggi. Gemellaggio vuol dire fare qualcosa anche per un’altra comunità. La nostra è una famiglia così serena e positiva che può far germinare altre famiglie. Siamo in Madagascar, Bolivia, Patagonia, siamo chiamati in Kenya, Montenegro, Ucraina e India. Chiedo perciò ad alcune comunità di addossarsi l’impegno di aiutare una di queste comunità lontane. Vorrei ci fosse un lavoro intenso, profondo, vero di modo che si produca un movimento, uno scambio di persone anche professionale e non solo solidale. La Patagonia è già gemellata con la comunità di Lonato. Per quanto riguarda la Bolivia credo ci siano dei segnali per i quali la comunità di Verona possa gemellarsi. La nostra Congregazione chiede di aprire in Kenya una comunità per le bambine di strada. Il gemellaggio con il Kenya potrebbe essere aperto con la comunità di Tursi. Questi piccoli esempi positivi saranno in grado di aprire attività internazionali. Alcuni ragazzi nell’ultimo periodo di comunità potrebbero dedicare 5/6 mesi, anche un anno, ai bambini poveri o a situazioni al limite dell’assurdo. È una cosa bella che migliorerà anche l’interno delle comunità .
  • – torniamo al venerdì, torniamo a vivere più francescanamente. Quando siamo nati nel 1984 la dotazione di chi entrava in Exodus era: un paio di scarpe da tennis, una tuta, una maglia e uno zainetto. Non possiamo permettere che i nuovi abitanti di Exodus abbiano armadi pieni di cianfrusaglie, andrebbe contro la “cultura” del percorso che stiamo per fare insieme. Che significato avrebbero gli armadi pieni? Perché siamo diventati così borghesi? Una cosa che più mi piace di voi, rispetto ai primi ragazzi che sono entrati in comunità, è che siete meno sciupati, avete i volti più trasparenti, sapete sorridere. Ma per sorridere non è necessaria la camicia bianca con i polsini o gli ultimi pantaloni di Dolce e Gabbana. E quando smetterete di fumare? Non mi pare serio continuare a fumare mentre tutto il mondo sta limitando questi vizio sia per mali fisici che per gli effetti morali che determina.

 

Il terzo verbo l’ho chiamato: liberarsi.

Chi fa questo cammino interiore, chi si ama in questa maniera si libera dalle abitudini di tendenza. Non ha paura di diventare minoranza. Dobbiamo sconvolgere la mentalità corrente. Cristo ha parlato di piccolo gregge.

Mi piace collegare questo verbo “liberarsi” con l’arcobaleno che gli abitanti dell’arca hanno visto dopo quaranta giorni di pioggia. Arcobaleno significa: pace, non violenza, bontà interiore, gratuità, speranza.

Dobbiamo cominciare a credere che si può vivere in un “altro modo” questo mondo soprattutto dopo esperienze come le vostre. Creiamo  un campo magnetico positivo. Trasformiamoci in un piccolo gruppo con una grande forza interiore. Da questo gruppo di minoranza vorrei che partissero i programmi che ci siamo dati.

Insieme ai gemellaggi torniamo alla proposta dei fratelli maggiori. Qualche ragazzo più preparato deve dare una mano in comunità, per l’autosostentamento, per coprire momenti particolari, per completare quello che non possono fare gli operatori.

Ogni sede deve trovare i soldi per vivere. Bisogna risparmiare, cercare di fare in modo che una comunità costi zero dal punto di vista alimentare e dei trasporti.

Da ultimo vorrei proporvi le unità operative. Tra  le comunità si devono creare più interrelazioni. C’è troppa solitudine, isolamento, lontananza. Vi faccio qualche esempio.

Vorrei creare una unità operativa tra Bormio, Sonico, Chiavenna di modo che le tre comunità possano darsi una mano.

Lo stesso vorrei per Cavriana, Monzambano e Lonato. Così  per Costagrande e Africo come Università della Famiglia. Vorrei che i centri di ascolto si “ascoltassero di più”.  Avviciniamo in modo migliore le comunità con i bambini: Bondeno, Africo, Bergamo

Continuo con gli esempi di unità operative: Jesi e l’Isola d’Elba; Sonico e Juppiter. Le realtà della Calabria e della Sicilia; Cassino e Tursi. Rimangono ancora le nuove esperienze: Educatori senza Frontiere, il gruppo Tremenda, i Team Exodus, i primi gruppi alternativi al carcere minorile, le cooperative, le esperienze itineranti.

Quest’anno voglio riproporre il musical, il pellegrinaggio ad Assisi per tutti i ragazzi e due pellegrinaggi a Compostela per tutti gli operatori. Una iniziativa recente è la collana Avamposti con le edizioni San Paolo.

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Torno ai tre verbi che quest’anno vi ho dato al posto delle dieci parole Sono verbi impegnativi. È un discorso  molto profondo che deve toccare la vostra anima. Per la prima volta vi ho detto che se riuscirete a camminarvi dentro in un modo così profondo fino a trovare l’anima della vostra anima, solo  allora vi saranno delle speranze. Diversamente saremo noi a far naufragare quell’arca che il Padre Eterno ha lasciato indenne sul monte Ararat.

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