Non siamo fatti per essere soli

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Non siamo fatti per essere soli

La solitudine, il desiderio di solitudine, non può se non costituire il momento diastolico della vita; e ad essa si accompagna la nostalgia della relazione con gli altri. non siamo fatti per essere soli ma per essere impegnati in orizzonti di senso che ci è possibile riscoprire solo in correlazione continua con il destino degli altri, e che ci consentono di realizzarci, così, fino in fondo. Mai soli e mai da soli. anche se non possiamo rinunciare alla solitudine e al silenzio come oasi, come pausa, dalle quali rinasca, e si rinnovi, ogni volta il dialogo infinito con se stessi e con gli altri: con Dio se la parola della speranza paolina è in noi. Nella solitudine si è soli e non si è soli; nella misura in cui essa sia intenzionale, o imposta, lontananza dal mondo, delle persone e delle cose, o non invece libera scelta. che segua il cammino misterioso verso l’interno.

EUGENIO BORGNA, La solitudine dell’anima, FELTRINELLI 2011, pag.36

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CAMMINARSI DENTRO (188): Ancora sull’Ospite inatteso

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Martedì, 29 marzo 2011

Il tono di un incontro è il ritmo dei passi fatti insieme, la qualità dell’accordo raggiunto con qualcuno, ma soprattutto la natura, l’essenza, la spia di una realtà profonda e vera, anche misteriosa che unisca, piuttosto che dividere. Io dicevo con Valéry: la verità è il tono di un incontro. Posto che ‘incontro’ vale come scoperta di un legame possibile che progressivamente si fa sempre più saldo, fino al punto che lo percepiamo come indistruttibile: calda amicizia, amore adulto, stima che duri per decenni senza che nulla intervenga ad incrinarla; posto che si dà incontro quando diciamo di essere stati fortunati ad incontrare una persona, che non vorremmo perderla di vista, ché ci sentiremmo più poveri, impoveriti dalla perdita…, tutto ciò che interviene a dare tono, a far vivere con armonia le persone, pur in mezzo alle necessarie incomprensioni, risulterà vero, cioè autentico, e le parole saranno veridiche, e le intenzioni sincere, e pensieri, parole e azioni saranno congruenti, non contraddittori.

Ci accade di scoprire piacevolmente che il tempo provvede a rendere sempre più chiaro, più limpido, più trasparente ciò che era già franco, spassionato, convincente, perché basato sui riconoscimenti reciproci. Il benessere spirituale che ricaviamo dal contatto e dallo scambio di idee proviene sicuramente dalla capacità dell’altro di corrisponderci, addirittura di anticipare la manifestazione da parte nostra di bisogni e desideri. E il modo in cui si manifestano ‘cercato’ e ‘trovato’ è vibrante emozione, rinnovato stupore e gioia.

Tra le tante cose belle che ci riserva la vita la più bella perché più di tutte fonte di viva emozione è sentire la voce calda di chi è contento di sentire la nostra voce, di sentire il respiro dei nostri giorni, il ritmo dei nostri racconti. E’ stato detto giustamente da Shakespeare che bisogna andare incontro alla vita come ci viene incontro, cogliendo ogni più piccolo istante di felicità e di custodirlo nel proprio cuore come cosa preziosa da non disperdere in vane recriminazioni o in ostinate domande.

Dei tanti sì alla vita che occorre pronunciare il più convinto deve essere quello che riserviamo allo sguardo premuroso e benevolo di chi non trova faticoso e inutile perdonare le nostre intemperanze e gli accessi d’ira. Non dovremo nemmeno chiedere perdono a chi ci inonderà l’anima con il suo sorriso e non smetterà mai di ringraziare, impedendoci quasi di fare altrettanto, mentre il nostro cuore trabocca di gioia e la piena degli affetti non trova modo di dire a sua volta grazie per il bene ricevuto.

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LA GRANA DELLA VOCE (2): Eugenio Borgna, La solitudine dell’anima

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Martedì, 29 marzo 2011

EUGENIO BORGNA, La solitudine dell’anima

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IMPARARE A LEGGERE (17): Cannabis

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Martedì, 29 marzo 2011


Vai alla pagina del sito di CLAUDIO RISE’ dedicata al libro: contiene un’intervista radiofonica di 2 ore e altro materiale documentario

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Cannabis e danni alla salute. Aspetti tossicologici, neuropsichici, medici, sociali e linee di indirizzo per la prevenzione e il trattamento. A cura di: Serpelloni G.; Diana M.; Gomma M.; Rimondo C. 20 Gennaio 2011 – SINTESI Il testo integrale, capitolo per capitolo, in formato pdf

Con questa pubblicazione si è voluto mettere a fuoco una serie di informazioni scientifiche sugli effetti della cannabis e dei suoi derivati da poter offrire a tutti gli operatori del settore e a quelle persone che vogliono rendersi conto di quanto una sostanza di questo genere possa essere pericolosa per la salute. Nello svolgimento della pubblicazione si sono approfonditi aspetti legati alla disciplina delle neuroscienze ma anche alla psicologia del comportamento e della sociologia. Si è potuto così approfondire una serie di conoscenze strutturandole in una sequenza di articoli che rappresentano un’aggiornata e ricca bibliografia e sitografia per chi volesse ulteriormente approfondire la materia.

Dott. Giovanni Serpelloni Capo Dipartimento Politiche Antidroga Presidenza del Consiglio dei Ministri

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Scienziati della droga – Cannabis, parte prima:

 

Scienziati della droga – Cannabis, parte seconda:

La pagina dedicata a tutte le sostanze d’abuso: per gli Operatori, per genitori ed insegnanti, per gli studenti  

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IMPARARE A LEGGERE (16): In cammino verso il linguaggio delle solitudini

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Martedì, 29 marzo 2011

La solitudine è una condizione ineliminabile dalla vita: e in essa si riflettono desideri di riflessione e di contemplazione, di tristezza e di angoscia, di silenzio e di preghiera, di attesa e di speranza. – EUGENIO BORGNA

Forse sarei più sola
senza la mia solitudine.
EMILY DICKINSON

[Presentazione del libro, dal sito della Casa editrice Feltrinelli ] In questo suo libro Eugenio Borgna assume come filo conduttore della sua personalissima esplorazione dei molti modi di stare al mondo una delle condizioni esistenziali più difficili da descrivere nella sua ricchezza e problematicità. Molti sono infatti i modi d’essere della solitudine e i suoi linguaggi. C’è una solitudine interiore che è fonte di conoscenza di sé e meditazione, una solitudine creatrice e positiva in cui si cela una domanda di serenità e di speranza. E c’è una solitudine dolorosa, negativa, che isola e separa dal mondo, una solitudine che si genera nella malattia, nel dolore dell’anima e del corpo, nella perdita della speranza. E di ognuna di queste due opposte solitudini esistono poi molti vissuti diversi. Eugenio Borgna prende per mano il lettore e con lui attraversa questi mondi. La sua parola sottile ed elegante, la sua delicatezza nell’avvicinare e restituire al lettore le emozioni più severe e la viva intensità con cui sa ricreare lievi vissuti di gioia e felicità rendono questo libro un prezioso viatico per comprendere quanto profonda e spesso ignorata sia la vita interiore, sempre più divorata dalla mondanità e dalla ricerca di mete nutrite di illusioni e apparenze. Non mancano in questo libro le osservazioni e i suggerimenti rivolti a una psichiatria che sappia farsi carico dei silenzi del paziente e della sua domanda di ascolto. Non mancano spunti personali, e richiami alla poesia come accesso privilegiato all’interiorità. Ma soprattutto non mancano l’intensità e l’intelligenza con cui Eugenio Borgna sa creare un colloquio con i suoi ormai innumerevoli lettori.

Eugenio Borgna e Umberto Galimberti presentano La solitudine dell’anima [video]

RadioFeltrinelli – Podcast sulle sofferenze dell’anima di Eugenio Borgna: Presentazione de La solitudine dell’anima [audio]

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Non siamo fatti per essere soli

La solitudine, il desiderio di solitudine, non può se non costituire il momento diastolico della vita; e ad essa si accompagna la nostalgia della relazione con gli altri. non siamo fatti per essere soli ma per essere impegnati in orizzonti di senso che ci è possibile riscoprire solo in correlazione continua con il destino degli altri, e che ci consentono di realizzarci, così, fino in fondo. Mai soli e mai da soli. anche se non possiamo rinunciare alla solitudine e al silenzio come oasi, come pausa, dalle quali rinasca, e si rinnovi, ogni volta il dialogo infinito con se stessi e con gli altri: con Dio se la parola della speranza paolina è in noi. Nella solitudine si è soli e non si è soli; nella misura in cui essa sia intenzionale, o imposta, lontananza dal mondo, delle persone e delle cose, o non invece libera scelta. che segua il cammino misterioso verso l’interno.

EUGENIO BORGNA, La solitudine dell’anima, FELTRINELLI 2011, pag.36

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CAMMINARSI DENTRO (187): Il segno di mio padre

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Lunedì, 28 marzo 2011

Il segno di mio padre, la ferita profonda che non si è mai rimarginata, che io porto in me, e che torna spesso a sanguinare, era in lui ferita profonda che non si rimarginò mai, e che tornò spesso a sanguinare.

Io ho percepito la sua ferita. Ho sentito il dolore che egli portava con sé. Esso ha accompagnato tutta la mia vita e continua a guidare tutti i miei passi. Mio padre mi parlava della sua ferita, del duro cammino di iniziazione della sua vita, delle fatiche e delle umiliazioni che doveva sopportare sul lavoro e nella vita di tutti i giorni, con i parenti e con tutti coloro che non lo stimavano, per realizzare il sogno di una famiglia che vivesse delle sue fatiche e del suo dolore.

Egli non chiamava dolore il suo dolore. Non chiamava iniziazione le tappe, tutte dolorose, che segnarono la sua vita e quella di mia madre. Però, mi parlava della ferita, della pena che portava ogni giorno con sé, quando usciva di casa, e senza il curriculum e lo status e il ruolo, nudo padre, senza nemmeno il più basso dei titoli di studio, per quarant’anni, tutte le mattine è uscito di casa ed è andato non semplicemente a lavorare oscuramente, ma a prendersi la dose quotidiana di umiliazioni, che non gli vennero risparmiate mai.

Egli ce le raccontava. Dunque, provvide a trasmettere la ferita. Ma non si trattava di recriminazioni o di lamenti. Non chiese mai di essere risparmiato. Sapeva bene che il ‘calvario’ quotidiano che gli era toccato in sorte era la sua piccola ‘Passione’. Egli doveva portare su di sé il peso di una sorte che era tutta sua.

Quando avevo appena quattordici anni, in quarto ginnasio, mentre studiavo, veniva discretamente in camera a trovarmi e mi diceva ogni volta di nuovo che io dovevo solo pensare a studiare: al resto avrebbe pensato lui. Mi ricordava le umiliazioni che doveva subire ogni giorno, ma sempre ringraziava perché da quel lavoro derivava il sostentamento della famiglia. Aggiungeva sempre, però, che quel denaro serviva soprattutto a farci studiare.

E’ stato chiamato il gesto dell’elevazione, in ricordo del gesto di Ettore alle Porte Scee, quando, prima di partire per la battaglia da cui non sarebbe più tornato, preso suo figlio in braccio, lo sollevò al cielo e pregò Giove che riservasse a suo figlio un destino più grande del suo. Egli chiese al cielo che suo figlio fosse migliore di lui. Allo stesso modo mio padre, nudo padre, chiedeva solo che io fossi migliore di lui.

Quando oggi sento dire dell’insufficienza dell’esempio, dell’evaporazione del padre, addirittura della sua morte, non posso fare a meno di pensare a quell’uomo semplice, o meglio, alla semplicità del suo sguardo, ché egli seppe vedere l’essenziale. Egli vedeva la vita, tutta la vita. Ne comprendeva il significato. E’ riuscito a raccontarmi tutta la vita. Senza sapere di narratologia e di testualità e di récit e di comunicazione efficace e di categorie dello spirito.

Il miracolo della sua vita risiede nel fatto che perse in guerra suo padre, nel 1915, all’età di due anni. Egli non poté godere del privilegio della ferita di suo padre. Non ricevette in dono il peso di quella ferita. Probabilmente, avrà cercato suo padre per tutta la vita. E lo avrà trovato, da qualche parte. Non riesco a spiegarmi come sia riuscito ad essere così grande. E’ certo che non si limitò a mostrare la sua ferita. Egli ne parlò, come cosa da portare con dignità. Questo era il nostro Segreto.

In un altro tempo ho scritto che l’evento più importante della mia vita è stato la voce di mio padre. Essa risuona ancora dentro di me, monito e anelito. Se oggi riesco a (sop)portare il peso dei dinieghi e degli accorti silenzi, è merito suo. Io lo so che questo è il mio significato.

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IMPARARE A LEGGERE (15): Il segno del padre

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Lunedì, 28 marzo 2011

Il segno del padre marchia, e differenzia, a distanza, la fisionomia dell’individuo che lo porta rispetto a chi non l’ha ricevuto. Per quest’ultimo la perdita non si è fatta ferita, né cicatrice profonda; è rimasta solo ingiuria (inspiegabile dalla coscienza razionale), offesa di cui protestare in diverse sedi, da quelle giudiziarie a quelle civili, a quelle sanitarie, o politiche. […]

Per poter trasmettere la ferita, senza diventare semplicemente sadico, il padre deve però a sua volta averla ricevuta su di sé. Deve essere stato iniziato da un padre, che gli abbia trasmesso il senso profondo della paternità.

Il padre, dunque, è innanzitutto, in prima persona, un “portatore della ferita”; per questo ne può trasmettere al figlio la sensibilità, il sentire. E anche la ricchezza: la capacità di reggerne il dolore e di coglierne il senso. Come racconta con grande acutezza Elias Canetti, in questa leggenda boscimana.

«Un uomo disse ai propri bambini che stessero attenti per vedere se arrivava il nonno. “Guardatevi intorno, mi sembra che il nonno si avvicini. Vedo sul suo corpo i segni delle vecchie ferite”. I bambini stettero attenti e videro un uomo in lontananza. Dissero allora al padre: “Un uomo sta venendo qui”. Il padre disse loro: “E’ il vostro nonno che viene qui. Sapevo che stava venendo. Mi sono accorto della sua venuta dai segni delle sue vecchie ferite. Volevo che voi stessi vedeste: egli viene davvero”».

Commenta Canetti: «… Il vecchio, nonno di quei bambini… in un determinato punto del suo corpo portava il segno di una vecchia ferita ben noto al figlio adulto, padre dei bambini. Era una di quelle ferite che lasciano un segno visibile per sempre… Quando il figlio pensa al padre, pensa alla sua ferita e al punto preciso in cui essa lasciò il segno nel corpo del padre: egli la percepisce nel punto corrispondente del proprio corpo… Egli sente il padre che si avvicina, poiché sente la sua ferita. Lo dice ai bambini… li esorta a stare attenti: e, davvero, un uomo si sta avvicinando. Può essere solo il nonno».

Il figlio sa che il padre è vicino perché sente la sua ferita. E’ la ferita, testimonianza di una perdita (un animale che ha saputo difendersi durante la caccia, una brutta caduta, il segno a sua volta di un difficile esercizio di iniziazione), l’elemento di una comunicazione tra padre e figlio, nel corso delle generazioni. E’ attraverso la propria ferita che, come dice Canetti, il figlio “percepisce” il padre. Il figlio che ha ricevuto l’insegnamento paterno sente, nel proprio organismo psicofisico, la relazione col padre come riacutizzarsi della ferita, consapevolezza della necessità umana della perdita. Colui che invece non ha ricevuto quell’insegnamento, per esempio perché il padre, come tanti uomini d’oggi, non voleva saperne di ferite, e anzi era profondamente impegnato nel non accorgersene, nel banalizzarle, non sente nulla. In lui non si riaccende mai la consapevolezza di nessun dolore, caso mai sostituito da una sorda, a volte nascosta, depressione. Quest’uomo si crede senza ferite, di plastica come il giocattolo Big Jim, l’uomo moderno, che non ha mai contemplato il mistero della Passione, non può essere, a sua volta, profondamente, padre.

CLAUDIO RISE’, Il padre, l’assente inaccettabile, EDIZIONI SAN PAOLO 2003

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IMPARARE A LEGGERE (14): Papà, oggi sei buono o cattivo?

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Domenica, 27 marzo 2011

Dmemory 735, 26 marzo 2011 – Attualità – Papà oggi sei buono o cattivo?, di DANIELA CONDORELLI

Non solo spettatori. 400mila bambini assistono a violenze in famiglia. I rischi: analoghi a quelli di abusi realmente subiti. Ansia, depressione, bassa autostima e il peggiore di tutti, diventare come chi prevarica. Come intervenire?

“Papà entra in casa e gli spio la faccia.Trattengo il fiato sempre, ma se ha gli occhi rossi di più… Non vorrei disturbare. non vorrei mai disturbare”. Li chiamano bambini invisibili. Per la madre, che non ha più risorse. Per la società, che a stento li riconosce. Bambini che vedono, non visti, come Elena Dì, protagonista di Con voce bambina (Edizioni La Meridiana), che racconta la storia di chi, come lei, ha vissuto in un clima quotidiano di vergogna mascherato dietro la parvenza di normalità.

Tanto apparecchio io.
I coltelli sono bianchi o rossi.
Allora: io, mamma e Carro il manico bianco,
papà quello rosso.
Si capisce perché.

Con voce bambina, Edizioni La Meridiana

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CAMMINARSI DENTRO (186): Scendere e togliere

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Domenica, 27 marzo 2011

La tentazione ricorrente di rinunciare all’amore, di proclamare tale rinuncia, senza temere il ridicolo, è facile da vincere. A cosa poi bisognerà rinunciare, se se ne lamenta l’assenza? E non parlo qui dell’amore ‘coniugale’, che per sua natura è fatto di “alti e bassi”, come sento dire spesso. Conosco più di una persona che è pronta a rispondere alla domanda: “Come va?” con un “Discretamente, pur tra alti e bassi”. Queste ultime parole sono anche accompagnate da movimenti delle mani che spiegano ‘alto’ e ‘basso’, ma si tratta sempre di piccoli movimenti, approntati alla bisogna, per dare l’idea di piccole perturbazioni insignificanti: il basso è sempre bilanciato dall’alto. Così, l’equilibrio non è compromesso. Non so cosa questo significhi, ma fa sempre piacere sentir dire che le cose vanno bene!

In verità, in questo periodo preferisco chi è pronto a dirmi: “Va tutto bene, tranne il fatto che ho un cancro”. Mi sembra più umano. Più veritiero. Ammesso che la verità serva a qualcosa, quando poi non abbiamo altro da dirci. Non sto parlando della compagnia di qualche amico lontano affetto da gravi malattie, che pure esiste e con cui è facile parlare della vita. Più modestamente alludo al commercio quotidiano con chi per vocazione o per mestiere dovrebbe intendersi di sentimenti e di affetti e di emozioni e di stati d’animo e di corpo…

L’uso di parole come anima e cuore e sensibilità e affetto non è cosa da raccomandare solo agli esperti. Questi, anzi, comprendono di meno. Pretendono di conoscere ogni più riposto angolo dell’anima, come se ne avessero fatto esperienza. Come se avessero incontrato nella loro breve vita persone e situazioni e momenti di ogni genere! Come se tutto avessero visto e udito! Gli adulti educatori, però, dovrebbero intendersene. Dovrebbero sentire e sceverare e avvertire in sé il riverbero dei moti altrui. Dovrebbero avere una nozione esatta della Compassione, della medesimezza umana, come chiamava Gramsci il comune sentire, il riconoscimento dell’umanità che è negli altri, come è in noi.

Alla fine, cosa resta di scienza ed esperienza se non siamo in grado di assolvere gli altri dalle loro mancanze e imprudenze?

Una giovane Educatrice con la quale ho condiviso recentemente un importante incontro di Educatori, a conclusione di un ragionamento comune, che ci stava portando a condividere l’idea che crescere è scendere, aggiungeva: “… e togliere”. Scendere e togliere. Non siamo andati avanti in quella direzione, ma io spero che lei vorrà farci ancora dono delle sue riflessioni, aiutandoci a comprendere a fondo fin dove si sia spinta con la riflessione personale.

Quello che c’è da togliere, forse, per cominciare, è il superfluo, l’effimero, l’occasionale, ciò che vale come verità di un solo giorno… Se imparassimo a raggiungere e superare, a toccare da vicino le corde personali, forse riusciremmo a perdonare a tutti coloro che diciamo di amare l’imprudenza di un giorno, per non far precipitare nell’insignificanza il valore di un’esistenza a cui abbiamo sempre detto di aver assegnato un valore.

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CAMMINARSI DENTRO (185): Un provvisorio confine

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Domenica, 27 marzo 2011

Stupefatto del mondo mi giunse un’età / che tiravo dei pugni nell’aria e piangevo da solo. / Ascoltare i discorsi di uomini e donne / non sapendo rispondere, è poca allegria. / Ma anche questa è passata: non sono più solo / e, se non so rispondere, so farne a meno. / Ho trovato compagni trovando me stesso.

Ho scoperto che, prima di nascere, sono vissuto / sempre in uomini saldi, signori di sé, / e nessuno sapeva rispondere e tutti erano calmi.

[…]

CESARE PAVESE, Antenati

L’apertura famosa del testo di Pavese, che ha accompagnato gran parte della mia vita, ricordandomi di tanto in tanto gli astratti furori di cui è fatta l’adolescenza e parte grande della giovinezza, mi fa sentire quanto sia patetico attendersi comprensione da chi non è mai stato capace di esprimerla, e dunque di provarla.

E’ ovvio che ognuno di noi pretende di essere compreso – cioè compreso in modo esatto – da tutti coloro con i quali condivide qualche cosa, a qualsiasi titolo. In presenza di istanze unilaterali, non c’è molto da dire: l’indifferenza, lasciar precipitare nell’indifferenza il significato di chi non ha tempo né voglia – né sale in zucca per poterlo fare – né sapienza di cuore per poter sentire – di attraversare la strada che ci separa è la miglior cosa che si possa fare, che vuol dire, poi, non disprezzo o noncuranza o neghittoso rinchiudersi nella propria gabbia dorata. Non c’è alcun primato da rivendicare: piuttosto, prevale il rammarico senza rimpianto per chi non ha saputo vedere un provvisorio confine là dove oggi sembra che ci sia solo deserto e lande desolate, strade impercorribili, intransitabili utopie…

La cosa più divertente è assistere allo spettacolo ricorrente del silenzio di chi detiene un potere che riesce ad esercitare in un solo modo: imponendo la regola per cui se sbagli paghi con l’ostracismo.

Resta sempre vero che l’amore non è cieco, anzi insegna a vedere (U.Curi). Con quali occhiali bisognerà suggerire di sporgersi verso di noi a chi non vede quel provvisorio confine?

La rozzezza è la prassi della stupidità (R.Musil). Con quali occhiali suggeriremo a chi non vuol vedere di volgersi verso il basso a scrutare la linea sottile che nessuno ha disegnato sul terreno e che sta lì da sempre a dividere e a unire, ai confini dello sguardo?

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IMPARARE A LEGGERE (12): Leggere e pensare

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Sabato, 26 marzo 2011

Dei pensieri che pensiamo quando siamo impegnati a leggere non diciamo mai nulla. Quasi ce ne dimentichiamo. Non è un pensare leggendo, come se leggere fosse l’attività primaria e pensare solo una pausa, una distrazione, uno sviamento.

Le condizioni della testualità

• coesione
• coerenza
• intenzionalità 
• accettabilità
• informatività
• situazionalità
• intertestualità

si accamperanno sullo sfondo a ricordarci i movimenti possibili del pensiero tra testo e testo, tra testi e discorsi, tra pensare e scrivere.

Ci accade di essere distratti da una parola che ci procura una viva emozione e che questa ci impedisca di andare avanti con la lettura, come se si fosse determinato un ingorgo, un ‘blocco’ della mente. In realtà, un’associazione di idee si impone alla nostra attenzione costringendoci a una pausa riflessiva.

Se si tratta di termini di cui ci sfugge il significato – un lemma dell’enciclopedia filosofica personale, più che una parola generica o un’espressione tipica dei linguaggi settoriali -, correremo a fissarne il senso più vicino al contesto in cui ci moviamo.

Potremo sentire il bisogno di apporre una annotazione a margine del testo, una piccola sintesi che sia intervenuta a concludere una catena di pensieri, un titoletto per il paragrafo che valga a sua volta come sintesi offerta dall’immaginazione.

Se riusciamo a concepire il funzionamento della nostra mente come un territorio mobile dai confini incerti, ci accadrà discutendo o raccontando di avere la necessità di aprire parentesi, di sospendere il discorso per diffonderci in particolari e dettagli da approfondire, come facciamo con gli ipertesti , aprendo e chiudendo ‘finestre’, tanto che potremmo parlare di mente ipertestuale.

Non è un pensare leggendo, ma un leggere e pensare, un prolungare la lettura in altri testi pensati o un pensiero che corriamo a verificare su altri testi, per tornare subito dopo al testo che stavamo leggendo. Torneremo arricchiti di quei significati di cui avevamo bisogno e che avevano interrotto il corso della lettura.

Il ricorso ad altri testi può farci indugiare a lungo, fino al punto di farci abbandonare la lettura – e allora sarà uno sviamento vero e proprio -, oppure servirà per farci riportare un brano significativo del testo trovato, spesso una citazione che utilizzeremo per la nostra scrittura.

Attingeremo dal Knowledge Management – anche ricorrendo a organizzatori della conoscenza che abbiamo usato nella didattica e che usiamo ancora – e dalle Comunità di pratica le risorse indispensabili per poter ‘rientrare’ nel testo da cui eravamo partiti, fino a ‘consultare’ per noi il Web 2.0 con tutte le sue strutture e funzioni.

Non raramente ci soffermeremo su un testo esemplare anche per anni. Sono stato curvo per venti anni su Krisis. Saggio sulla crisi del pensiero negativo da Nietzsche a Wittgenstein (1976) di Massimo Cacciari, che mi ha aiutato a ‘superare’ le secche dell’ideologia marxista e della dialettica filosofica, ma soprattutto dell’astratta esigenza di un sapere sistematico conchiuso. Dal 2003 sono alle prese con L’ordine del cuore. Etica e teoria del sentire di Roberta De Monticelli, che mi accompagna nel lavoro di approfondimento della conoscenza di emozioni e sentimenti.

Difficile stabilire cosa venga ‘prima’, se leggere o pensare, ché ci accade di immergerci nella lettura e di procedere senza che intervenga alcunché ad interromperla, come ci accade di ‘partire’ da una catena di pensieri che ci conduce a questo o quel testo. Ci accade, ovviamente, di ‘partire’ da un testo e di ritrovarci lungamente a pensare alle implicazioni della scrittura, ‘distratti’ dalle linee di fuga lungo le quali ci avventureremo sempre in cerca di nuova conoscenza, con la speranza di non perderci e di non rimanere confusi in eterno.

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GRAZIELLA TONFONI, Annotare

GRAZIELLA TONFONI, La nota

GRAZIELLA TONFONI, Stili di lettura

FRANCESCO DELL’ORSO, Citazioni bibliografiche, AIB 2007

CLAUDIO GNOLI, Le citazioni bibliografiche. Una guida introduttiva per interpretare e redigere correttamente le citazioni delle fonti bibliografiche, AIB 2000

Breve scheda su Sintesi

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CAMMINARSI DENTRO (184): In un giorno qualsiasi

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Giovedì, 24 marzo 2011

Ringraziamento

Devo molto
a quelli che non amo.
Il sollievo con cui accetto
che siano più vicini a un altro.

La gioia di non essere io
il lupo dei loro agnelli.

Mi sento in pace con loro
e in libertà con loro,
e questo l’amore non può darlo,
né riesce a toglierlo.

Non li aspetto
dalla porta alla finestra.
Paziente
quasi come un orologio solare,
capisco
ciò che l’amore non capisce,
perdono
ciò che l’amore non perdonerebbe mai.

Da un incontro a una lettera
passa non un’eternità,
ma solo qualche giorno o settimana.

I viaggi con loro vanno sempre bene,
i concerti sono ascoltati fino in fondo,
le cattedrali visitate,
i paesaggi nitidi.

E quando ci separano
sette monti e fiumi,
sono monti e fiumi
che si trovano in ogni atlante.

E’ merito loro
se vivo in tre dimensioni,
in uno spazio non lirico e non retorico,
con un orizzonte vero, perchè mobile.

Loro stessi non sanno
quanto portano nelle mani vuote.

“Non devo loro nulla” –
direbbe l’amore
su questa questione aperta.

WISLAWA SZYMBORSKA

 

La dissimulazione onesta è altra cosa. Più che un mentire è nascondere, velare, quando la parola sia conculcata, ad esempio sotto i regimi autoritari. A fin di bene, come si suol dire, quando sia imprudente esprimere giudizi in presenza di persone che non sono in condizione di comprendere. Altra cosa è nascondere verità sgradevoli e inconfessabili, un disagio che monta e che genera senso di estraneità, nausea.

La fatica che si fa a nascondere il dissenso, il contrasto insanabile, che si ripresenta sempre uguale, anche per anni, è inutile. Puntualmente, ragioni forti, prevalentemente ideali, fanno esplodere la rabbia che, incontrollata, si lascia dietro una scia di vergogna e silenzio. E’ allora che riaffiora il sentimento antico, che accompagna la mia vita nelle cose più importanti: io sono della razza di quelli che se ne vanno.

Il vero silenzio cala dalla parte di chi pure dovrebbe parlare, ché alle proprie ragioni si oppongono ragioni non meno forti, non importa quanto nobili. Di tutti i significati che sono stati dati al silenzio questo è quello che mi piace di più, perché ci vedo dentro la giusta punizione che viene inflitta dalla sorte. La continuazione delle discussioni è vana. Resta solo il silenzio. Nel secondo dopoguerra, in seguito a una crisi economica incomprensibile per quei tempi – considerato il valore della realtà che stava morendo -, la rivista della Resistenza francese Combat si limitò, a un certo punto, a pubblicare l’ultimo numero, che si apriva con un: “Silenzio, si chiude”. Seguì un bellissimo silenzio dalla loro parte, che niente e nessuno riuscì a violare.

Delle cose difficili da accettare da parte di chi è incapace di accettare la realtà degli altri c’è proprio quell’Inconfessabile che permea di sé i giorni. Le regole sono chiare. Vengono ‘rispettate’ per anni. Si obbedisce perché non è concesso altro. Almeno fino a quando non sia più possibile contenere dentro di sé il malessere, che monta fino ad esplodere in modo apparentemente immotivato in un giorno qualsiasi.

Goleman ha scritto assieme al Dalai Lama un ponderoso volume sulle emozioni distruttive – rabbia, illusione, desiderio -, tanto da farci sentire quasi al riparo da vizi ed errori che accompagnano la vita quotidiana. Ci dedichiamo con metodo e puntiglio ad esercizi spirituali che valgano a rendere la nostra anima candida e vergine, com’era in origine, quando ci è stata consegnata per l’uso. Ce la mettiamo tutta per essere civili e ipocriti quanto basta, se non riusciamo ad essere schietti e franchi e autentici e sinceri e veridici e trasparenti e disponibili, per non far trasparire sentimenti negativi, propositi di rivalsa, quando non inveterati rancori. Non vogliamo che la piena delle emozioni rompa gli argini! E’ necessario tacere! Tacere è un dovere morale! Non possiamo compromettere il lavoro altrui! Il ‘sacrificio’ – la mancata compensazione – di tutte le proprie frustrazioni e delusioni è compito di sempre. Non abbiamo forse fatto a meno di chiedere per noi, dovendo prima di tutto provvedere ad altri? Ha senso, allora, discriminare tra buone e cattive passioni, se nella mescolanza quotidiana c’è sempre di tutto e sempre bisogna sceverare, provvedendo a liberarsi della spazzatura dell’anima? Cosa sarà mai se un bel giorno non riusciremo a sbarazzarsi efficacemente della merda di turno? Sappiamo bene che ci sarà presentato il conto! Pagheremo, certo. Però, ce la mettiamo tutta per mettere tra parentesi non solo l’uggia più innocua o il pensiero della nostra casa, ma ogni più strano sentire, perché l’Angelo finalmente venga fuori a rischiarare e illuminare. C’è bisogno di luce, non di acqua calda.

Accade pure che tutte le buone intenzioni vadano a farsi friggere in un giorno qualsiasi, in cui ci abbandoniamo all’ira incontrollata e ci giochiamo in pochi minuti il lavoro di decenni. Dopo, è pace e silenzio intorno, come dopo una ridicola battaglia. Salvo riconoscere che sul campo c’è un solo morto.

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CHE TEMPO CHE FA (20 marzo 2011) con Ottavia Piccolo, Jonathan Franzen, Giuliano Amato

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OTTAVIA PICCOLO parla di Donna non rieducabile – JONATHAN FRANZEN parla del suo ultimo romanzo, Libertà – GIULIANO AMATO parla dell’Unità d’Italia – CHE TEMPO CHE FA 20 marzo 2011

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MARCO BELPOLITI, Se l’America è così non ha futuro, l’Espresso online 22 marzo 2011
L’ultimo libro di Johnatan Franzen, ‘Libertà’, racconta una borghesia Wasp autocentrata e decadente. Si legge con piacere, per carità, ma alla fine è una commedia che cerca di far passare per ‘cool’ un Paese sempre più cattivo e brutale

EDMONDO BERTAINA, La “Libertà” secondo Jonathan Franzen, Il Fatto Quotidiano 24 marzo 2011

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Cinquantamila ragioni per vivere

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ROBERTO SAVIANO, Cinquantamila ragioni per vivere. Tutti gli elenchi della felicità.

Tra passioni e piccoli piaceri, che cosa dà realmente un senso all’esistenza? Roberto Saviano, dopo aver stilato al sua lista, aveva chiesto ai nostri lettori di fare altrettanto. E loro hanno risposto in tanti. Più di seimila prsone hanno inviato la loro classifica. Ecco il catalogo dei nostri piaceri più intimi.

CINQUANTAMILA motivi per cui vale la pena vivere. Tutti giunti in pochi giorni. Un’incontenibile voglia di scrivere la carta costituente di se stessi. Elenchi di donne e uomini, di ogni generazione, di ogni parte d’Italia.

La lista di Roberto Saviano

Il senso delle liste

Tutte le liste dei lettori

Le cinque liste scelte da Saviano

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Le voci contro la guerra. Le analisi critiche. La denuncia delle vere ragioni della guerra.

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21 marzo 2011

MASSIMO ZUCCHETTI, Cruise: uno studio di impatto ambientale e sulla salute, IL MANIFESTO 21 marzo 2011
Pubblichiamo uno studio scientifico sugli effetti dell’uranio impoverito contenuto nelle testate dei missili Cruise sganciati sulla Libia. Massimo Zucchetti è docente di impianti nucleari al Politecnico di Torino

VALENTINO PARLATO, Un conflitto per il petrolio, IL MANIFESTO 21 marzo 2011

LUCIO CARACCIOLO, Affidiamoci allo Stellone, Limes 21 marzo 2011

Come nasce il giornale – Repubblica.it Lunedì 21 marzo 2011 – Libia, l’Italia ha perso il ruolo diplomatico

Dal blog MOVIMENTI di CARMINE SAVIANO, “No War”, al via sit-in e iniziative, la Repubblica

Intervista a GIAN ANTONIO STELLA, Può succedere di tutto

CARLO CORNAGLIA, L’amara verità, Il Fatto Quotidiano

DEBORA BILLI, Libia, dove si spellavano i gatti, Il Fatto Quotidiano

EVA MACALI, Odissey Dawn va che è una bomba, Il Fatto Quotidiano

LORENZO DE CICCO, La rivolta dei “pacifisti” berlusconiani, Il Fatto Quotidiano

FERRERO, PRC: In Libia la guerra è della TOTAL contro l’ENI. Fermiamo questa follia.

20 marzo 2011

FURIO COLOMBO, L’equivoco degli Stati Uniti, Il Fatto Quotidiano

FABIO CHIUSI, Libia, i berluscones non ci stanno

No alla guerra e no a Gheddafi – La posizione di Sinistra Ecologia Libertà

CONCITA DE GREGORIO, In coscienza e nel dubbio, l’Unità 20 marzo 2011

Libia, una guerra ingiusta fatta per il petrolio“.
MAURO BIGI, Sindaco di Vezzano sul Crostolo (Reggio Emilia): “I francesi non vogliono farsi fregare come in Iraq, dove tutti i contratti legati al petrolio e per la ricostruzione li gestiscono gli Usa”.

Strada: “Bisognava pensarci prima. La guerra? Non si deve fare mai”, Il Fatto Quotidiano 20 marzo 2011

Dal sito di limes, MAPPA MUNDI. Carte e geopolitica, di ALFONSO DESIDERIO: L’attacco alla Libia e la portaerei Italia, 20 marzo 2011

Che cosa rischia l’Italia
Missili, armi chimiche e azioni isolate: tutte le incognite della vendetta del Raìs, il Corriere della sera 20 marzo 2011

RICCARDO BARENGHI, Né mobilitazione né bandiere: i pacifisti soffrono in silenzio, la Stampa 20 marzo 2011
Viaggio nel popolo arcobaleno.  Tra le denunce di Gino Strada e Paolo Ferrero e i distinguo del governatore della Puglia Vendola che fine ha fatto il movimento?

20 marzo giornata di solidarietà con le lotte dell’Africa del nord
L’appello del Forum sociale mondiale,
Liberazione 20 marzo 2011

La lettura critica di EUGENIO SCALFARI, Rombano i motori dell’armata dell’Occidente, la Repubblica 20 marzo 2011

Libia, Chavez: Gli attacchi sono solo follia impero, alleati si sentono padroni mondo, USA punta solo a petrolio, ANSA 20 marzo, ore 00:50

19 marzo 2011

L’Italia ha già perso la sua guerra di Libia – Eurasia. Rivista di studi geopolitici

Dal blog di BEPPE GRILLO, Morire per Bengasi?

ANGELO DEL BOCA, Prima che sia troppo tardi, Il Manifesto 19 marzo 2011

FABIO AMATO, La scellerata risoluzione ONU che porta alla guerra, Liberazione 19 marzo 2011

A Milano corteo contro l’intervento militare, Il Fatto Quotidiano online 19 marzo 2011

Crisi libica, Bossi: “Noi Italiani bravi a prenderlo in quel posto”, Il Fatto Quotidiano online 19 marzo 2011

FABIO MARCELLI (giurista internazionale), Una guerra contro la Costituzione italiana, Il Fatto Quotidiano 19 marzo 2011

GIULIETTO CHIESA, Un appello per la Libia, Il Fatto Quotidiano online 19 marzo 2011

Maurizio Pallante e Andrea Bertaglio (Esperti di risparmio energetico – MDF), No all’intervento militare contro uno Stato sovrano, Il Fatto Quotidiano 19 marzo 2011

GINO STRADA, Resto contrario alla guerra, la Repubblica 19 marzo 2011

dal blog MOVIMENTI, di CARMINE SAVIANO, Libia, la rabbia dei berluscones, la Repubblica 19 marzo 2011

dal blog IL NON-SENSO DELLA VITA, di PIERGIORGIO ODIFREDDI, Voltafaccia all’italiana, la Repubblica 19 marzo 2011

16 marzo 2011

Libia, la debolezza dell’Occidente – Repubblica TV

9 marzo 2011

L’enigma Libia: tra bombe e diplomazia – Repubblica TV, con Lucio Caracciolo – 27 minuti di video

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