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Lunedì 27 giugno 2011
dal sito pensarecolcorpo.it
Cosa sta succedendo agli uomini? Riflessioni sulla fenomenologia dei “maschi dolci”
Una intervista di Keith Thompson a Robert Bly
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ETHOS – I maschi dolci
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Lunedì 27 giugno 2011
dal sito pensarecolcorpo.it
Cosa sta succedendo agli uomini? Riflessioni sulla fenomenologia dei “maschi dolci”
Una intervista di Keith Thompson a Robert Bly
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CAMMINARSI DENTRO (201): La dimensione linguistica nella relazione educativa (1)
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Mercoledì 22 giugno 2011
L’esperienza dell’ascolto è personale, varia cioè da persona a persona, e soprattutto varia nel tempo. L’Educatore impegnato in un Centro di ascolto non ha da esprimere una ‘professionalità’ statica, il risultato di studi fatti all’inizio della ‘carriera’ di ‘ascoltatore’, come un corso di laurea universitario. Anche quegli studi non bastano. Non dimenticherò mai un collega del Liceo Classico di Frosinone che mi rivelò un giorno: «Ci vogliono almeno venti anni per fare un professore di liceo!» Voleva rassicurarmi a proposito del fatto che non si riesce a conoscere tutto quello che c’è da conoscere in quattro anni di studi universitari. Nel Sindacato avevamo l’abitudine di dire che la professionalità si forma sul campo. Naturalmente, il sostegno della teoria non mancò mai. Studiare è per me ancora oggi il compito più importante. Passo la maggior parte del mio tempo a leggere.
Tra insegnamento e ascolto c’è stato negli ultimi venti anni uno ‘scambio’ continuo: la scuola ha fornito ‘argomenti’ a sostegno dell’idea di educazione da seguire ed esempi della qualità della relazione umana da instaurare con i ragazzi; l’ascolto ha rappresentato una sacca di resistenza, un archivio di emozioni e saperi, una palestra di conoscenza dell’evoluzione nel tempo dei comportamenti giovanili d’abuso. A scuola ero più consapevole della responsabilità degli insegnanti: il ‘destino’ dei ragazzi in alcuni momenti è nelle loro mani. Al Centro di ascolto avverto la drammaticità del fattore tempo: ogni istante è prezioso per accrescere le possibilità di aiuto. Massimo Cacciari ha parlato di arrischio della relazione. Siamo sempre esposti, come adulti educatori, in un rapporto con i ragazzi in cui è in questione sempre quello che abbiamo da offrire noi nello «scambio di risorse» di cui si nutre l’incontro, quando si dia vero incontro. Se ci sta a cuore il futuro dei ragazzi che si affidano a noi, l’esito della relazione dipenderà dalla nostra autenticità, dalla sincerità e dalla veridicità delle nostre parole. Saremo messi alla prova: le nostre parole risulteranno vere se ad esse corrisponderanno comportamenti coerenti. Dobbiamo essere congruenti, come dicono i rogersiani.
Dalla vita delle comunità per tossicodipendenti abbiamo appreso all’inizio dell’esperienza di ascolto che i ragazzi, quando si svegliano al mattino, ‘studiano’ gli Educatori per verificare se possono ‘fregarli’ in qualche modo. Indipendentemente da quello che c’è dall’altra parte, a noi interessa qui la nostra consapevolezza di essere sotto il loro sguardo e la consapevolezza del peso dei nostri comportamenti linguistici.
A scuola mi piaceva scrivere nel mio Progetto didattico, all’inizio dell’anno, qualcosa a proposito del ‘comportamento insegnante’, per sottolineare la consapevolezza della risorsa data dagli atteggiamenti personali. Dopo averli distinti accuratamente da emozioni, stati d’animo e sentimenti, scopriremo che gli atteggiamenti, come quarto livello della vita affettiva, «anche se si vestono di opinioni che sembrano basate su una corretta analisi dei fatti, sono in realtà un groviglio di idee, di percezioni distorte, di sentimenti, di stati d’animo, talvolta anche di emozioni di base che formano i nostri pregiudizi, i nostri stereotipi e molte delle nostre valutazioni e prese di posizione». (Dario Ianes, Educare all’affettività. A scuola di emozioni, stati d’animo e sentimenti, Erickson 2007)
Sono comportamenti linguistici le risposte che daremo a richieste esplicite – ad esempio, un ragazzo mi chiede un libro particolare ed io me ne ricordo e lo porto all’appuntamento successivo – ma soprattutto ai bisogni inespressi, che dovremo saper interpretare verbalizzandoli, esprimendoli, cioè, con la parola. Per me, l’ascolto è soprattutto questo: interpretazione dei bisogni autentici delle persone. Se si abbraccia la teoria secondo la quale la tossicomania è una forma di comunicazione sospesa [vedere Eugenio Borgna, Noi siamo un colloquio, Feltrinelli 1999: parte III. La comunicazione sospesa, 2. Il fascino della dissolvenza, §1. Il vuoto esistenziale], quando non interrotta, risulterà ‘esemplare’ per il ragazzo l’esperienza che gli faremo fare nel Centro di ascolto di una comunicazione che è possibile… Fin dal primo contatto è indispensabile fornire la sensazione palpabile che è possibile ‘comprendersi’: il Centro è una mente capace di ‘contenere’, di ospitare la sofferenza personale. Dare ad essa un nome non è mera operazione tecnica. Non sono gli esperti di parole le persone giuste. Non una postura, un setting appropriato basteranno al compito: non si tratta di indovinare, di fare centro… Davanti al ragazzo deve stagliarsi la sagoma corposa di una presenza umana, di una persona che porti sulla carne i segni di un’esistenza vissuta. La mia ‘vecchiaia’, forse, è più convincente di mille tecniche azzeccate. L’accettazione dichiarata, al momento opportuno, delle fasi della vita trascorse e di tutti i travagli che le hanno accompagnate può essere un argomento rasserenante: aiuta a fornire la dimensione dei tempi lunghi sui quali si allinea l’azione e con essa sforzi, sacrifici, rinunce…
Naturalmente, si richiederà dall’altra parte un accordo sui significati dati alla propria esperienza, all’invisibile della propria esperienza. Il kairós, il cosiddetto ‘tempo debito’ che accompagna tutti i processi empatici, più che l’occasione favorevole e il giusto tempo è per me la qualità dell’accordo che raggiungiamo intorno ai significati da dare alle cose.
Alle cose daremo un nome. L’accordo verte sul nome. Certo, anche sugli avverbi di tempo, che insinueremo accortamente, ricorrendo sempre al linguaggio del cambiamento. L’esito di un colloquio, a volte, dipende da un aggettivo, dall’aggettivo giusto assegnato a un gesto vissuto dall’altro, a un’attesa frustrata, a un amore mai nato… Insomma, il cuore della relazione d’aiuto è il linguaggio, e il linguaggio non è la lingua italiana, che pure verrà in nostro soccorso, ma i modi personali di atteggiarsi di fronte a tutte le vicissitudini della coscienza, nello sforzo perenne di emergere alla consapevolezza che la persona aspira a mettere in azione. Incidere sulla struttura delle motivazioni spesso è possibile se si riesce a suggerire le parole per dire chi e cosa, non importa quando e come.
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CAMMINARSI DENTRO (200): ‘Inattuale’ e ‘postumo’, quando non ‘imperdonabile’. «Merita di essere raggiunto dalla sua epoca colui il quale si limita ad anticiparla».
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Domenica 19 giugno 2011
Non le visioni sgomentano l’uomo – ma l’ombra che si muove / sul fondo di solitari specchi o nelle gravi acque d’attesa. / Non il gesto od il grido – ma nel deserto del cuore / le lente vibrazioni di un silenzio insondabile.
Margherita Guidacci
Quando pensiamo a noi stessi e ci ritroviamo a chiederci come dobbiamo pensarci, è at- traente la tentazione di identificarci con un’espressione sintetica, addirittura con una parola che da sola riassuma ciò che è stato: questa volta non si tratta di raccontarsi ma di fotografare un’intera esistenza. Continua a leggere
Prepariamoci.
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Sabato 18 giugno 2011
LUCA MERCALLI, Prepariamoci – Pubblichia- mo un estratto da Prepariamoci, il libro in cui lo scienziato spiega come prevenire il colpo della crisi ambientale. Cominciando, appunto, dalla propria abitazione. Pannelli solari, ma non solo. Parole d’ordine: risparmiare e innovare, “perché il paese dei balocchi dura cinque mesi, e poi ci si trasforma in asini. Credo che di mesi ne siano già passati quattro e mezzo” (Recensione)
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CAMMINARSI DENTRO (199): La tossicomania è fuga dalla libertà e dal dolore
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Venerdì 17 giugno 2011
Le cornacchie affermano che una sola cornacchia potrebbe distrug-gere il cielo. Su questo non c’è dubbio, ma non dimostra niente contro il cielo, perché cielo significa appunto: impossibilità di cornac- chie. (FRANZ KAFKA, Considerazio- ni sul peccato, il dolore, la speranza e la vera via, 1917)
Ricordiamo che Kafka (kavka) significa in ceco corvo, cornacchia. E non è certo un caso che la torre del Castello appaia all’agrimensore K. circondata da uno stormo di cornacchie. Ché il fine della sua ricerca – e della ricerca di Kafka – è appunto quello di infrangere i limiti che escludono dal possesso della verità assoluta, possesso che equivarrebbe alla distruzione del cielo (dall’apparato critico di Giuliano Baioni al volume di Kafka Schizzi-Parabole-Aforismi, Mursia 1983).
Il dramma del tossicomane è tutto qui, nella pretesa di possesso di sé, nella volontà di sapere che si ostina di fronte alla porta della Legge, nella domanda insistente e nella richiesta vana di una felicità impossibile perché fondata sul piacere infinito ➡.
Il tossicomane è qualcuno che non tollera alcuna forma di dipendenza nei confronti degli altri e del mondo. Questa aspirazione è evidentemente votata allo scacco.
Da questo scacco inevitabile, da questa incapacità di essere totalmente indipendenti, alcuni tossicomani si sentiranno legittimati nella loro dipendenza tossicomanica. L’indipendenza relativa non li interessa. Essa sembra loro un obiettivo esistenziale troppo mediocre per essere invidiabile. I tossicomani credono nell’indipendenza assoluta e non potendo raggiungerla vivono in modo assolutamente dipendente. (SYLVIE GEISMAR-WIEVIORKA, Les toxicomanes, Éditions du Seuil, Paris 1995, p.69).
La tossicodipendenza è, per noi, una malattia della libertà, come abbiamo scritto la prima volta nel 1994 in Venti tesi per non morire di droga. Vedere, in particolare, la tesi numero 5.
L’intervento tenuto il 4 dicembre 2001 da MASSIMO CACCIARI, Liberi di donare, alla presentazione della Carta dei valori del volontariato a Roma è per noi un testo definitivo sulla libertà umana.
Sappiamo bene che la tossicomania è una sindrome bio-psico-sociale, una sindrome multifattoriale, una grave malattia. Non possiamo fare a meno, tuttavia, come Educatori, di considerarne gli aspetti che attengono alla nostra libertà, a quello che ci è stato riservato dalla sorte, a quella componente destinale della nostra esistenza con la quale comunque dobbiamo fare i conti, per cercare di non essere solo il risultato del nostro ‘chimismo’ interno.
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CAMMINARSI DENTRO (198): La prima notte di quiete
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Sabato, 11 giugno 2011
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GIULIO MONTEVERDE, L’angelo ambiguo
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Sabato, 11 giugno 2011
Lo scultore Giulio Monteverde può essere considerato precursore del Simbolismo con il Monumento a Francesco Oneto che si trova nel cimitero monumentale di Staglieno a Genova. L’arte funeraria dell’Ottocento si compiace di esaltare le virtù del defunto sulle tombe o rappresenta i congiunti in lacrime, ma egli ha scacciato tutta questa folla per portare nei cimiteri la visione dell’Angelo della Morte: un angelo che medita il mistero e veglia sulle spoglie del defunto. L’angelo androgino rappresenta, sotto molti aspetti, il “punto di rottura” storico nel passaggio da una visione positivista della morte, che trovava nel realismo il linguaggio più congeniale, a quella dubbiosa che sfocerà nel clima decadente-simbolista. In questo processo di rinnovamento, l’angelo perde la connotazione cristiana di guida verso il Paradiso per divenire testimone del mistero del nulla. L’angelo Oneto non offre alcun gesto consolatorio, ma appare distaccato ed imperturbabile.
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VITTORIO AGNOLETTO e LORENZO GUADAGNUCCI, L’eclisse della democrazia. Le verità nascoste sul G8 2001 a Genova, FELTRINELLI 2011
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Sabato, 11 giugno 2011
Genova, luglio 2001: un ragazzo di 23 anni ucciso dai carabinieri; 93 persone pestate e arrestate sulla base di prove false alla scuola Diaz; decine di fermati torturati nella caser- ma di Bolzaneto; in una vera e propria eclisse dei diritti costituzionali demo- cratici, di fatto sospesi. Vittorio Agnoletto, all’epoca portavoce del Genoa social forum, e Lorenzo Guadagnucci, testimone e vittima del blitz alla Diaz, raccontano tutte le verità sul G8 di Genova e sui tentativi di fermare e condizionare i processi. Enrico Zucca, pm al processo Diaz, per la prima volta svela agli autori i retroscena dell’inchiesta genovese. I massimi vertici della polizia e dei servizi segreti, oltre a decine di agenti, sono stati condannati in secondo grado. Sono giudizi clamorosi, senza precedenti. Eppure tutti sono rimasti al loro posto e molti sono stati addirittura promossi, con l’avallo dell’intero arco politico parla- mentare. La ferita aperta nel luglio 2001 non è stata ancora rimarginata. Nel 2001 un grande movimento nella sua fase nascente è stato criminalizzato, ma le sue idee non erano sbagliate: a Genova si parlava di un prossimo crac della finanza globale, del collasso climatico del pianeta, delle guerre come frutto naturale del sistema neo- liberista. Scenari che si sono puntualmente avverati. In questo libro si racconta il volto autentico del G8 di Genova: un tracollo dei valori democratici, ma anche una proposta culturale e politica che resta vitale. Nella galleria fotografica (clicca per ingrandire) le immagini tratte da Omicidio in piazza Alimonda, il capitolo del libro che rico- struisce, passo per passo, l’uccisione di Carlo Giuliani.
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Salvare l’acqua
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Sabato, 11 giugno 2011
Emilio Molinari e Claudio Jampaglia presentano “Sal- vare l’acqua”, il libro che svela il grande inganno che si cela dietro la “liberalizzazione dell’acqua” resa obbligatoria dal decreto Ronchi. Un inganno che si tradurrà in un danno alle tasche e ai diritti dei cittadini. Salvare l’acqua (video)
Anche in Italia c’è un’emergenza che riguarda l’acqua, ormai al centro di precise strategie volte a privatizzarla, sia da parte di regioni “rosse” come la Toscana sia dal governo, come testimonia il recente “decreto Ronchi”. Contro questa situazione che vuole trarre profitto da una risorsa vitale, in Italia da molti anni si sono mobilitati movimenti e associazioni che, nate nel solco dell’ambientalismo, fanno politica dal basso. Negli ultimi anni hanno continuato a incalzare le istituzioni sul territorio per inserire negli statuti comunali la definizione dell’acqua come bene comune. Ora, l’ultima sfida, si chiama referendum abrogativo. Le mobilitazioni popolari emerse in questi anni attraversano gli schieramenti politici consolidati: dalla Sicilia dove centinaia di amministratori locali si alleano per “salvare l’acqua” ai parroci del Sud che aprono le parrocchie ai movimenti, alla Pianura padana dove alleanze inedite di comuni leghisti e di centrosinistra combattono insieme le decisioni varate dal governo di centrodestra. Gli autori hanno girato l’Italia in questi anni raccogliendo storie e interviste, spulciando i bilanci delle “aziende idriche”, per infine scoprire che la “liberalizzazione dell’acqua” è solamente un grandissimo inganno che si tradurrà in un esborso ai danni dei cittadini.
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CAMMINARSI DENTRO (197): Una visione del mondo austeramente laica
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Venerdì, 10 giugno 2011
Ci siamo interrogati pensando a Benedetto e poi a sua madre, e abbiamo trovato risposte per l’uno e per l’altra. Una ragione della morte si trova sempre, e quando non se ne trovi una, rovistando tra improbabili cause e antecedenti, ci appelliamo a ragioni più grandi: una fede, una visione del mondo austeramente laica.
Se ad Ester porterà conforto la fede, cosa dire a chi come noi sente che il Cielo è vuoto? Rimedio all’angoscia non c’è, se aspettiamo una mano che si posi su di noi per accarezzare il nostro viso e lenire il dolore.
Abbiamo scelto la via delle radici e le strade sconnesse della periferia, preferendo pensare a crescita e non a costruzione. Non c’è strada maestra tracciata se non la lezione dei padri. Sulle spalle di mio padre io procedo da sempre, ritrovando nelle età della vita la stessa ragione che guidò lui. Io lo so che bisogna consistere qui e ora, paghi del buon vivere. Andare incontro alla vita quando ci sorride e procedere più lentamente – quando la nostra Ombra e la gelida Morte lo richiedano -, ma procedere. Perché alla vita si addice il passo deciso del viandante che affronta il giorno consapevole di sé e dei sentieri che lo aspettano. Il suo passo di danza basterà a tracciare cammini possibili, se saprà intrecciarsi alle esistenze altre che battono le stesse strade del mondo, forti solo della forza del proprio cuore, che non si allontana mai dal retto sentire. Esso prescrive la solidale Compassione che è dovuta a tutti, perfino ai propri nemici. Non escludiamo mai la possibilità di essere oggetto di inimicizia. E non ne cerchiamo sempre le ragioni: non si trovano facilmente.
Il pensiero del cuore prevede che si conceda ad ogni creatura il giusto riconoscimento. E che sia un dono. Un’austera morale laica non aspetta che sia una lotta dell’altro ad esprimere il bisogno di riconoscimento. Noi sappiamo riconoscere desiderio e bisogno, distinguendo accuratamente da illusione e capriccio. Sappiamo dire sì e no. Perdonare e ringraziare. E nel farlo non trascuriamo mai di inchinarci di fronte a chi non richiesto ci riscalda il cuore col sorriso dell’approvazione e dell’umana compassione.
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CAMMINARSI DENTRO (196): La Madre addolorata stava / in lacrime presso la Croce / su cui pendeva il Figlio.
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Giovedì, 9 giugno 2011
Ci siamo inter- rogati più volte in questi anni di fronte alla morte di uno dei nostri ra- gazzi. Abbiamo ripercorso la carriera del tos- sicomane in cerca del punto di rottura, del gesto che incep- pa il meccani- smo, della ferita originaria… Abbiamo enumerato sconfitte e fallimenti, astratti furori e incomprensioni, fraintendimenti e distrazioni… Abbiamo evocato la mancanza d’amore. Il poco amore. Il troppo amore. Il sentimento sbagliato di sé. La paura di non farcela. La fatica di esistere. Di essere se stessi. Al termine di tutte le spiegazioni, invocate soprattutto per dare un senso a una morte prematura, abbiamo rivolto lo sguardo altrove.
Una volta esaurito il lavoro del concetto, tentate tutte le spiegazioni, non paghi della logica e della scienza e dell’esperienza, abbiamo considerato il dolore delle madri – quello dei padri non interessa nella stessa misura -, per aiutare le stesse madri a darsi una ragione della violenza più grande. Ieri Ester diceva che non è naturale il fatto che un figlio muoia prima dei genitori. Ho pensato a lei.
Mi è tornato in mente il testo di Tiziano Scarpa, Stabat mater, e con esso lo Stabat Mater di Vivaldi, e poi quello di Pergolesi e di Scarlatti. Ho cercato il denominatore comune, per dare una risposta all’interrogativo: cosa significa per una madre veder morire un figlio? Forse, una prima risposta è contenuta proprio nel testo dello Stabat mater. Esso può aiutare a pensarsi oltre il dolore e la morte… perché un’esperienza anche più grande è stata fatta dalla madre di Cristo. E cosa contiene il testo che ce ne parla? Seguiamolo in latino e in italiano sulla base di quanto riferisce Wikipedia:
Stabat Mater dolorósa iuxta crucem lacrimósa, dum pendébat Fílius. Cuius ánimam geméntem, contristátam et doléntem pertransívit gládius. O quam tristis et afflícta fuit illa benedícta Mater Unigéniti ! Quae moerébat et dolébat, pia mater, cum vidébat nati poenas íncliti. Quis est homo, qui non fleret, Christi Matrem si vidéret in tanto supplício? Quis non posset contristári, piam Matrem contemplári doléntem cum Filio ? Pro peccátis suae gentis vidit Jesum in torméntis et flagéllis subditum. Vidit suum dulcem natum moriéntem desolátum, dum emísit spíritum. Eia, mater, fons amóris, me sentíre vim dolóris fac, ut tecum lúgeam. Fac, ut árdeat cor meum in amándo Christum Deum, ut sibi compláceam. Sancta Mater, istud agas, crucifíxi fige plagas cordi meo válide. Tui Nati vulneráti, tam dignáti pro me pati, poenas mecum dívide. Fac me vere tecum flere, Crucifíxo condolére donec ego víxero. Iuxta crucem tecum stare, te libenter sociáre in planctu desídero. Virgo vírginum praeclára, mihi iam non sis amára, fac me tecum plángere. Fac, ut portem Christi mortem, passiónis fac me sortem et plagas recólere. Fac me plagis vulnerári, cruce hac inebriári et cruóre Fílii. Flammis urar ne succénsus, per te, Virgo, sim defénsus in die iudícii. Fac me cruce custodíri morte Christi praemuníri, confovéri grátia. Quando corpus moriétur, fac, ut ánimae donétur paradísi glória. Amen. |
La Madre addolorata stava in lacrime presso la Croce su cui pendeva il Figlio. E il suo animo gemente, contristato e dolente una spada trafiggeva. Oh, quanto triste e afflitta fu la benedetta Madre dell’Unigenito! Come si rattristava e si doleva la pia Madre vedendo le pene dell’inclito Figlio! Chi non piangerebbe al vedere la Madre di Cristo in tanto supplizio? Chi non si rattristerebbe al contemplare la pia Madre dolente accanto al Figlio ? A causa dei peccati del suo popolo Ella vide Gesù nei tormenti, sottoposto ai flagelli. Vide il suo dolce Figlio che moriva, abbandonato da tutti, mentre esalava lo spirito. Oh, Madre, fonte d’amore, fammi provare lo stesso dolore perché possa piangere con te. Fa’ che il mio cuore arda nell’amare Cristo Dio per fare cosa a lui gradita. Santa Madre, fai questo: imprimi le piaghe del tuo Figlio crocifisso fortemente nel mio cuore. Del tuo figlio ferito che si è degnato di patire per me, dividi con me le pene. Fammi piangere intensamente con te, condividendo il dolore del Crocifisso, finché io vivrò. Accanto alla Croce desidero stare con te, in tua compagnia, nel compianto. O Vergine gloriosa fra le vergini non essere aspra con me, fammi piangere con te. Fa’ che io porti la morte di Cristo, avere parte alla sua passione e ricordarmi delle sue piaghe. Fa’ che sia ferito delle sue ferite, che mi inebri con la Croce e del sangue del tuo Figlio. Che io non sia bruciato dalle fiamme, che io sia, o Vergine, da te difeso nel giorno del giudizio. Fa’ che io sia protetto dalla Croce, che io sia fortificato dalla morte di Cristo, consolato dalla grazia. E quando il mio corpo morirà fa’ che all’anima sia data la gloria del Paradiso. Amen.
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Gemere e affliggersi. Rattristarsi e dolersi. Piangere. La voce che si rivolge alla Madre di Cristo chiede: Oh, Madre, fonte d’amore, / fammi provare lo stesso dolore / perché possa piangere con te. Una prima scoperta: c’è da chiedere un dolore più grande! Un dolore che sia almeno paragonabile a quello provato da Lei. Santa Madre, fai questo: / imprimi le piaghe del tuo Figlio crocifisso / fortemente nel mio cuore. Addirittura, la voce chiede di patire le stesse piaghe del Figlio! Condividere il dolore del Crocifisso. Essere parte del compianto. Essere feriti delle sue ferite. Essere fortificati dalla morte di Cristo. Consolati dalla grazia. Inebriarsi del sangue del Figlio.
Le madri hanno, allora, una via da percorrere nell’ora che non ha sorelle: non chiudersi nel loro dolore. Sapere che c’è un dolore più grande. Chiedere di poter partecipare ad esso. Trovare conforto nella grazia che si riceve tra i doni inaspettati. La grazia forse è il privilegio di ritrovarsi a vivere un’esperienza analoga a quella che provò la Vergine ai piedi della Croce. Riconoscere quel dolore come motivo di conforto e di speranza. Se da quella Passione derivò una Resurrezione e la promessa di Salvezza, è da quel dolore che non bisogna mai distogliere lo sguardo. Il senso che daremo ad esso ci aiuterà a trovarne per il nostro.
Nei prossimi giorni proporrò alla madre di Benedetto l’ascolto di Vivaldi e la lettura di Scarpa, perché trovi un primo motivo di conforto nell’una e nell’altra cosa. Non dobbiamo sempre trovare una ragione per il nostro dolore, perché non ci costringa a credere che avrà ragione di noi, per non restare confusi in eterno, come dicevamo da bambini con l’aiuto del vecchio Catechismo?
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CAMMINARSI DENTRO (195): L’ora del lupo
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Mercoledì, 8 giugno 2011
Era accaduto già altre volte, infinite volte, in quell’ora della notte che non è solo un’ora: si dice che vada dalle due alle cinque del mattino. Io ricordo che è l’ora in cui nascono i bambini, ma è anche l’ora in cui gli uomini muoiono. E’ allora forse che cedono le difese, e la vita nasce. O muore.
E’ accaduto anche questa volta. A me. Mi sono ritrovato per un’intera notte tra un Pronto soccorso e una Sezione TAC e il piano delle Sale operatorie, in una notte angosciosa, consumata tra disperazione e speranza, che si è conclusa con la morte di Benedetto.
Sono andato via alle cinque. La madre mi ha rivelato che è morto poco dopo. Al limite dell’ora del lupo. Io avevo detto a Teresa, che sedeva vicino a me, che l’ora era passata, immaginando che coincidesse con le quattro della notte. Non del mattino. Il mattino non viene dopo? Ero convinto che l’ora fosse passata, dunque che Benedetto fosse fuori pericolo. Avrebbe provveduto un tempo migliore a proteggerlo dai fantasmi che ci portano via.
Mi ero affidato alla notte, a cui non avevo mai creduto, per dare voce alla speranza nel mio cuore. Ero segretamente disperato. Sentivo che Benedetto non ce l’avrebbe fatta. E questo pensiero, che pure veniva confermato di volta in volta dagli amici anestesisti che aggiornavano le notizie con bollettini sempre più cupi, mi rendeva inquieto, perché temevo che gli altri potessero accorgersi di esso e rimproverarmi di essere andato avanti con il tempo, immaginando un esito ancora lontano. Trascorrevo da un’angoscia all’altra. I corridoi deserti dell’Ospedale in disarmo mi spaventavano. Mi ritrovavo ogni tanto a passeggiare da solo attraversandone alcuni vuoti e silenziosi. E mi affrettavo a tornare tra le persone in attesa, per mettere in fuga i fantasmi della notte.
«L’ora del lupo è quel tempo interminabile (per chi teme il sopraggiungere del buio) compreso tra le due e le cinque del mattino, il frangente in cui si palesano i fantasmi, in cui è impossibile trovare il sonno. L’unica possibilità è tenere gli occhi aperti, avvicinando alle pupille la luce di un fiammifero che si consuma velocemente. E poi un nuovo fiammifero, ancora un altro: stessa sorte, fino all’alba». Si apre così una recensione al film di Ingmar Bergman del 1968.
Gli incubi si materializzano nell’ora del lupo. Quando essa si è avvicinata, la speranza ha abbandonato il mio cuore. Quando è passata senza che nessuno dalla Sala operatoria uscisse a pronunciare la sentenza di morte, ho sperato timidamente che accadesse qualcosa che non potevamo nemmeno sospettare che si verificasse…
All’Obitorio, nel pomeriggio, Teresa si è avvicinata e mi ha sussurrato: aveva ragione lei sull’ora del lupo.
Ora non accenna a passare. Il nero stendardo piantato sulla mia anima mi impedisce di risollevarmi dalla tetra malinconia. E’ come se mi aggirassi ancora nei corridoi deserti. E ho paura.
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ANTOLOGIA DEL MALE: Roghi
27 maggio 2011
MICRO WEB TV – GIAMPAOLO COLLETTI, La terra mentre brucia, una web tv denuncia, APOGEOnline – Da tre anni alcuni cittadini campani dotati di videocamera documentano i roghi abusivi tra Napoli, Casera e Benevento. «Abbiamo cominciato per disperazione», dice Angelo Ferrillo.
Giampaolo Colletti è esperto di media digitali e di micro citizen journalism. Nel 2004 ha fondato AltraTV, osservatorio interuniversitario sulle micro web tv italiane, coniando il termine “micro web tv”. Ha lavorato per Rai3 e per Radio24 e attualmente scrive per Nòva24-Sole24Ore. Dal 2009 è presidente della FEMI, federazione che coinvolge quasi duecento tra micro web tv e media digitali dal basso. Nel 2010 per Gruppo24Ore ha scritto “TV fai-da-web”, con la prefazione di Luca de Biase e l’introduzione di Carlo Freccero. Da poche settimane sempre per Gruppo24Ore è in libreria con “Wworkers: i nuovi lavoratori della rete”.
In Rete: www.giampaolocolletti.com
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ANTOLOGIA DEL MALE: L’operaio cingalese maltrattato dal datore di lavoro
27 maggio 2011
IL CASO – L’operaio al lavoro col cartello ‘negro’. Imprenditore condannato per razzismo. – A Segrate un italiano di 38 anni condannato a due anni e mezzo per i maltrattamenti e gli insulti nei confronti di un cingalese 47enne. Il giudice: “La deriva verso l’inciviltà non deve fare proseliti” – la Repubblica online, 26 maggio 2011
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