IMPARARE A LEGGERE (8): Il corpo

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UMBERTO GALIMBERTI, Il corpo, FELTRINELLI (prima edizione 1983; ad ogni nuova edizione, l’opera viene accresciuta)

30 novembre 2009 – Il corpo raccontato da Galimberti: 123456789

Il corpo delle donne, secondo Galimberti.


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IMPARARE A LEGGERE (8): Il corpo

CAMMINARSI DENTRO (140): Dovrebbe bastare.

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Avevo scritto tre giorni fa sul ricovero di mia zia in Ospedale, sul suo ‘soggiorno’ in Pronto Soccorso per un giorno intero, pieno di rabbia compressa, a vederla ammucchiata su una barella lungo il corridoio, con i suoi novant’anni, a digiugno per tutto il tempo, silenziosa e attenta, come tutte le donne abruzzesi abituate al sacrificio e alle rinunce. Poi ho cancellato il post. Mi sembrava solo prosa quotidiana. Parlar male di un Ospedale!

Ieri sera sono tornato a trovarla. Quando tutti sono andati via, mi sono trattenuto ancora un po’. Forse cercavo un’intimità perduta da tempo con lei. Abbiamo parlato di una sua sorella rimasta in America, di cose futili, ma anche di come sia facile morire. Ad un tratto, mi ha guardato negli occhi intensamente e mi ha detto: “Io non ho paura di morire”.

Su un ‘tema’ così importante per me, intrecciato com’è con il buon vivere, avrei avuto tanto da dire, ma sono stato preso alla sprovvista. Mi sono trovato stranamente ‘impreparato’. Evidentemente, non si tratta mai della Morte, quando siamo di fronte a un uomo che muore o che crede di dover morire presto. E’ della sua morte che si tratta. Le ragioni di quel sentimento sono solo sue. Solo lei potrebbe dire come sia giunta a quella pace (o a quella rassegnazione). Già la seconda possibilità – che si tratti solo di rassegnazione – rende disperante quell’assenza di paura, l’accettazione senz’altro.

Ma si tratta di questo? Cos’altro avrebbe potuto dirmi, se solo fossi riuscito a parlare ancora, permettendole di aprirsi un po’? Mi è lecito tornare a parlare con lei del suo congedo dalla vita, delle ragioni della sua ‘pace’, per indagare magari su quelle ragioni e tornarmene a casa arricchito di ‘ragioni’ sull’ora che non ha sorelle? Posso tranquillamente riaprire il discorso interrotto, come se fosse un discorso tra gli altri, o andrei a ferire la sua sensibilità? E se fosse tutto lì, se non avesse altro da dire, perché chiaro è il significato della sua esistenza e di questo compimento nulla deve essere detto perché illumini una storia di per sé già chiara? In verità, sono io che non so di lei. E vorrei ora risalire alle cose dimenticate, ai lunghi esercizi di pazienza, alla lunga solitudine, alla quiete raggiunta ripercorrendo una ad una le vie.

Oggi tornerò da lei. Non so se potrò trattenermi ancora da solo. Non so se riuscirò a parlarle ancora come ieri. Ma non dovrebbe bastare il fatto di sapere che non ha paura di morire?

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IMPARARE A LEGGERE (7): Nichilismo

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Il filosofo Umberto Galimberti presenta l’opera L’ospite inquietante. Il nichilismo e i giovani, Feltrinelli 2007 (video-intervista) – (scheda Feltrinelli)

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IMPARARE A LEGGERE (6): I miti del nostro tempo

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Il filosofo UMBERTO GALIMBERTI presenta la sua opera I miti del nostro tempo.


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IMPARARE A LEGGERE (6): I miti del nostro tempo

IMPARARE A LEGGERE (5): Il problema dell’iconismo in Eco

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PIERO POLIDORO, Umberto Eco e il problema dell’iconismoLezione 1 (Gli anni Sessanta)Lezione 2 (Gli anni Settanta)Lezione 3 (Gli anni Novanta) – (Lezioni per il Corso di Semiotica della percezione della professoressa Maria pia Pozzato, Università di Bologna)

 


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IMPARARE A LEGGERE (5): Il problema dell’iconismo in Eco

IMPARARE A LEGGERE (4):

Intervista a Franca D’Agostini

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I lavori della D’Agostini, nell’età del relativismo, sono una vera e propria provocazione. Il fatto di esser spinti ad ammettere di essere una finestra sul mondo attraverso cui guarda la verità o, che è lo stesso, il bisogno di essa, rende, nei nostri tempi, molto perplessi. Ma la perplessità e la meraviglia siano, almeno in filosofia, la nostra fonte.


Intervista: Prima parte (18 giugno 2010) – La dicotomia tra filosofi analitici e continentali

Intervista: Seconda parte (18 giugno 2010) – “Una buona logica non mette il pensiero in catene ma gli dà le ali” – Bertrand Russell

Intervista: Terza parte (18 giugno 2010) – Il ruolo della filosofia

Intervista: Quarta parte (18 giugno 2010) – Il rapporto tra linguaggio ed esperienza vissuta

Intervista: Quinta parte (18 giugno 2010) – Si può spiegare il nulla?



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IMPARARE A LEGGERE (4):

Intervista a Franca D’Agostini

IMPARARE A LEGGERE (3): Documento/monumento

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Sintesi della Voce Documento/monumento – vol.5 dell’Enciclopedia Einaudi 1978, pp.38-48 – curata da JACQUES LE GOFF

In quanto conoscenza del passato (cfr. passato/presente), la storia non sarebbe stata possibile se quest’ultimo non avesse lasciato delle tracce, dei monumenti, supporti della memoria collettiva. Prima d’oggi lo storico ha operato una scelta fra le tracce, privilegiando, a scapito di altri, taluni monumenti, in particolare quelli scritti (cfr. orale/scritto, scrittura), cui accordare la propria fiducia, una volta sottoposti alla critica storica.

Oggi il metodo seguito dagli storici ha subito un cambiamento. Non si tratta più di fare una selezione dei monumenti, bensì di considerare i documenti come dei monumenti, ossia di metterli in serie e trattarli in modo quantitativo; inoltre, di inserirli all’interno di insiemi formati da altri monumenti: le vestigia della cultura materiale, gli oggetti di collezione (cfr. pesi e misure, moneta), i tipi di abitazione, il paesaggio, i fossili (cfr. fossile) e, in particolare, i resti ossei degli animali e degli uomini (cfr. animale, homo). Infine, tenuto conto del fatto che ogni buon documento è nello stesso tempo vero e falso  (cfr. vero/falso), si tratta di metterne in luce le condizioni di produzione (cfr. modo di produzione, produzione/distribuzione), e di mostrare in quale misura sia strumento di un potere (cfr. potere/autorità).

INDICE DELLA VOCE

1. I materiali della memoria collettiva e della storia.

2. Il secolo XX: dal trionfo del documento alla rivoluzione documentaria.

3. La critica dei documenti: verso i documenti/monumenti.


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IMPARARE A LEGGERE (3): Documento/monumento

La libertà è un virus. Aiutaci a diffonderlo.

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CAMMINARSI DENTRO (139): Dimentichi di vivere?

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Su “Goethe e la tradizione degli esercizi spirituali” Pierre Hadot aveva già scritto in passato. La pubblicazione di Ricordati di vivere (2008; la traduzione italiana è del 2009) è stata accompagnata da una mia segnalazione qui, nella primavera del 2009, a cui rimando, perché oggi mi preme concentrarmi sulla suggestione offerta da quel “Ricordati”, come se noi vivessimo dimentichi di vivere. Che cosa significa poi “dimenticarsi di vivere”?

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CAMMINARSI DENTRO (139): Dimentichi di vivere?

CAMMINARSI DENTRO (138): Lo sguardo adulto dell’Educatore.

 

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Annidato all’interno dell’esperienza educativa c’è un inconfessabile tra i più interessanti: le emozioni dell’Educatore. La natura segreta di questi stati di coscienza non è motivo di preoccupazione: nessun essere umano può chiudersi nell’indifferenza nei suoi rapporti con gli altri. Se anche lo facesse, non aumenterebbe l’efficacia dell’azione educativa. Comunque, avvertirà ‘sentimenti’ di approvazione e di disapprovazione. Sarà sempre ben presente e partecipe della vita della classe. L’arcipelago delle emozioni rende difficile, a distanza di tempo, per me renderne conto adeguatamente. Mi limiterò a poche riflessioni.

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CAMMINARSI DENTRO (137): Se in una fredda sera d’inverno qualcuno bussa alla porta.

 

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Un giorno parlerò dei morti, dei nostri morti, di tutti i ragazzi che sono morti senza essere mai diventati vecchi, senza essere stanchi, senza malattie del corpo, senza colpi del destino… Dovrò decidermi a fissare la memoria, magari dicendo tutti i loro nomi e basta. Come abbiamo fatto a volte, in questi lunghi venti anni, quando un Fondatore di Comunità nel mezzo di una Messa ha invitato i presenti a dire ad alta voce il nome di un ragazzo che non c’è più.

Abbiamo anche imparato a seppellirli. Per ognuno di loro scriviamo una pagina che viene letta da un ragazzo che sta bene, perché testimoni con la sua voce ferma che non vince sempre la morte. Ricordiamo a chi non sa quanta mitezza e dolcezza ci fosse in quel cuore, quanta paura, quanto bisogno d’amore.

Sappiamo bene che ogni morte non è servita a niente. Non ha fatto ‘scuola’. Non ha insegnato quanto sia facile morire. Non ha fermato nessuno. Una famiglia si è affannata a scrivere, a testimoniare in pubblico. Una madre è venuta a parlare ai genitori, convinta di trovarcene pochi, perché pensava che la morte di suo figlio avesse scavato nei cuori! che gli altri ragazzi avessero appreso da quella perdita cosa ci sia da fare per impedire che si verifichi l’irreparabile! Quella madre era sbigottita. Disse chiaramente: ma siete ancora tutti qui? La morte di suo figlio allora era stata inutile!?

Marscia mi aveva detto: «Ma come si fa a seppellire un figlio?» – Abbiamo imparato anche questo. Riusciamo perfino a non piangere.

Lo scioglimento arriva molto tempo dopo. Quando, in una fredda sera d’inverno, ci sembra di sentire che qualcuno bussi alla porta, ma non c’è nessuno. Lo sappiamo bene. Sono loro che sommessamente chiedono di essere ricordati. E non c’è giorno che il pensiero non vada a uno di loro. Il nostro cuore è campo anche per loro.

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CAMMINARSI DENTRO (136): L’importanza di essere umani. Per un’etica del riconoscimento.

 

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Mi sono sempre chiesto cosa stessi facendo, cosa fosse la cosa che facevo, e l’idea mi si è chiarita sempre più nel tempo, fino a diventare chiarissima, grazie al testo definitivo di Massimo Cacciari (Liberi di donare) sulla libertà: un discorso che risale al 2000, pronunciato alla presentazione della Carta dei valori del volontariato, a Roma.

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CAMMINARSI DENTRO (135): Il timore e la speranza. Dalla paura di perdere un figlio per droga alla paura di vederlo perdersi di nuovo, dopo la riconquista della libertà.

 

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I genitori di un tossicomane – soprattutto i padri – sono portati a pensare che debba salvarsi solo il figlio, che lui e solo lui abbia un problema, che quel problema se lo sia ‘cercato’ lui, che le ‘cure’ debbano riguardare solo lui. Non comprendono quello che sicuramente accadrà durante la permanenza in un Centro residenziale e al rientro del figlio, nel corso delle ‘verifiche’ periodiche, alla fine del programma di recupero. Difficilmente realizzano che tutto si ‘risolverà’ nella relazione faccia a faccia, che il padre debba soprattutto manifestare le proprie emozioni, stabilire un contatto vivo e franco, che debba essere ricostituito un rapporto in cui il sospetto e la recriminazione non hanno più motivo d’essere.

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CAMMINARSI DENTRO (134): Oltre il dolore più grande. Trovare le vie del cuore, per riaprire la possibilità della speranza.

 

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Dei giorni trascorsi nel Centro di ascolto – il pomeriggio dalle 17.00 alle 20.00 – i più duri sono quelli passati con i genitori che si presentano all’improvviso, senza appuntamento, che si siedono senza nemmeno rendersi conto del fatto che c’è un altro colloquio in corso, e che prendono a parlare dei loro figli senza aspettare che si chieda loro perché sono lì e cosa li porti a comportarsi così.

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CAMMINARSI DENTRO (133): E’ questo declinare crescendo ancora domanda di luce. E chiaro ringraziamento per chi non cessa di alimentare il desiderio indistruttibile.

 

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Dopo ogni lungo peregrinare, quando si sia avvistata la riva, o al culmine dell’ascesa, quando sia possibile scrutare tutto il paesaggio alle proprie spalle, se i nostri occhi vedono con chiarezza il cammino fatto e quasi ogni tappa conserva intatto il significato di sempre, a dispetto di sviste ed errori, non importa quanto grandi, si ha la sensazione di un compimento. Le cose sono al loro posto. Sembra quasi che non ci sia più da decidere cosa significhi questo o quell’avvenimento. L’ordine del cuore coincide con l’ordine delle cose.

E’ uno di quei giorni in cui non mi prende la malinconia, e fino a sera spero di non vederla più, perché l’assedio della tristezza, anche se piccola, a volte toglie il gusto di vivere. Debbo essere lieto di essere giunto a questo compimento. Sembra quasi che non ci sia più da studiare e studiare, per dare un senso alle cose. L’insensatezza del mondo è chiara. Come è chiaro il metodo da adottare ancora, per impedire che prevalga il fascino della dissolvenza. La sobrietà della mente, da sempre praticata, è oggi facile da ottenere, quando, al mattino, mi sveglio e cerco di dare un senso alla mia vita: scopro che essa lo possiede già. E’ forse nell’aver ben vissuto. Sicuramente, è nella mitezza dello sguardo con cui tendo alle cose e con esse alle persone.

So di essere stato un insegnante e di aver lasciato la scuola senza rimpianti e senza alcun rammarico, per occasioni mancate. Ho amato tutti i giorni il mio lavoro, fino al punto che mi sento ancora un insegnante, anche se non lo sono più attivamente. E’ bello essere chiamato ancora ‘professore’, quando esco di casa. Per me è il più alto riconoscimento. Sento che le persone assegnano a quel mio titolo un valore anche morale. Per aver amato i ragazzi e per averli aiutati ad imparare a leggere e a scrivere.

So di essere stato per 21 anni accanto ai ragazzi affetti da tossicomania. E’ una parte della mia identità questo scendere, che è crescere in consapevolezza ed umanità. Ho imparato lungamente ad inchinarmi di fronte agli altri, per potermi innalzare fino a loro. Cercando di salvare loro, in realtà mi sono salvato io. Cioè, sono riuscito ad aprirmi sempre alla speranza, a guardare oltre la terra calpestata nel ‘qui’ ed ‘ora’.

Ho conosciuto sempre la gioia di vivere. Solo oggi, purtroppo, scopro la malinconia e non comprendo se dipenda dalla vecchiaia incipiente o dalla vita che lentamente se ne va. Che mi abbandona. Sempre chiaro è il compito che si deve combattere la malinconia, perché il passato non precipiti nel ‘così fu’: anche le memorie personali debbono essere salvate, magari scrivendo di esse, lasciando che la ferita beante lasci emergere un vissuto lieto o triste. Niente vada perduto del magma che preme. E’ stato detto che si scrive con il desiderio e che non si smette di desiderare. Onore a chi tiene in vita il nostro desiderio di vivere!

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