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Mercoledì 25 gennaio 2012
Contributi a una cultura dell’Ascolto
CAMMINARSI DENTRO (339): Il desiderio
Estratto da un’intervista a Michel Foucalt sulla nascita dell’Ermeneutica del soggetto e sul passaggio dal concetto di Piacere nell’Antichità classica a quello di desiderio nel primo periodo cristiano.
In un articolo datato 16 aprile 2008, intitolato Un’etica del desiderio indistruttibile, assumevo il desiderio stesso come primum assoluto, radice di ogni facoltà e volontà, a partire dall’espressione di Lacan «L’unica colpa di un soggetto è di cedere sul suo desiderio»! Come se il punto di intersezione tra desiderio e linguaggio – è quello che pensavo da anni – valesse ad indicare l’origine dell’individuo, la sua ‘nascita’.
Un primo contributo di chiarezza è venuto da Roberta De Monticelli che ne L’ordine del cuore. Etica e teoria del sentire dedica al tema una Digressione sul desiderio:
Questa felicità del consentire, nella quale il riconoscimento dell’altro e la riconoscenza nei suoi confronti è immediatamente anche un sì a se stessi, un gioioso sì a una nuova o rinnovata parte di sé, è indubbiamente un enigma, oltre che un dato così noto a ciascuno. Un dato che ha tanto colpito da essere sempre registrato: ma troppo spesso in modo distorto. Cosa felice è l’amore, ma perché è felice, anche se quasi sempre è fonte di sofferenza a causa della minaccia costante cui la vita e la felice realizzazione dell’altro è soggetta? Ed ecco che, per spiegare questo enigma, si è erroneamente identificato l’amore con il desiderio, cioè non con la rivelazione di un maggior essere – ovvero la manifestazione, nel risvegliarsi di strati non ancora o non più desti di sensibilità, di un proprio potenziale di vita, conoscenza e azione che si ignorava di avere. Non dunque con quello che l’amore è. Ma con il suo contrario: con la pervicace, sinuosa, fastidiosa oppure esplosiva assenza d’essere, quale si manifesta nel modo della tendenza, cioè dell’appetito, del desiderio: bisogno, domanda, fame, libido, tensione al soddisfacimento, pulsione. La felicità non sarebbe che la speranza o l’attesa della soddisfazione del desiderio, e in questo modo sarebbe anzi il desiderio stesso che si leva. Eppure questa sembra una negazione dell’evidenza. Il desiderio insoddisfatto, e tutto quello che si porta dietro – inquietudine, preoccupazione, ansietà, affanno, brighe, conflitti – sembra il contrario esatto del felice consentire.
Il desiderio – questa eterna obiezione a consentire veramente all’esistenza altrui e alla propria, quest’obiezione costante alla gratitudine. Questa vera radice degli infiniti negoziati e delle infinite guerre di acquisizione che bisogna attraversare prima di consentire, e il più delle volte infelicemente, obtorto collo, al proprio essere. Questa sola radice di invidia, gelosia – o, al meglio, emulazione e competizione. Questo polo, nella vita affettiva, opposto a quello del sentire, sempre pronto a contendergli energia vitale. Questo vettore di tendenza e azione che può affinarsi e più si affina, più, forse, ci rende infelici, quando esaurite le attrattive dell’avere, si volge all’essere. Il desiderio, anche il desiderio d’essere – quello che non si è, che non si è ancora, che non si è più, o che non si è nel tempo – è perenne dissenso con se stessi e perenne obiezione al sì della gratitudine. Nella quale infine si riassume il felice consentire a sé solo attraverso un altro, quando uno rinuncia a «salvare» la propria vita e «salva», in quel caratteristico modo che ciascuno forse conosce, la riceve dalle mani di un altro. Nella gratitudine è l’essenza della beatitudine.
Il desiderio – bisognerà cominciare a scalzare questo falso iddio dal suo trono, se vorremo fare un po’ più di luce sui fenomeni della vita affettiva, e sulle ragioni della nostra insipienza e ordinaria infelicità. non è impresa da poco, sullo sfondo della nostra tradizione, anche della migliore. Questo trono, infatti, non è solo quello forse modesto della vulgata psicoanalitica, è forse anche quello maestoso e in certo modo terribile di Agostino e del desiderio d’essere, del suo… feroce amore.
Non si intenda quindi questa pagina nel senso di una svalutazione di eros, del suo splendore e del suo valore, anche nel senso più corrente di amore fisico. Il «desiderio» di cui qui parliamo è piuttosto l’elemento tendenziale di tutta l’affettività, che ha modi e forme estremamente vari – e che non noi, ma una tradizione rimasta assai influente dopo Freud ha tentato di ricondurre alla sessualità da un lato, e di erigere a fondamento stesso di tutta l’effettività dall’altro. Agostino, che non condivide certo il primo punto, con la sua concezione dell’amor come pondus o forza gravitazionale della creatura invece condivide in certo modo il secondo.ROBERTA DE MONTICELLI, L’ordine del cuore. Etica e teoria del sentire, GARZANTI 2003, pp.176-177
La scoperta occasionale di alcuni saggi pubblicati da psicoanalisti in rete mi ha riportato da qualche mese ad approfondire il punto di vista analitico in materia di dipendenze.
Tutto è iniziato con i saggi di Fagnani.
Poi ho scoperto Recalcati, che mi ha condotto a un sito lacaniano in cui ho ritrovato il gioco del Fort/Da, rappresentazione emblematica della condizione umana: ciò che c’è di più originario in noi non è il desiderio, come è stato affermato in altra parte del sito lacaniano (nel saggio decisivo di Moreno Manghi, Il rifiuto. La Versagung nell’insegnamento di Lacan):
l’errore è voler dedurre tutto dal desiderio considerato come un elemento puro dell’individuo – dal desiderio con quel che comporta come contraccolpi, soddisfazioni e delusioni (Lacan, Seminario IV, 106)
Ho evidenziato il testo con carattere corsivo e neretto, per accentuare ed enfatizzare l’importanza di questo giudizio, espresso dallo stesso Lacan. Manghi prosegue così:
«Al contrario della prospettiva educativa, per Freud non c’è all’origine un desiderio “puro” a cui la legge imporrebbe poi delle frustrazioni che ne ridurrebbero le pretese adeguandolo alla misura del possibile: ma il desiderio ha origine proprio dalla Legge che impone la rinuncia, e se il desiderio, die Begierde, in Freud è degno del suo nome, è proprio perché non rinuncia mai, ma anzi permane irriducibilmente proteso alla ricerca dell’impossibile, al di là di ogni possibile frustrazione».
Nella sezione Clinica del sito lacan-con-freud si legge:
La psicoanalisi, in quanto freudiana, riconosce tre grandi strutture della clinica: LA NEVROSI, LA PSICOSI, LA PERVERSIONE, ciascuna determinata dal modo in cui il soggetto evita di confrontarsi con la castrazione, ossia, rispettivamente: la Verdrängung (“rimo- zione”), la Verwerfung (“preclusione”) la Verleugnung (“rinnegamento”).
Rimane aperta l’esplorazione della struttura clinica della “psicopatologia precoce” (autismo e handicap della prima infanzia), e la questione di veri-ficare se l’anoressia, la “tossicodi- pendenza”, e più generalmente i co-siddetti “nuovi sintomi”, corrispondano effettivamente a delle strutture cliniche a se stanti o non siano delle (tras)for- mazioni sintomatiche comunque ricon- ducibili alla nosografia freudiana “classica”.
Proprio oggi è in uscita l’opera di MASSIMO RE- CALCATI, Ritratti del desi- derio, RAFFAELLO CORTI- NA EDITORE, pagine 190, € 14,00.
INDICE
PARTE PRIMA – GALLERIA DEL DESIDERIO
Ritratti del desiderio
L’esperienza del desiderio
Primo ritratto: il desiderio invidioso
Secondo ritratto: il desiderio dell’Altro
Terzo ritratto: il desiderio e l’angoscia
Quarto ritratto: il desiderio di niente
Quinto ritratto: il desiderio di godere
Sesto ritratto: il desiderio dell’Altrove
Settimo ritratto: il desiderio sessuale
Ottavo ritratto: il desiderio amoroso
Nono ritratto: il desiderio puro o il desiderio di morte
Decimo ritratto: il desiderio dell’analista
PARTE SECONDA – IL MIO LACAN
Breve ritratto di Jacques Lacan
I paradossi del desiderio
– Il mio incontro con Lacan
– Non cedere sul proprio desiderio
– Tacere l’amore
– Leggere Lacan
– Desiderio e godimento
Dall’intervista da lui rilasciata il 18 gennaio, in cui segue il testo integrale dell’intervista rilasciata a Luciana Sica e comparsa su la Repubblica del 17 gennaio, emerge che
il desiderio non è semplicemente la tensione verso l’oggetto desiderato ma è la forza che “apre” l’universo di senso che ci costituisce. Quell’universo “impossibile” che è l’inconscio Reale. L’inconscio in quanto in-conoscibile che ci “abita” e ci plasma prima di qualsiasi articolazione rappresentativa che contempli l’essere.