Il nome della rosa è suddiviso in sette giornate e ciascuna giornata in periodi corrispondenti alle ore liturgiche. Nella Nota che precede il Prologo Umberto Eco avverte: i riferimenti alle ore canoniche da parte di Adso, l’estensore del manoscritto dal quale egli finge di trascrivere la narrazione, suscitano in lui perplessità, «perché non solo la loro individuazione varia a seconda delle località e delle stagioni, ma con ogni probabilità nel XIV secolo non ci si atteneva con assoluta precisione alle indicazioni fissate da san Benedetto nella Regola.
Tuttavia, a orientamento del lettore, deducendo in parte dal testo e in parte confrontando la regola originaria con la descrizione della vita monastica da Edouard Schneider in Les heures bénédictines (Paris, Grasset, 1925), credo ci si possa attenere alla seguente valutazione:
Mattutino (che talora Adso chiama anche con l’antica espressione di Vigiliae). Tra le 2.30 e le 3 di notte […].
Il computo si basa sul fatto che nell’Italia settentrionale, alla fine di novembre, il sole si leva intorno alle 7.30 e tramonta intorno alle 4.40 pomeridiane».
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Secondo giorno
MATTUTINO
Dove poche ore di mistica felicità sono interrotte da un sanguinosissimo evento.
Simbolo talora del demonio, talora del Cristo risorto, nessun animale è più infido del gallo. L’ordine nostro ne conobbe di infingardi, che non cantavano al levar del sole. E d’altra parte, specie nelle giornate invernali, l’ufficio di mattutino ha luogo quando ancora la notte è piena e la natura tutta addormentata, perché il monaco deve alzarsi nell’oscurità e a lungo nell’oscurità pregare attendendo il giorno e illuminando le tenebre con la fiamma della devozione. Perciò saggiamente la consuetudine predispose dei veglianti che non si coricassero con i confratelli, ma trascorressero la notte recitando ritmicamente quel numero esatto di salmi che desse loro la misura del tempo trascorso, così che, allo scadere delle ore votate al sonno degli altri, agli altri dessero il segno della veglia.