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Mi sto interrogando in questi giorni sulla natura della mia umanità, per comprendere a fondo se io sia riuscito ad essere quello che volevo o se, per caso, non abbia potuto fare a meno di essere quello che ero già, quello che affiorava di me anno dopo anno, indipendentemente da sforzi e progetti.
In buona sostanza, ho qualche merito se considero il ‘risultato’ raggiunto, l’equilibrio e la pace di una maturità da cui sono assenti astratti furori e bellicose rivendicazioni ‘sessiste’?
Per qualche anno, ho creduto di essere un ‘maschio selvatico‘, perché convinto della bontà di una naturalezza che non poteva essere riguardata come colpevole acquiescenza ad istinti distruttivi o a egoistiche affermazioni di sé.
E prima ancora, dal 1975, per molti anni dopo, sono stato convinto ‘femminista’, cioè schierato dalla parte delle lotte femminili. Mi sono convinto, però, lentamente del fatto che non potevo rivendicare un’identità politica che non mi riguardava e non mi apparteneva. La riflessione pubblica degli ultimi venti anni mi ha aiutato a ‘distanziarmi’ sempre di più dalle filosofie della differenza, che ancora oggi per me sono il miglior approdo di quelle lotte. Le mie ‘ragioni’ andavano cercate altrove.
Massimo Cacciari nel 1981, con il suo Weibliches, un capitolo sul ‘femminino’ contenuto in Dallo Steinhof. Prospettive viennesi del primo Novecento, mi aiutò a pensare che il Maschio è morto. Il ‘canto del dipartito’ è la nuova voce di chi si è congedato dal metafisico dissidio tra i sessi, che sopravvive nell’astratto supporre che ci sia un’immutabile natura maschile accanto e di fronte ad un’immutabile natura femminile. La ‘differenza in pace’ sembrava dischiudere la prospettiva di un umano consistere in cui ogni bene sarebbe venuto dall’incontro con le donne.
L’opera, forse, più utile al riguardo è il saggio del 1995 di Nadia Fusini Uomini e donne. Una fratellanza inquieta, che aiuta a pensare il concreto relazionarsi di persone di sesso opposto ma accomunate da ragioni affettive: alla domanda su chi sia un uomo e su chi sia una donna, lei rispondeva saggiamente così: cercherò di comprendere come questo uomo sia uomo di fronte alla sua donna e come questa donna sia donna di fronte al suo uomo…
Detto questo, e detto tutto quello che poi ancora è stato pensato a vantaggio del superamento di ogni astratto contrapporsi di sessi e culture diverse, resta da chiedersi quale sia la propria natura, se cioè si propenda di più per la ‘selvatichezza’, non importa come declinata, o se prevalga un più alto sentire che non assegna più agli istinti naturali e agli impulsi sessuali il primato di sempre. E c’è da chiedersi cosa sia questo sentire che non è riducibile alla ‘maschilità’ pura e semplice.
Io credo che alcuni Autori aiutino con le loro opere esemplari a dire in breve di cosa io stia parlando. Mi limiterò, per brevità, ad elencarle (molto ho già scritto e altro ne scriverò): ad esse ho affidato la mia riflessione negli ultimi dieci anni. Grazie ad esse, ho potuto pensare la mia esperienza e verificare cosa io stessi diventando, ma soprattutto cosa sono stato, al di là di quello che credevo di essere:
ROBERTA DE MONTICELLI, L’ordine del cuore. Etica e teoria del sentire, GARZANTI 2003
ROBERTA DE MONTICELLI, La novità di ognuno. Persona e libertà, GARZANTI 2009
VITO MANCUSO, La vita autentica, RAFFAELLO CORTINA EDITORE 2009
DUCCIO DEMETRIO, L’interiorità maschile. Le solitudini maschili, RAFFAELLO CORTINA EDITORE 2010
Soprattutto Duccio Demetrio mi porta a pensare di non essere mai diventato – e di non poter essere – un ‘maschio selvatico’: io credevo di esserlo, che lo sarei diventato, addirittura che al fondo della mia coscienza quello ero stato. In realtà, la mia invincibile timidezza mi ha portato a condurre una vita schiva, per cui i limiti e le debolezze proprie della timidezza si sono tradotte con il tempo in sentimenti e virtù riconducibili alla vita schiva.
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