Carl Orff: Carmina Burana

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“Non sono a sua disposizione”.

E’ giusto che anche i maschi dicano che ci sono donne non disponibili.

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Il vuoto e la domanda di senso (25 gennaio 2008) – Intervento di Franco Battiato, regista di “Niente è come sembra”

Il vuoto e la domanda di senso (video) – Leggi l’articolo

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Umberto Galimberti interviene al Festival della Filosofia (6 ottobre 2009)

In occasione della conferenza stampa che il prof. Galimberti ha tenuto al Festival della Filosofia 2009, gli abbiamo rivolto alcune domande: perché le persone sono interessate ad eventi come il Festival della Filosofia? Il tema del festival era la comunità, ma l’uomo nella nostra società sperimenta un profondo senso di solitudine. Da cosa origina? Infine, ci si può collocare in un piano diverso dai due indicati: il piano della ragione e il piano della follia?

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MARCO TRAVAGLIO, O lodo o carcere – 5 ottobre 2009

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Non dimenticare Anna Politkovskaja

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Ascoltare Dies Irae

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Ascoltare Beethoven

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CAMMINARSI DENTRO (97): Io sono un grande farabutto. Infatti, leggo solo l’Unità e la Repubblica.

Gabriele De Ritis
Via Francesco Vanni, snc
03039 SORA (FR)

Per i piduisti, per i Servizi segreti deviati, per le Ronde naziste.

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rearviewmirror è nata!

E’ nata RearViewMirror!

Il Venerdì de LA REPUBBLICA del 4 settembre 2009 recensisce la nuova Rivista.

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Ascoltare John Zorn

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Mare dentro

Mare dentro, mare dentro
senza peso nel fondo
dove si avvera il sogno.
Due volontà fanno avere un desiderio nell’incontro
il tuo sguardo, il mio sguardo
come un’eco che ripete senza parole: più dentro, più dentro.
Fino al di là del tutto
attraverso il sangue e il midollo.
Però sempre mi sveglio
e sempre voglio essere morto
per restare con la mia bocca
sempre preso nella rete dei tuoi capelli.

 

 

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Piccole cose di valore non quantificabile

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CAMMINARSI DENTRO (96): «Io sono l’angelo!»

Ci sono persone che sono destinate a non morire mai. Esse restano nel nostro cuore e riscaldano la nostra anima per sempre, accompagnando i nostri giorni con la luce del loro spirito indomito. Il prestigio politico e la dirittura morale sono tali che occorre evocare la loro figura per trovare conforto all’infamia dei nostri tempi.

Giacomo Sperduti è una di queste persone. Ho avuto il privilegio di condividere con lui la lunga esperienza politica dentro il Partito Comunista Italiano, di cui sono stato dirigente per quasi dieci anni, a partire dal 1970, quando presi la tessera di partito e cominciai a leggere il quotidiano l’Unità – cosa che non ho smesso di fare, fino ad oggi.

Ricordo, tra le mille cose belle vissute con lui, le riunioni del comitato Federale – l’organismo dirigente provinciale -, in particolare una, molto animata. In essa, Giacomo addirittura era sotto accusa, per ragioni che non ricordo. Egli si difese con un linguaggio forte. Le sue parole risonavano nella Sala delle riunioni facendo tremare l’aria intorno. Alle accuse personali rispose con argomenti che mi stupirono: non usò riferimenti politici; non accennò a fatti; non invocò idee a sostegno di una tesi. Con viva indignazione gridò: «Io sono l’angelo!». Non disse “un angelo”. Disse proprio “l’angelo”. E continuò: «Sono talmente indifferente al denaro, che mia moglie quando esco di casa controlla sempre che ne abbia con me. Me lo infila in tasca a mia insaputa, per non farmi trovare in difficoltà!». A quei tempi era Sindaco di una città vicina a quella in cui io vivo. Della sua onestà non dubitò mai nessuno. Oggi non c’è più. E’ morto un anno fa. Eppure, nel mio cuore è ben viva l’immagine del professore di Filosofia amato da tutti gli studenti, la casa piena di libri, la compagna fedele di sempre, la vasta cultura, l’umanità discreta e sicura. I principi, le idee, i valori. La sua voce calda e accorata, quando parlava della gente per cui visse sempre.

Io sono l’angelo. Io sono puro, incontaminato; occhio puro, mente sincera; visione salda e sincera; fratello fedele nelle aspre battaglie della vita. Come dimenticare quel grido nell’aria, che risuona ancora dentro di me? Come dire ancora quello che significò negli anni successivi, quando il riflusso nel privato, il terrorismo, le viltà intervennero a spegnere l’entusiasmo degli anni in cui si costruivano certezze economiche per chi non ne aveva mai avute?

Con lui conobbi la stagione che si aprì nel 1969, con l’abolizione delle gabbie salariali. Allora, un nostro carpentiere guadagnava la metà di quello che guadagnava il carpentiere di Ponte Tresa, in provincia di Varese. Ci sembrò giustizia introdurre quella novità.

Oggi, c’è chi chiama giustizia il contrario: l’obiettivo, oggi, è abbassare il salario dei lavoratori meridionali!

Oggi non è tempo di angeli. Imperversano gli sciacalli e altri animali che si nutrono della carne dei morti e che danzano allegramente nelle loro ricche case, al riparo da ogni pericolo: la clava della forza è nelle loro mani. Essi la usano contro i poveri e non solo contro di essi. Non è tempo di angeli. Non è morta solo la pietà, come diceva Pasolini. E’ morta perfino la compassione. C’è un acre odore di morte intorno. Di quello che eravamo, nemmeno il ricordo.

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CAMMINARSI DENTRO (95): La porta della Legge è lì, aperta davanti a noi.

HUGO SIMBERG, L’angelo ferito

Giovedì 20 agosto è stato un giorno triste. Esattamente un anno fa moriva Danilo. La famiglia lo ha ricordato con una Messa di suffragio nel paesino dove visse. La Chiesa era piena di gente. All’ingresso, accanto al padre una donna minuta con gli occhi inumiditi dal pianto, come lui. Anche lei era lì a ricordare suo figlio, amico di Danilo. Come se avvertissi il sentimento che li accomunava, ho detto che il tempo non guarisce. E non cura nemmeno. Quando si tratti di un figlio, sembra che il trascorrere del tempo peggiori le cose: il dolore si fa più amaro, il vuoto più allucinato. Entrambi hanno riconosciuto che è così e mi hanno sorriso debolmente. Avevo sentito dire nel Centro di ascolto da alcuni genitori che è così. Marscia mi aveva chiesto, qualche anno fa, l’indomani della morte di Ernest: «Come si fa a seppellire un figlio?». Ora, eravamo lì a considerare con pochi sguardi e pochissime parole quanto sia difficile affrontare un dolore che non diminuisce e non scema con il lutto. La perdita di un figlio giovane è veramente l’Irreparabile per eccellenza. Sulla piazza, da una panchina appartata ho scorto la compagna di Danilo, con il piccolo Mattia, che non conoscerà mai suo padre.

I pensieri che sono venuti dopo non possono essere comunicati a nessuno, perché attengono a quell’ordine di cose che nemmeno la Morte autorizza a nominare: le scelte non fatte, le responsabilità, le colpe. C’è un modo speciale di pregare, oltre il canto corale e il rito ecclesiale. E’ il lavoro paziente ed ostinato della mente che rievoca i giorni perduti e i sorrisi, le voci e le pause della vita. Queste ultime, più di ogni altra cosa, sono responsabili dei mancati giorni: ah, se potessimo riempire in fretta quei vuoti e lanciarci nella mischia della vita e dire Sì! acconsentire a chi si fa angelo per noi e indica la strada che poi percorreremo insieme!

Noi viviamo invece in quell’intervallo, che dilatiamo a dismisura, rimandando ad altre ore e ad altro giorno quello che dovremmo fare subito, perché la vita ci chiama. Occasioni perdute? Appuntamenti mancati? Quale nome dare alla facile illusione che le cose miglioreranno, senza che noi mettiamo nelle cose stesse parte del nostro sangue, il sudore della fronte, l’ansia di fare?

E’ proprio di fronte alla perdita irreparabile che risalta il valore dell’Educazione, la fatica di Sisifo sempre rinnovata degli oscuri agrimensori del reale che ricreano per le giovani menti le carte della terra e del cielo, infaticabilmente.
Plasmare ciò che c’è di più irreale e indicare le strade nel deserto è compito: e cos’altro dovremmo fare se non affidare alle parole il compito di dire quello che salva? Dobbiamo forse rinunciare all’idea che possiamo essere fonte di speranza e occasione di salvezza? Saremo dunque timidi di fronte alle parole più grandi – speranza, pace, salvezza – e declineremo l’invito che ci è stato rivolto la prima volta da chi ci prese per mano e ci spinse a donare il tempo e con esso la parte migliore di noi, per salvare il mondo? Non è più vero che «chi salva una vita salva il mondo intero»? Ci arrenderemo di fronte all’Oceano, spaventati dal pensiero che da esso potremo sottrarre solo poche gocce d’acqua con il nostro cucchiaino, ingannati dagli strumenti ben più potenti di coloro che ciechi avanzano senza vedere che distratti calpestano i corpi e le anime dei loro figli, incuranti del bisbiglio che sale tremendo dalla Terra, voce che implora e che accusa e che non trova pace, perché i Padri sono assenti, lontani, distratti dalle cure del mondo, resi muti dal dolore dei figli ormai lontani? Dove troveremo il coraggio di consistere nelle nostre case, senza cercare lontano le nostre ragioni? Quando apriremo il nostro cuore al grido che sale da ogni parte del mondo dei figli smarriti e dolenti, storditi dalle luci artefatte della città, istupiditi e stanchi di cercare chi tace accanto a loro, immemore del compito?

Sempre di nuovo, la porta spalancata che si staglia davanti a noi aspetta di essere varcata proprio da noi. Essa è stata aperta per noi. Se indugeremo ancora, sarà chiusa e resterà chiusa per sempre.

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