LEGGERE EMANUELE SEVERINO (2): I testi presenti nel web

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Venerdì, 18 febbraio 2011

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La sua opera è pubblicata dall’editore Adelphi

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LEGGERE EMANUELE SEVERINO (1): Lettera di Massimo Cacciari a Emanuele Severino

LEGGERE EMANUELE SEVERINO (2): I testi presenti nel web

LEGGERE EMANUELE SEVERINO (3): «L’uomo è atteso dalla terra che salva».

LEGGERE EMANUELE SEVERINO (4): La struttura originaria è l’essenza del fondamento.

Alle pagine 546-553 del volume 14 – Filosofi italiani contemporanei – della Storia della filosofia Bompiani, curata da Dario Antiseri e Silvano Tagliagambe, è possibile leggere la scheda dedicata ad Emanuele Severino, tanto più preziosa in quanto scritta da lui. Dopo una pagina con vita e opere, la Tesi, seguita da un solo titolo ancora: Nichilismo e Destino. Leggiamo la Tesi:

Se fin dall’inizio la filosofia intende raggiungere la forma più radicale e innegabile di sapere, e in questa sua ricerca è destinata a fallire, l’assolutamente Innegabile appare invece già da sempre e per sempre in ognuno di “noi”, sebbene contrastato dall’isolamento della terra, ossia dalla fede che il divenire delle cose sia la fondamentale o unica terra sicura con cui l’uomo ha a che fare. L’isolamento della terra è la radice ultima del dolore e della morte; e della follia estrema: la negazione dell’Innegabile.

Nella terra isolata appare la “storia dei mortali”: il mito, la distruzione filosofica del mito, la distruzione (in cui consiste l’essenza della filosofia del nostro tempo) della tradizione filosofica, l’avvento della civiltà della tecnica, che spinge al tramonto le grandi forze della tradizione occidentale (e a maggior ragione dell’Oriente), ma che a sua volta è destinata al tramonto. La filosofia è la culla delle opere e dei pensieri dell’Occidente.

Nell’Innegabile – nel “destino della verità” – appare che ogni essente è eterno, che il sopraggiungere delle cose della terra è il comparire e lo scomparire degli eterni; che il destino è lo sfondo eternamente manifesto di ogni comparire e scomparire; che il destino (ognuno degli infiniti luoghi o cerchi in cui appare il destino) è assolutamente se stesso nella Gioia, ossia nell’Apparire della totalità degli essenti, che in ogni cerchio (in ognuno di “noi”) l’isolamento della terra è destinato a tramontare, e la terra è liberata dal dolore, dalla morte e dalla follia; che la Gloria della terra così liberata è l’inesauribile dispiegarsi della Gioia nei cerchi del destino.


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LEGGERE EMANUELE SEVERINO (1): Lettera di Massimo Cacciari a Emanuele Severino

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MASSIMO CACCIARI, La sua lezione è pari a quella di Heidegger, la Repubblica, 22 febbraio 2001

[Pubblichiamo la lettera che Massimo Cacciari ha scritto a Emanuele Severino in una particolare occasione: il commiato del filosofo dall’insegnamento universitario.]

Caro Professore, fu soltanto dopo la pubblicazione del mio Krisis, nel 1976, che lessi per la prima volta le sue fondamentali opere degli anni Cinquanta e Sessanta. Ma credo che proprio la distanza della mia formazione filosofica e delle mie prime esperienze culturali e politiche dal suo percorso di studioso e dall’ambiente in cui esso maturò, mi abbia permesso di avvicinarmi, forse più di altri, al significato davvero decisivo che il suo pensiero riveste per la filosofia del Novecento. Finché la «storia» della filosofia contemporanea continuerà ad essere «giocata» o all’interno della «linea» nietzschiana-heideggeriana-ermeneutica, o nell’opposizione tra questa e quella analitica, temo non ne risulterà mai comprensibile il vero problema. Esso risulta evidente, a mio avviso, soltanto sulla base di una radicale contradizione, di un autentico dramma a due protagonisti: Heidegger e Severino. Si tratta di una relazione inconciliabile, di un aut aut. Quando finiranno le chiacchiere e confusioni alla moda, quando si potrà studiare la nostra epoca da una «buona» distanza, non dubito che tale decisione apparirà il problema fondamentale della nostra filosofia – e non solo. Heidegger – senza alcuna distinzione tra le varie fasi del suo pensiero – coglie tutta l’intrinseca debolezza dell’antiplatonismo idealistico e nietzschiano, per svilupparlo (lungi dal negarlo!), coerentemente e radicalmente, in un grandioso anti-Parmenide. L’opera di Severino (mille miglia oltre ogni astratta polemica) rappresenta l’altro polo. Davvero, ogni altra posizione sembra oggi «costretta» nella forma di questa polarità. Non credo, caro Professore, che aver compreso la sua lezione significhi semplicemente esplorare i contorni di tale polarità e saggiarne le conseguenze. Significa affrontarne la sua pretesa definitività, il suo «consummatum est». La strada finisce anche giungendo alla mèta – anch’essa è aporia. E l’ aporia può essere nuovo inizio. Su questo «scommettono» i suoi migliori allievi, io credo. Ne segua benevolmente l’improbus labor, senza mai consolarne debolezze e contraddizioni.

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RAFAEL ALBERTI, L’angelo buono

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RAFAEL ALBERTI, L’angelo buono

Venne quello che amavo,
quello che invocavo.
Non quello che spazza cieli senza difese,
astri senza capanne,
lune senza patria,
nevi.
Nevi di quelle cadute da una mano,
un nome,
un sogno,
una fronte.
Non quello che alla sua chioma
legò la morte.
Quello che io amavo.
Senza graffiare i venti,
senza foglia ferire né smuovere cristalli.
Quello che alla sua chioma
legò il silenzio.
Senza farmi del male,
per scavarmi un argine di dolce luce nel petto
e rendermi l’anima navigabile.

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ARNFRID ASTEL, Gabriel

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ARNFRID ASTEL, Gabriel

Molto inopportuna fu per me la visita dell’angelo.
Mi entrò senza bussare, mi diede del tu,
come se noi avessimo pascolato insieme i maiali.
Io gli domandai con chi avevo l’onore,
ma lui mi abbracciò senza parlare e pianse amaramente.

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SYLVIA PLATH, La lunga attesa dell’angelo

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SYLVIA PLATH, La lunga attesa dell’angelo

[…] Avvengono miracoli,
se siamo disposti a chiamare miracoli
quegli spasmodici trucchi di radianza.
L’attesa è ricominciata,
la lunga attesa dell’angelo,
di quella sua rara, rarefatta discesa.

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WALLACE STEVENS, L’angelo necessario

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WALLACE STEVENS, L’angelo necessario

Io sono l’Angelo della realtà,
intravisto un istante sulla soglia.
Non ho ala di cenere, né di oro stinto,
né tepore d’aureola mi riscalda.
Non mi seguono stelle in corteo,
in me racchiudo l’essere e il conoscere.
Sono uno come voi, e ciò che sono e so
per me come per voi è la stessa cosa.
Eppure, io sono l’Angelo necessario della terra,
poiché chi vede me vede di nuovo
la terra, libera dai ceppi della mente, dura,
caparbia, e chi ascolta me ne ascolta il canto
monotono levarsi in liquide lentezze e affiorare
in sillabe d’acqua; come un significato
che si cerchi per ripetizioni, approssimando.
O forse io sono soltanto una figura a metà,
intravista un istante, un’invenzione della mente,
un’apparizione tanto lieve all’apparenza
che basta ch’io volga le spalle,
ed eccomi presto, troppo presto, scomparso?

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RAINER MARIA RILKE, L’Angelo

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RAINER MARIA RILKE, L’Angelo

Con un cenno della fronte respinge
lungi da sé ogni vincolo, ogni limite
perché per il suo cuore passa alto e immenso il ciclo
degli eventi che ricorrono eterni.

Nei fondi cieli scorge una folla di figure
che lo chiamano: riconosci, vieni -.
Ciò che ti pesa, perché lo sostengano,
non affidarlo alle sue mani lievi.

Verrebbero nella notte a provarti nella lotta,
trascorrendo la casa come furie,
afferrandoti come per crearti
e strapparti alla forma che ti chiude.

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WILLIAM BLAKE, L’Angelo

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WILLIAM BLAKE, L’Angelo

Ho sognato un Sogno! cosa può voler dire?
E che io ero una vergine Regina
custodita da un mite Angelo:
il male senza senso non è mai stato allontanato!
E io piangevo sia di notte che di giorno,
e lui asciugava le mie lacrime via,
e io piangevo sia di giorno che di notte,
e gli tenevo nascosta la gioia del mio cuore.
Così egli prese le sue ali e se ne andò;
allora la mattina si colorò di un rosso rosa;
asciugai le mie lacrime e armai i miei timori
di diecimila scudi e lance.
Presto il mio Angelo tornò indietro:
ero armata, venne invano,
perché il tempo della giovinezza era passato
e grigi capelli erano sulla mia testa.

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APPUNTI e IDEE (2): Simboli

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Venerdì, 18 febbraio 2011

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Una “ricerca dell’essere che non si risolve nello svanire” postula il risalimento a ciò che c’è di più originario in noi, comunque vorremo intenderlo.

La circostanza offerta dalla scoperta, il 3 dicembre 2010, attraverso il quotidiano “la Repubblica”, dell’opera Il libro dei simboliANGELO AQUARO, Ecco il catalogo dei simboli, che svela l’inconscio del mondo – , pubblicato dall’editore americano Taschen, mi ha suggerito l’idea di costruire un’area da riservare ai Simboli. [Alcune pagine del libro]

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APPUNTI e IDEE (1): In principio era la gioia

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Venerdì, 18 febbraio 2011


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VITO MANCUSO, Il tempo dell’anima. Il bestseller di Fox, teologo “eretico” – la Repubblica 17 febbraio 2011

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Scheda della Casa editrice Fazi

 

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CAMMINARSI DENTRO (177): Grato m’è il sonno

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Giovedì, 17 febbraio 2011

Grato m’è il sonno e più l’esser di sasso
finché nel mondo
l’ingiustizia dura; *
non udir non veder m’è gran ventura,
però non mi
destar, deh parla basso!

MICHELANGELO BUONARROTI

Io conoscevo quest’altra versione, dai testi scolastici: «mentre che’l danno e la vergogna dura».

 

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CAMMINARSI DENTRO (176): Declinare crescendo

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Mercoledì, 16 febbraio 2011

Devi saperti immergere, devi imparare,
un giorno è gioia e un altro giorno obbrobrio,
non desistere, andartene non puoi
quando è mancata all’ora la sua luce.

Durare, aspettare, ora giù a fondo,
ora sommerso ed ora ammutolito,
strana legge, non sono faville,
non soltanto – guardati attorno:

la natura vuol fare le sue ciliegie
anche con pochi bocci in aprile
le sue merci di frutta le conserva
tacitamente fino agli anni buoni.

Nessuno sa dove si nutrono le gemme,
nessuno sa se mai la corolla fiorisca –
durare, aspettare, concedersi,
oscurarsi, invecchiare, aprèslude.

GOTTFRIED BENN

Declinare crescendo è un ossimoro che può andar bene per rappresentare un’età della vita in cui al progressivo venir meno delle opportunità si associa una sempre più chiara capacità di visione.

Il chiasmo che viene fuori incrociando la linea discendente del ‘declinare’ con la linea ascendente del ‘crescere’ è fuorviante per me: invecchiare non è declinare e crescere non è salire. Al contrario, crescere è scendere, e questo scendere è avvicinarsi sempre più alla realtà.

Dicevamo che l’ossimoro può andar bene, a condizione che esca attenuata l’immagine del declinare: si tratta della sera della vita, con la sua penombra e il sapore delicato di tutte le cose note che ritornano a bussare alla mente e al cuore con un volto sempre più familiare. Cessa il tumulto delle passioni, anche se esse non si spengono. L’affanno per il sempre nuovo cede il passo a una valorizzazione di tutto quello che si ha già. Ci si guarda intorno, per scoprire quanto sia ricca la casa di occasioni di vita, dalle cose alle persone. Tra le cose, i tanti libri acquistati e mai letti, perché aspettiamo il momento opportuno per farlo, o perché la loro lettura è stata interrotta. Si tratta di riprendere le letture interrotte. Avendo lavorato intensamente con passione per decenni, si sfrutta la rendita di posizione derivante dai riconoscimenti affettuosi che non mancano mai di arrivare. Sono sempre il Professore, dopo tutto. Non debbo fare nessuna fatica, per sentirmi ancora un amico della verità. Quando mi sveglio al mattino, lo so che sono (stato) un Professore. In Trentino – fra il ’74 e il ’76 – il maggior industriale della città di Rovereto, quando veniva al ricevimento dei genitori, mi chiamava “signor professore”. Un giorno gli chiesi perché mi apostrofasse così. Rispose: “Perché lei insegna a scrivere a mio figlio”. Non mancava mai di fare l’inchino, quando arrivava e quando si allontanava. Ho imparato da lui a fare altrettanto. Esprimo la mia infinita riconoscenza con l’inchino. Tutto questo – l’onda dei ricordi, che cresce di giorno in giorno – e altro ancora non mi sembra (ancora) un declinare.

E’ stato James Hillman a farmi scoprire che crescere è discendere. Il capitolo più bello de Il codice dell’anima è intitolato: Crescere, cioè discendere.

Finché la cultura non riconoscerà che crescere è discendere, tutti i suoi membri si ritroveranno ad annaspare alla cieca per dare un senso agli obnubilamenti  e alle disperazioni di cui l’anima ha bisogno per penetrare nello spessore della vita. Le immagini organiche della crescita si rifanno al simbolo preferito della vita umana, l’albero, ma io voglio capovolgere quell’albero. Il mio modello di crescita ha le radici nel cielo e immagina una graduale discesa verso le cose umane. […] E’ facile vedere le conseguenze sul piano etico di questa immagine capovolta: l’immergersi dell’individuo nel mondo testimonia della discesa dello spirito. La virtù consisterebbe nel rivolgersi verso il basso, come nell’umiltà, nella carità, nell’insegnare, nel non essere superbi. […] – pp.63-70

Un segno di come non si tratti, in verità, di ‘salire’ è stato dato nella mia vita dall’esperienza amorosa e dalla cognizione dell’amore. Tutta la tradizione occidentale ci ha convinti del fatto che l’amore edifica, innalza, nobilita, migliora… In breve, spinge verso l’alto. Forse, proprio questa ‘immagine’ delle cose ci ha traviati, inducendoci ad assegnare alle cose significati sbagliati. Non è forse vero che il carattere delusorio dell’amore e la scoperta che è possibile legarsi lungamente a persone che poi si rivelano anche ai nostri occhi molto ‘meno’ di quello che credevamo costituiscono un autentico sapere di cui ci sono scarse tracce nella letteratura sull’amore? Chi insegna ai ragazzi di che cosa sia effettivamente fatto l’amore? Voglio dire, per non essere frainteso, che anche la persona più complicata e contraddittoria e problematica e infelice richiede che ci inchiniamo di fronte a lei per poterci innalzare fino a ‘raggiungerla’. Discendere è anche questo prendere atto che non siamo migliori delle altre creature e che la creatura più sfortunata può, per avventura, diventare oggetto del nostro amore, e allora ci sarà ben poco da ‘salire’. Se non ci inchineremo di fronte alla sua umanità, non riusciremo mai a sollevarci fino a lei.

Ma l’esperienza amorosa – la personale esperienza – e la conoscenza dell’esperienza altrui non sono state le sole occasioni offertemi dalla vita perché mi rendessi conto della verità delle parole di Hillman. Di quest’altro tornerò a parlare.

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Sentire l’altro

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Laura Boella (scheda) – Sentire l’altro. conoscere e praticare l’empatia, Raffaello Cortina editore 2006 (su ASIA, Associazione Spazio Interiore Ambiente) – Intervista del 29 settembre 2009, sui rapporti con le NeuroscienzeSintesi della Conferenza tenuta al Festival della Filosofia 2009 – Video dell’Incontro con Laura Boella sull’empatia tenuto a Sora il 22 maggio 2007 (la cartella contiene l’Intervento, il dibattito, una scheda su Empatia e kairós, le copertine di tre opere sull’empatia).

GERALDINE BROOKS, L’empatia vale più dell’amore, la Repubblica DWeb n.616, 27 settembre 2008 (testo)

FEDERICO RAMPINI intervista JEREMY RIFKIN, all’uscita del libro La civiltà dell’empatia, la Repubblica 5 marzo 2010 (testo)

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Paul Ekman è studioso delle emozioni e delle espressioni facciali, in particolare delle microespressioni, a cui è dedicata la serie televisiva Lie to me.

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CAMMINARSI DENTRO (175): Oggi piove, qui.

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Costituisce motivo di conforto per me al mattino sentire che posso aprire questo spazio per scrivere, non importa ancora cosa: affiora, magari, solo un inizio come questo: «Costituisce motivo di conforto per me…», mentre il pensiero va al carattere esclusivo – è solo mio – di questo spazio e alle possibilità espressive che dischiude. Dipenderà dalla sensazione ricorrente in questi anni della sgradevolezza di una libertà civile solo apparente? della violenza del potere sempre in agguato?

Mi domando anche se si tratti di uno spazio ‘intimo’, ancorché pubblico, della scrittura. Se sia una faccenda finalmente privata, il solito ‘diario in pubblico’ presentato come altro, aggiornato, ridefinito, abbellito di ragioni un po’ pubbliche un po’ private. E’ storia che non interessa a nessuno, ma è importante scrivere anche i pensieri parassiti, perché sono i miei pensieri. Mentre scrivo, penso. Non ho una ‘brutta copia’ da trascrivere: scrivo sempre in ‘bella copia’, magari tornando sul testo, anche dopo averlo pubblicato. A questo proposito, mi ritrovo a pensare con rammarico che il post pubblicato sarà già stato letto da chi utilizza, ad esempio, un Reader, mentre io, anche a distanza di ore, continuo a rimaneggiare lo scritto: viene voglia di rincorrere le persone – ma chi? – per informarle del fatto che l’ultima aggiunta è decisiva, giacché tutto il post guadagna in chiarezza o prende una piega diversa dalla prima stesura…

Scrivo oggi per ingannare il cuore, che sanguina ferocemente perché uno dei nostri ragazzi giace in Ospedale, tra la vita e la morte. I momenti in cui arriva una notizia, cerchiamo di comprendere, chiediamo supplementi di informazione perché ancora increduli, non possiamo piangere perché in pubblico evitiamo di farlo, magari poi a casa nel bel mezzo della serata, mentre si passa dalla posta a facebook alla lettura dei giornali, ci accade di non riuscire a leggere bene, e non dipende dallo schermo sporco o dalle lenti appannate senza una ragione. Perché piangere, poi? Cosa piangere? Dopo tutti i ragazzi che abbiamo seppellito in questi venti anni e più, ancora un altro? Cosa dire di lui? Radunare i ricordi. Passarli in rassegna. Prepararsi alle cose che si chiederanno di lui. Sceverare tra quello che si può dire e quello che è meglio tacere. Cosa resta, poi? E che senso ha rappresentare una esistenza spezzata, senza dire mai cosa intervenne un anno fa o, come nel suo caso, più di dieci anni fa, a turbare gli equilibri della sua vita, agitando il suo cuore già inquieto e insoddisfatto?

Quante volte la vita è passata sotto i miei occhi e non ho potuto fermarla, per essere balsamo e farmaco, vento leggero che lenisce il dolore e attenua l’angoscia, parola di verità, promessa? Cosa mai avrei potuto promettere io alla vita che passa e se ne va, ogni giorno, perché è chiamata altrove? Quale speranza invocare, quale tregua, quale porto a chi era già al largo della vita e da nessuna parte riusciva a vedere un lembo di costa, la cima di una collina lontana, i lineamenti sbiaditi di una donna che aspetta? All’incrocio di due vie del cuore, non indugiammo insieme. Eppure, non bastò. I passi che facemmo insieme sono solo un pallido ricordo, anche se mille volte tracciammo la strada da percorrere e indicammo la meta più vicina perché non fosse aspro il suo andare. Il nostro delirio sale vanamente agli astri, ormai.

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SOTTO IL SEGNO DI EPIMETEO (0): Per una scuola dello sguardo

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CENTRO DI ASCOLTO LIBERA MENTE

I testi esemplari prodotti nel tempo partono dal 1992. Essi riguardano il Progetto educativo dell’Associazione – che si interseca con quello di Exodus – e la riflessione sull’esperienza educativa, sul lavoro sociale, sull’intervento dei Volontari nel Centro di ascolto.

Libera Mente significa (1992)

Educare all’ascolto (1992)

Empatia e kairós (1992)

Ascolta il tuo cuore, città! – Venti tesi. Per non morire di droga. (1994)

Il brusio degli angeli. Saggio etico-politico sui fondamenti del lavoro sociale (1998)

Progetto educativo (2002)

Progetto per la formazione delle famiglie (2003)

SCHEDE PER LA FORMAZIONE DEGLI EDUCATORI (2002) – Modalità della relazione d’aiuto – Modalità di lavoro con le famiglie – Modalità di lavoro con le ragazze – Modalità del lavoro di strada

Sotto il segno di Epimeteo (2003)

Le basi dell’educabilità di un Educatore (in Exodus) sono tre: muovere verso se stessiverso gli altriverso il mondo. La condizione dell’educabilità dei ragazzi dipende interamente dalla capacità di educare se stessi.

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Una scuola dello sguardo, cioè un’educazione sentimentale per i ragazzi e per gli adulti, perché un percorso di conoscenza di sé e degli altri sostenga il cammino ulteriore della vita. Sentire l’altro che è in noi come l’altro che è fuori di noi non è prerogativa di pochi ma un’abilità che, comunque, non si acquisisce spontaneamente. Di qui la necessità di una ‘scuola’.

Soltanto attraverso adeguati esercizi spirituali è possibile crescere in consapevolezza e imparare a vivere (1). Tra i compiti che ci attendono occorrerà prevedere ancora: imparare a morire (2), imparare a leggere (3), imparare a dialogare (4). Quest’ultimo esercizio a noi sembra il più familiare e forse il più facile da apprendere. In realtà, esso richiede che si stia in ascolto e in dialogo, perennemente aperti alle voci del mondo, per imparare a raggiungere la realtà dell’altro, ciò che gli è più proprio: la conoscenza della persona richiede attenzione e metodo, la presenza, il volto, il vissuto (l’esperienza vissuta come soggettività vissuta, sentimento di sé), la stratificazione della vita affettiva e la profondità del sentire, i sentimenti di valore, nei quali più profondamente ciascuno incontra se stesso.

«Quando io parlo con una persona umana, cerco con i miei occhi i suoi, prendo contatto con l’espressione della sua faccia, in modo da avvertire che la mia parola arriva al volto che mi sta dinanzi. E attraverso il volto a ciò che vi si esprime: allo spirito che pensa; al cuore che sente; alla persona che là esiste. Leggendo nel suo volto, io afferro le ripercussioni che vi si esprimono: afferro lui stesso» (Romano Guardini, Virtù, 1972).

Gli occhi, lo sguardo e il volto sono modi di essere del corpo vivente radicalmente diversi da quelli del corpo fisico. Il corpo in questione – che non è riducibile al mero organismo (Körper), oggetto di studio delle scienze mediche – è il corpo vivente linguistico (Sprachleib), il soggetto che patisce, che agisce, che pensa. Occhi sguardo volto esprimono affezioni dell’anima e le comunicano all’altro. Tutte le complesse operazioni di empatia, delle quali ci serviamo dentro e fuori dei Centri di ascolto per accedere all’invisibile – cioè, alla realtà dell’anima dell’altro – passano attraverso lo sguardo. La parte più grande della nostra esistenza cade sotto lo sguardo dell’altro, anche ciò che è più proprio della singolarità dell’ente: l’inattingibile della «cosa ultima» (M.Cacciari) che costituisce l’invisibile (dell’esperienza).

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La prima tentazione che ci prende quando ci ritroviamo a considerare le esistenze infelici di uomini come Hölderlin, Leopardi, Rebora è quella di spiegarcele nei termini di una maturazione personale rimasta incompiuta. Può venire in nostro soccorso, forse, l’opera di Duccio Demetrio, Elogio dell’immaturità. Poetica dell’età irraggiungibile, edita da Cortina nel 1998. Già nella quarta di copertina leggiamo:

Chi avrà mai decretato che l’immaturità debba precedere ogni traguardo adulto? Perché non capovolgere questo luogo comune e pensare a un’immaturità che continui ad alimentare la nostra vita di innocenza e di speranza? L’immaturità non è un venir meno della maturità, il suo lato d’ombra o il suo tradimento, ma una possibile virtù, un tratto umano e psicologico tra i più fecondi. Certo è fondamentale distinguerla dalle pseudoimmaturità che hanno contribuito ad adombrare quanto di positivo le è proprio: è l’immaturità come risorsa che qui si suggerisce di coltivare, abbandonandosi alla sua “leggerezza”, quando troppa maturità ci opprime e ci spegne.

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Il ruolo dello sguardo nel Counseling.

SARA DE CARLO, L’inflessione dello sguardo. Maurice Merleau-Ponty e l’interrogazione sulla Natura

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ALBERTO OLIVERIO, Teoria delle emozioni

MARTHA NUSSBAUM, L’intelligenza delle emozioni

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L’educazione sentimentale non è da intendere come prescrizione di modelli di comportamento né come un sistema di censure etico-sociali riprese dal senso comune o dalla morale sessuale corrente. Innanzitutto, c’è da combattere l’analfabetismo emotivo, cioè la difficoltà di esprimere compiutamente un rapporto con se stessi, con le proprie emozioni, anche dando un nome ad esse: la battaglia per il riconoscimento, che costituisce uno dei modi d’essere fondamentali dell’amore, come troverà modo di esplicarsi, se la nostra afasia non sarà superata a vantaggio di un chiaro sentire? Sicuramente, tra ‘sentire’ e ‘dire’ è difficile stabilire cosa venga prima e cosa dopo. Quante storie si concludono con un fallimento di una parte o dell’altra per incapacità di difendere il proprio sentire, per la difficoltà di condurre vittoriosamente a termine ogni battaglia per far durare la relazione sentimentale? Tra fraintendimenti e incomprensioni, peserà poco la personale capacità di esprimere le proprie emozioni, difendendo un esatto sentire? Il rapporto uomo-donna andrà declinato in tutte le sue forme e i piani di realtà andranno raccordati tutti, per impedire derive del senso e dépense.

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Negli anni ottanta si riteneva che la cocaina fosse la droga dei ricchi e che l’eroina fosse quella dei poveri. Non si tardò a comprendere che tutte le droghe erano penetrate nelle periferie, tra le case popolari. La loro diffusione presso tutte le ‘classi’ sociali aiutò ad abbandonare ogni sociologismo, a vantaggio di visioni centrate sulla persona. La pedagogia preventiva degli anni novanta scaricò sull’individuo tutto il peso della responsabilità, cioè dei destini personali, trascurando del tutto l’influenza che il mondo esercita su tutti noi. Una società che si avviava a diventare sociopatica, perché orientata al principio del piacere e sempre più incapace di educare al principio di realtà, costituisce oggi il vero problema. Il filosofo Remo Bodei intitola proprio così una delle sue ultime opere: Destini personali. L’età della colonizzazione delle coscienze, edita da Feltrinelli nell’inverno del 2002. In essa i processi di individuazione e i percorsi del riconoscimento non appaiono mai slegati dai sistemi storici e sociali in cui gli individui sono immersi. Ci sarebbe da chiedersi oggi proprio “che ne è di noi”, cosa possiamo sperare ancora, dopo che tante cose sono morte e sembra che all’orizzonte non si intravvedano spiragli di salvezza. Sembra che il mondo vada alla deriva. I cosiddetti potenti della Terra non si sono rivelati mai tanto impotenti come ora. La sete e la schiavitù, gli stupri etnici e le migrazioni, le alterazioni climatiche e il terrorismo internazionale parlano di instabilità dei sistemi e di provvisorietà di tutti i confini. Ci sentiamo indifesi e insicuri. Il rischio della povertà assedia le famiglie. Il futuro appare più una minaccia che una promessa. Dobbiamo chiederci di nuovo: Che fare?

CIO’ CHE VALE PER NOI

Imparare a leggere prima di tutto. Questo esercizio spirituale è tra le pratiche di libertà quella che più ci avvicina al mondo e che affranca la coscienza dalla schiavitù morale.

 

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LEGGERE


REMO BODEI, Destini personali. L’età della colonizzazione delle coscienze, FELTRINELLI 2002

LUIGI ZOJA, Il gesto di Ettore. Preistoria, storia, attualità e scomparsa del padre, BOLLATI BORINGHIERI 2000

PHILIP ZAMBARDO, L’effetto Lucifero. Cattivi si diventa?, RAFFAELLO CORTINA EDITORE 2007

ADRIANO ZAMPERINI, L’indifferenza. Conformismo del sentire e dissenso emozionale, EINAUDI 2007

SEBASTIANO GHISU, Storia dell’indifferenza. Geometrie della distanza dai presocratici a Musil, BESA EDITRICE 2006

Il male, Autori Vari, RAFFAELLO CORTINA EDITORE 2000

SERGIO GIVONE, Che cos’è il male?, Enciclopedia Multimediale delle scienze filosofiche, IL GRILLO, 2.2.1998

SERGIO GIVONE, Le forme del male, Enciclopedia Multimediale delle Scienze Filosofiche, IL GRILLO 8.2.1998

WILLIAM GOLDING, Il signore delle mosche

GIANFRANCO RAVASI, Le porte del peccato. I sette vizi capitali, MONDADORI 2007

UMBERTO GALIMBERTI, I vizi capitali e i nuovi vizi, FELTRINELLI 2007″

ZYGMUN BAUMAN, Vite di scarto, EDITORI LATERZA 2005

CARLO MARIA CIPOLLA, Le leggi fondamentali della stupidità, in Allegro ma non troppo, IL MULINO 1988

• ROBERT MUSIL, Discorso sulla stupidità, SHAKESPEARE & COMPANY 1979

GIORGIO AGAMBEN, Homo sacer. Il potere sovrano e la nuda vita, EINAUDI 1995

ROBERTO ESPOSITO, Bíos. Biopolitica e filosofia, EINAUDI 2004

SERGIO GIVONE, Storia del nulla, LATERZA 1995

MIGUEL BENASAYAG, GÉRARD SCHMIT, L’epoca delle passioni tristi, FELTRINELLI 2004

ANTONIO PRETE, Trattato della lontananza, BOLLATI BORINGHIERI 2008

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