Su “Goethe e la tradizione degli esercizi spirituali” Pierre Hadot aveva già scritto in passato. La pubblicazione di Ricordati di vivere (2008; la traduzione italiana è del 2009) è stata accompagnata da una mia segnalazione qui, nella primavera del 2009, a cui rimando, perché oggi mi preme concentrarmi sulla suggestione offerta da quel “Ricordati”, come se noi vivessimo dimentichi di vivere. Che cosa significa poi “dimenticarsi di vivere”?
Sicuramente, trascurare i beni del presente, perché ci facciamo ‘prendere’ dal passato e dal futuro: le ‘fughe’ dal presente cos’altro sono se non ‘distrazione’, trascuratezza, superficiale considerazione del bene di cui incessantemente godiamo?
Tuttavia, non basta dire quello che pure con Goethe va detto, a proposito del buon vivere. Occorre conoscere i modi di vivere più appropriati, che ci consentano di ‘non dimenticare’. Lasciar andare le cose è facile, addirittura patire la mancanza, quando pure abbiamo tra le mani ciò che serve per star bene. Mio padre aveva l’abitudine di dire, in determinate circostanze: “Ti arrabbi con il pane in mano!”
Si potrebbe dire che il ‘dimenticare’ di cui parlo è connesso ad ignoranza delle cose (guardare le cose dall’alto, ad esempio, non rischia di essere riguardato come aristocratico distacco e addirittura disdegno? esaltare il presente non rischia di essere considerato autoinganno, rinuncia a sperare? il sì alla vita, a partire dai beni del corpo, non potrebbe essere giudicato materialisticamente come edonismo e basta?): di qui la necessità di imparare a vivere, il primo degli ‘esercizi spirituali’ raccomandati dalla cultura pagana. La massima goethiana – Ricordati di vivere – va tradotta con un più semplice Impara a vivere, che preferisco, perché più severo e più vicino a tutti noi (Goethe è stato il “favorito degli dei”: qualcuno potrebbe pensare che stia parlando di sé, della fortuna di cui godette, dei doni che gli consentirono sempre di essere felice…).
‘Imparare a vivere’ è possibile con l’aiuto della Filosofia. Ad essa ci affideremo, per ritrovare sempre le ragioni della vita, per riuscire finalmente a condurre una vita buona, che sia sostenuta dalla luce della virtù e del Bene.
I beni materiali di cui godiamo oggi, assieme alla possibilità grande di visitare luoghi lontani e di esplorare la realtà con mezzi accresciuti dalla tecnica, dovrebbero soddisfare il bisogno di conoscenza e la curiosità intellettuale. I progressi compiuti nella conoscenza della natura umana e gli esempi forniti dalla cultura sui modi di vivere dell’uomo, sulla vita dei sentimenti, dovrebbero farci sentire al sicuro, vicini alla nostra realtà più vera.
Eppure, predominano insicurezza e incertezza. E’ stato detto che questa è «l’epoca delle passioni tristi». Non riusciamo a congedarci dal sogno faustiano di onnipotenza dell’individuo sovrano, come Nietzsche chiamò l’uomo del nostro tempo, che procede convinto di poter fare tutto, che possa disporre della sua vita senza limite alcuno! La fatica di essere se stessi, allora, che accompagna la depressione, rinvia alle norme della convivenza civile che non sono piú fondate sui concetti di colpevolezza e disciplina, ma sulla responsabilità e sullo spirito d’iniziativa. In un contesto in cui l’individuo è schiacciato dalla necessità di mostrarsi sempre all’altezza delle situazioni, la depressione non è che la contropartita delle grandi riserve di energia che ciascuno di noi deve spendere per diventare se stesso. Si precipita nella malinconia non appena si scopre di non riuscire ad essere se stessi, quello che ci eravamo prefissi di essere. Se cesseremo di competere con gli altri, per raggiungere inutili primati, riusciremo forse a consistere qui e ora, paghi di quello che abbiamo e soprattutto di quello che siamo.
Il movimento verso se stessi e quello verso gli altri introducono un dinamismo etico nella nostra esistenza che favorisce l’esodo dallo spirito del tempo: occorre essere in cammino, cioè fare esperienza di sé e del mondo attraverso gli altri. Solo in uno sforzo di medesimezza umana riusciremo ad incontrare noi stessi e le nostre ragioni più vere, il senso della nostra esistenza e la natura del nostro essere. Non saremo mai dimentichi di noi stessi, se sapremo tenere sempre vivo il ricordo del bene ricevuto.