Avevo scritto tre giorni fa sul ricovero di mia zia in Ospedale, sul suo ‘soggiorno’ in Pronto Soccorso per un giorno intero, pieno di rabbia compressa, a vederla ammucchiata su una barella lungo il corridoio, con i suoi novant’anni, a digiugno per tutto il tempo, silenziosa e attenta, come tutte le donne abruzzesi abituate al sacrificio e alle rinunce. Poi ho cancellato il post. Mi sembrava solo prosa quotidiana. Parlar male di un Ospedale!
Ieri sera sono tornato a trovarla. Quando tutti sono andati via, mi sono trattenuto ancora un po’. Forse cercavo un’intimità perduta da tempo con lei. Abbiamo parlato di una sua sorella rimasta in America, di cose futili, ma anche di come sia facile morire. Ad un tratto, mi ha guardato negli occhi intensamente e mi ha detto: “Io non ho paura di morire”.
Su un ‘tema’ così importante per me, intrecciato com’è con il buon vivere, avrei avuto tanto da dire, ma sono stato preso alla sprovvista. Mi sono trovato stranamente ‘impreparato’. Evidentemente, non si tratta mai della Morte, quando siamo di fronte a un uomo che muore o che crede di dover morire presto. E’ della sua morte che si tratta. Le ragioni di quel sentimento sono solo sue. Solo lei potrebbe dire come sia giunta a quella pace (o a quella rassegnazione). Già la seconda possibilità – che si tratti solo di rassegnazione – rende disperante quell’assenza di paura, l’accettazione senz’altro.
Ma si tratta di questo? Cos’altro avrebbe potuto dirmi, se solo fossi riuscito a parlare ancora, permettendole di aprirsi un po’? Mi è lecito tornare a parlare con lei del suo congedo dalla vita, delle ragioni della sua ‘pace’, per indagare magari su quelle ragioni e tornarmene a casa arricchito di ‘ragioni’ sull’ora che non ha sorelle? Posso tranquillamente riaprire il discorso interrotto, come se fosse un discorso tra gli altri, o andrei a ferire la sua sensibilità? E se fosse tutto lì, se non avesse altro da dire, perché chiaro è il significato della sua esistenza e di questo compimento nulla deve essere detto perché illumini una storia di per sé già chiara? In verità, sono io che non so di lei. E vorrei ora risalire alle cose dimenticate, ai lunghi esercizi di pazienza, alla lunga solitudine, alla quiete raggiunta ripercorrendo una ad una le vie.
Oggi tornerò da lei. Non so se potrò trattenermi ancora da solo. Non so se riuscirò a parlarle ancora come ieri. Ma non dovrebbe bastare il fatto di sapere che non ha paura di morire?