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Le madri di una volta, che subivano tutte le angherie possibili in casa senza ribellarsi mai, non hanno difeso i loro figli dal male. Non sono intervenute a dirimere le controversie che insorgevano tra i figli né tra i padri e i figli. Ancor meno hanno agito quando zii e nonni interferivano nella vita familiare. La famiglia non aveva la moralità di oggi. I diritti dei piccoli che crescono sono messi al riparo da ogni pesantezza degli adulti e da ogni ingerenza esterna.
Quando il tempo me lo consentirà, racconterò una storia esemplare che da sola chiarirà il senso drammatico di quanto vado dicendo, relativamente alla vita della mia famiglia di origine. I morti non parlano. Ad essi è dovuto rispetto. Il silenzio è sempre stato considerato la forma alta di moralità, specialmente sotto le mie latitudini familiari, quando si trattava di preservare la dignità di qualcuno. Ma la dignità di un fratello può crescere a scapito della dignità di tutti gli altri o anche di uno solo? E’ accettabile il fatto che una madre non parli, che assista impotente ai litigi infiniti, ai soprusi, alle connivenze nascoste, alle perfidie di una sua sorella che divide i suoi figli, senza alzare la voce per ristabilire la giustizia e la verità? Non è mai possibile venire a capo di nulla? Ci moviamo sempre nella pappa indistinta delle cose su cui recriminare all’infinito, senza che si giunga mai a nulla di chiaro? La famiglia di origine, allora, è la realtà da cui bisogna fuggire? da cui è necessario difendersi? Al silenzio dei secoli sulle piccole violenze e sui silenzi interessati e sulle meschine complicità bisognerà aggiungere altri secoli di silenzio e lasciar passare i torti che lasciano ferite profonde e il dubbio che la tristezza del pensiero non abbia mai anche un’origine nelle proprie radici?
La mia esperienza di Educatore nel campo delle tossicodipendenze mi fa assistere da oltre venti anni allo spettacolo di una famiglia nella quale non prevale la chiarezza. Il lavoro di anni e anni con alcune famiglie, per indurle a camminare assieme al ragazzo che abbia avviato processi riparativi e ricostruttivi del proprio paesaggio affettivo, non sortisce gli effetti desiderati. Gli schemi duri a morire sono quelli che si scontrano con il nocciolo duro dell’amor proprio ferito di mogli che non riescono ad essere madri fino in fondo, cioè a rispettare il padre dei loro figli: la macchia di origine – sempre l’assenza dei padri e la loro tendenza a ‘delegare’ l’educazione dei figli – non viene mai riletta ed interpretata alla luce delle responsabilità comuni, della necessità di camminare insieme, come padre e madre, nel rispetto dei rispettivi ruoli. I padri se ne sono andati e basta. Tutto è chiaro. L’origine dei mali, se non la colpa, è stata trovata. Circola poi con insistenza la formuletta che questa è una società senza padri, quindi tutto si spiega facendo risalire a uno solo l’origine del disagio e della sofferenza dei figli. Che padre e madre non siano mai d’accordo sull’educazione da impartire ai figli è un dettaglio secondario su cui non serve fermarsi! Le madri sono depositarie della vita, della verità, del bene.
Eppure, né la vita né la verità né il bene sembrano prevalere quando per anni, poi, il potere delle madri si accampa sulla scena e i destini del figlio che si è perso sono affrontati e risolti da altri e non da loro. Sfugge il particolare che sono altri a prendere in mano la vita di quel figlio. Se fossero capaci da sole di salvarlo, non lo affiderebbero ad altri!
E’ stato scritto che le madri non sbagliano mai. Quando i figli sono piccoli sarà anche vero, ma quando incominciano a parlare l’accesso al simbolico è garantito solo dal padre. E’ allora che le madri dovrebbero tacere e lasciar sentire al figlio che cresce – soprattutto ai maschi – la voce del padre. Dovrebbero difendere presso i figli quella autorità. Dovrebbero contribuire ai processi tortuosi che favoriscono l’introiezione della figura paterna, la sua legge… In assenza dei padri, dovrebbero svolgere forse quella funzione, almeno relativamente alle cose della vita e della morte, dell’amicizia e dell’amore, della giustizia e della verità. Ma questo significa parlare. Questo non è tacere, assistendo impotenti alla deriva personale di chi attende risposte e protezione.
21 luglio 2010