________________________________________________________________
________________________________________________________________
Servizio Pubblico
________________________________________________________________
________________________________________________________________
CAMMINARSI DENTRO (303): Senza enfasi
________________________________________________________________
Mercoledì 9 novembre 2011
Ben nascosto tra le pieghe dell’anima, il ricordo lontano della voce aspra di mia sorella è sempre vivo. Era uscita a passeggiare come sempre con le sue amiche lungo il Corso della città. Naturalmente, attorniata da ragazzi vocianti che le accompagnavano schiamazzando, come fanno sempre i ragazzi che sciamano nel sole della giovinezza. Era il tempo in cui le donne stavano chiuse in casa. Uscivano sempre accompagnate da qualcuno. Il loro comportamento era seguito da tutta la famiglia. Ne andava dell’onore di tutti. Rientrando a casa, corsi da mio padre a raccontare di averla vista in piazza. Alle sue rimostranze io rispondevo aggiungendo sempre nuovi particolari, per irritare e allarmare mio padre, sicuramente spinto dalla gelosia…
A un certo punto, mia sorella si rivolse a me con voce ferma e sicura e mi disse: «Tu hai l’occhio di bue! Ingigantisci tutto quello che vedi!» e non aggiunse altro. In quell’istante non mi resi conto dell’importanza dell’accaduto, perciò continuai a provocare confusione, senza costrutto. Unica attenuante, l’età. Ero bambino.
Ma tutte le volte che ho ripensato a quelle parole – nel corso della mia vita – ho sentito come un monito risuonare quella voce dentro di me. Era come se volesse dirmi: «Stai attento, perché rischi di provocare guai con il tuo ‘entusiasmo’!». Ho sempre chiamato poi entusiasmo l’enfasi con la quale spesso mi sono espresso in pubblico. Potrei fare l’elenco completo dei più grandi disastri che ho provocato – fino a quelli delle ultime settimane -, contribuendo a compromettere rapporti consolidati. Come dice la mia amica Renata: «Un’altissima quantità di incontri umani viene distrutta da una scarsa tolleranza agli equivoci». Io so che spesso solo di inezie si tratta, ma basta il tono di voce sbagliato, per dare una sensazione di rimprovero. Se si alza la voce per farsi sentire, mentre altri a loro volta creano confusione, si finisce per apparire come aggressivi e intolleranti…
Il fondo di inconfessabile da cui talvolta parliamo è quella zona d’ombra i cui si condensano immagini e voci che si fanno rimprovero e rammarico. Come non sentire che qualcosa di irrevocabile sia accaduto, se anche dopo decenni riaffiorano brevi ricordi che pure pesano sull’anima come grandi torti ed errori, se il loro vivido apparire alla coscienza è sempre accompagnato dalla sensazione pungente di una colpa mai espiata!?
Dedichiamo al perdono molte energie per definirne i modi e i tempi e l’opportunità e il valore morale, ma poi siamo soli con il nostro inconfessabile, che sta lì a ricordarci che quell’errore è stato propizio, perché ha consentito di comprendere quello che andavamo facendo e ci ha aiutato a non commetterne di più gravi.
Ma come ‘spiegare’ da cosa nasca poi il bisogno di perdono che non trova risposta? Altri hanno trascurato di occuparsi di noi, di lenire le ferite dell’anima, di aiutarci a guarirne? Per quali vie aprirsi a queste evidenze, lasciando ‘entrare’ nella propria anima quelli che ci amano e che magari potrebbero essere il farmaco che cura?
La nostra esistenza è fatta anche di queste schegge luminose che mostrano zone remote della coscienza, che sono spesso ciò da cui noi proveniamo e che hanno contribuito grandemente a fare di noi quello che siamo.
*
Contributi a una cultura dell’Ascolto CAMMINARSI DENTRO (302): Leggere ENZO BIANCHI, Perché avete paura? Una lettura del Vangelo di Marco, MONDADORI 2011
________________________________________________________________
Sabato 5 novembre 2011
Come leggere i Vangeli?
Il contenuto
Personaggi e temi principali
Luoghi e tempi dell’azione
Qualche avvertenza per la lettura
Vangelo secondo Marco
1. Titolo – 2. Prologo – 3. Il mistero del Messia e del regno di Dio – 4. Nucleo centrale – 5. La sequela del discepolo – 6. Appendice
Quale figura di cristiano può emergere senza la conoscenza di Gesù Cristo e della sua umanità esemplare? Come può il cristianesimo, senza la spinta vitale del Vangelo, non ridursi a un fatto rituale e culturale o addirittura folkloristico? Enzo Bianchi ha intrapreso un percorso di fede e di vita personale e insieme comunitario per il quale è essenziale la lettura e la comprensione del Vangelo, il testo che il Concilio Vaticano II ha ridato in mano ai cattolici e attraverso il quale il cristiano può nutrire la sua fede e la sua capacità di testimoniarla. Il Vangelo di Marco è quello che più si interroga sulla figura di Gesù: si può definire per molti versi un racconto teologico, un testo attraversato da tensioni narrative, contrasti, chiaroscuri in cui, invece che le parole di Gesù, parlano i fatti, gli eventi, la storia. Il priore di Bose ci accompagna attraverso queste pagine, e ci svela, sgombrando il campo da pericolosi equivoci, cosa vuol dire davvero “prendere la croce”: non certo accettare la sofferenza incondizionatamente né vivere nella paura, ma smettere di ritenersi misura di ogni cosa e abbandonarsi con fiducia alla fede e alla vita.
Contributi a una cultura dell’Ascolto CAMMINARSI DENTRO (301): Noi siamo una preghiera
________________________________________________________________
Venerdì 4 novembre 2011
Leggere MASSIMO RECALCATI, Cosa resta del padre? La paternità nell’epoca ipermoderna, RAFFAELLO CORTINA EDITORE 2011
INTRODUZIONE
Sia grazia essere qui,
grazia anche l’implorare a mani giunte,
stare a labbra serrate, ad occhi bassi
come chi aspetta la sentenza.
Sia grazia essere qui,
nel giusto della vita,
nell’opera del mondo. Sia così.MARIO LUZI, Augurio
1. E’ giusto insegnare ai nostri figli a pregare, se Dio è morto? Mi pongo questo problema come padre prima che come psicoanalista. Ma cosa significa pregare? Significa alimentare nei nostri figli l’illusione in un Dio che non esiste più, in un mondo dietro al mondo? Significa, come pensa una certa cultura del disincanto, alimentare un rituale superstizioso? Oppure insegnare a pregare è un modo per custodire l’evocazione di un Altro che non si può ridurre alla supponenza del nostro sapere, è un modo per preservare il non tutto, per educare all’insufficienza, all’apertura al mistero, all’incontro con l’impossibile da dire? Un mio caro collega non sopporta di sentirmi fare questi discorsi. E’ convinto che la psicoanalisi sia un abbandono senza ritorno di ogni forma di preghiera. Dio non risponde, il Padre tace, il cielo sopra le nostre teste, come ripete Sartre, è vuoto.
Anche io, come il mio amico, non so pregare, sebbene mi sia stato insegnato con cura da mia madre. La preghiera rivolta a Dio appartiene al tempo dell’esistenza di Dio. Eppure ho deciso, con il consenso di mia moglie, di insegnare ai miei figli che è ancora possibile pregare perché la preghiera preserva il luogo dell’Altro come irriducibile a quello dell’io. Per pregare – questo ho trasmesso ai miei figli – bisogna inginocchiarsi e ringraziare. Di fronte a chi? A quale Altro? Non so rispondere e non voglio rispondere a questa domanda. E i miei figli, d’altronde, non me la pongono. Quando me lo chiedono, pratichiamo insieme quello che resta della preghiera: preserviamo lo spazio del mistero, dell’impossibile, del non tutto, del confronto con l’inassimilabilità dell’Altro. Amen, così sia, “sia così”. Nel tempo in cui il Padre non può più rispondere sul senso della vita e della morte, sul senso del bene e del male, nell’epoca che Lacan definisce dell’“evaporazione del padre”, quello che resta è la forza di una preghiera che intende rispettare il mistero di quello che semplicemente esiste.
Freud in L’avvenire di un’illusione, sulla scia del Nietzsche illuminista, evocava la fede nella ragione come antidoto critico nei confronti dell’illusione che ogni religione rappresenta. Il lutto del Padre significava per lui la rivendicazione orgogliosa del carattere finito dell’esistenza. Ma perché, mi chiedo, questo carattere finito dell’esistenza dovrebbe essere tale da sopprimere ogni forma di mistero? L’esistenza […] non è forse un mistero a se stessa? Non siamo qui di fronte a un aspetto fondamentale della funzione paterna nell’epoca ipermoderna? Come preservare l’apertura dell’esistenza al mistero evitando di fare del disincanto una nuova religione, una nuova forma di illusione? Come rendere possibile l’esperienza virtuosa del limite? L’esperienza della nostra castrazione non è forse l’esperienza centrale di ogni autentica preghiera? E non è un compito cruciale della funzione paterna rendere possibile l’incontro con il nostro limite più radicale?
2. Ogni discorso sulla crisi della funzione paterna sembra essere, al tempo stesso, irrimediabilmente datato e irrimediabilmente urgente. Non solo perché non ci si rassegna facilmente al lutto del Padre, ma soprattutto perché l’umanizzazione della vita esige l’incontro con “almeno un padre”. Nell’epoca della sua evaporazio- ne, “qualunque cosa”, affermerà l’ultimo Lacan, potrà esercitarne la funzione. Il Padre non è più una questione di genere o di sangue. La sua Imago ideale non governa più né la famiglia né il corpo sociale. Non si tratta però né di rimpiangere il suo regno né di decretarne la sparizione irreversibile. Per fare a meno di un padre bisogna essere in grado di servirsene, direbbe Lacan. Farne a meno, fare il lutto del Padre, non significa infatti bandire il Padre, esaltare la sua demolizione, decretarne il peso insopportabile o, più semplicemente, l’inutilità. Fare seriamente il lutto del Padre significa accettare l’eredità del padre, accettare tutta l’eredità. Cosa significa? Il soggetto, scriveva Sartre, si può realizzare solo facendo qualcosa di quello che l’Altro (il padre, la madre, la famiglia, la società, gli altri) ha fatto di lui. Per gli esseri umani, per gli esseri che abitano il linguaggio, non c’è possibilità di autosufficienza, non c’è verso di sfuggire alla dipendenza strutturale dall’Altro. Noi siamo, in questo senso, una preghiera.
INDICE
Introduzione, pag.11
PARTE PRIMA
Unire il desiderio alla Legge
Tramonto ed evaporazione del padre
Il gesto di Ettore e il padre castrato
Fraintendimenti della funzione paterna
Il padre primigenio del totalitarismo
Il trionfo del discorso del capitalista
Legge, desiderio e testimonianza paterna
La dissociazione tra Legge e desiderio
Restaurare l’ordine del pater familias?
La Legge come taglio simbolico
La sfida a Dio
Interdizione e donazione
La testimonianza del desiderio
Il legame familiare nell’epoca dell’evaporazione del padre
Le metamorfosi della famiglia
L’umanizzazione della vita
Appartenenza ed erranza
Conflitto e violenza
La differenza generazionale
Essere genitori oggi: una missione impossibile?
Elogio del fallimento
PARTE SECONDA
Testimonianze
“Non devi dimenticarti nulla”
Il suo cervello nelle mani
Ogni padre è morto da sempre
Un atto mancato
Trattenere o gettare via tutto?
Una piccola tazza da barba
La nevrosi come rifiuto dell’eredità
L’intolleranza paterna
Solo un po’ di merda
La testimonianza della memoria
Portare il fuoco
Un mondo senza Legge
“Eccomi!”
La vita del bambino è il verbo di Dio
La Legge del fuoco
L’addio
Eredità e trasmissione del desiderio
Lo spazio della testimonianza
Al di là del familismo
“Io voglio lei!” – “Sarò il suo allenatore!”
Un desiderio deciso
Un’altra iniziazione
La testimonianza non ha modelli ideali
*
«La figura del padre, ridotta a “papi”, invece di sostenere il valore virtuoso del limite, ne autorizza la sua più totale dissoluzione. E riflette la tendenza di fondo della famiglia ipermoderna: entrambi i genitori sono più preoccupati di farsi amare dai loro figli che di educarli. Più ansiosi di proteggerli dai fallimenti che di sopportarne il conflitto, e dunque meno capaci di rappresentare ancora la differenza generazionale».
Cosa resta del padre? «Certamente non l’ideale del Padre, il pater familias, il padre come erede in terra della potenza trascendente di Dio, e nemmeno il padre edipico celebrato da Freud come perno della realtà psichica. Non possiamo più ricorrere all’autorità simbolica del padre, che ormai si è dissolta: lo dicono gli psicoanalisti, i sociologi, i filosofi della politica… Si tratta allora di pensare al padre come “resto”, non più Ideale normativo ma atto singolare e irripetibile, antagonista all’insegnamento esemplare, all’intenzione pedagogica. Quel che resta del padre ha la dimensione di una testimonianza etica, è l’incarnazione della possibilità di vivere ancora animati da passioni, vocazioni, progetti creativi. Seppure senza il ricorso alla fede nella parola dogmatica o attraverso sermoni morali».
«È un uomo che dice “sì!” a ciò che esiste, senza sprofondare nell’abisso di un puro godimento distruttivo, senza rendere la vita equivalente alla volontà di morire o impazzire. La verità che può trasmettere è necessariamente indebolita, perché non vanta modelli esemplari o universali: la sua testimonianza infatti buca ogni esemplarità e ogni universalità, risultando eccentrica e anarchica nei confronti di qualunque retorica educativa. Quel che conta – e resta a un figlio – è come, nella buia notte di un mondo senza Dio, un padre mantenga acceso il fuoco della vita, non la manifestazione di una pura negazione repressiva, ma piuttosto la donazione della fiducia nell’avvenire».
Presentazione del libro sul sito di Jonas: Rassegna stampa e Intervista radiofonica (36 minuti) ➠
Massimo Recalcati presenta in un video l’Associazione Jonas ➠
Il sito dell’Associazione ➠
Letture consigliate ➠
PAOLO DI STEFANO, I nuovi padri? Non educano (Trasmettono passioni), Il Corriere della Sera 13 marzo 2011 ➠
Recensione sul blog della libreria LibOn ➠
________________________________________________________________
CAMMINARSI DENTRO (300): Contro la Malinconia
________________________________________________________________
Giovedì 3 novembre 2011
Quando mi assa- le il sentimento della vergogna, → anch’io cerco di sparire dalla circolazione. Mi chiudo anche per anni negli spazi in cui è possibile evitare i contatti più dolorosi e sgradevoli. E aspetto.
L’ingenua consi- derazione del tempo, che ci porta a pensare che il trascorrere del tempo placherà le ire di chi prova rancore o disprezzo nei nostri confronti, non è sbagliata. Ma non è sempre così, perché c’è chi non perdona: c’è chi non solo non è disposto a dimenticare, ma non concederebbe mai un perdono che si configura come imprescrittibile, irredimibile. E’ l’imperdonabile per eccellenza. D’altra parte, si mostra a noi un’evidenza innegabile: riceviamo ripetute conferme che nulla è cambiato…
Altra cosa è il riemergere dei ricordi: allora, provvediamo noi a crocifiggerci, ricorrendo a chiodi e martello e approntando più volte la scena del martirio.
Immaginiamo ora cosa possa essere l’esistenza di un ragazzo che non ha avuto ancora molto dalla vita e che si ritrovi nel bel mezzo di una dipendenza, e che non ricordi più come ci sia arrivato. Non possiamo fare a meno di pensare oggi che quella che io chiamo esistenza spezzata – perché il tempo della coscienza si è contratto, fino ad arrestarsi il suo flusso ‘progettuale’, la sua naturale protensione verso il futuro – sia solcata anche dal sentimento della vergogna, per i troppi errori commessi: chi si ritrova di fronte all’imperdonabile più grande non vorrà eclissarsi, occupare il minor spazio possibile? E quale perdono vorrà invocare per sé? quanti lo reclamerebbero? da dove cominciare? …
Abbiamo fatto in questi venti anni e più di lavoro con i ragazzi ripetutamente l’esperienza della loro ‘incapacità’ di chiedere perdono. Ma se penso ai miei errori ‘imperdonabili’, mi chiedo come sia possibile senza l’aiuto di chi pure ha subito da noi il torto!
Eugenio Borgna per definire la tossicomania utilizza l’espressione: il fascino insondabile della dissolvenza. La fascinazione del nulla è presente anche nell’esperienza della vergogna. Vorremmo avere a disposizione un luogo sicuro in cui correre a nasconderci. Ma da cosa dovremmo mai nasconderci, se non dallo sguardo severo di chi ci guarda e ci guarda e non mostra mai di avere compassione di noi, di saper comprendere – pur in presenza dell’immane, perché è così che noi viviamo l’irreale scena in cui siamo stati scaraventati – e perdonare, anche senza necessariamente dimenticare?
Perché i ragazzi più sfortunati, quelli più caparbiamente attaccati al piacere e alla felicità, non meritano lo sguardo che non si nega nemmeno a un cane di chi pure potrebbe con un sì aiutare a risalire la china, restituendo dignità e speranza a una coscienza che è solo ‘malata’ d’amore e che non sa quanto capriccioso sia il dèmone che lo incarna e come facilmente ci porti ad errare lasciandoci errare solitari nella piazza affollata?
*
Ciò che pregavi con amore,
che come cosa sacra custodivi,
il destino alle vane ciance umane
ha abbandonato per ludibrio. La folla entrò, la folla irruppe
entro il sacrario dell’anima tua,
e di misteri e di sacrifici ad essa
aperti tu arrossisti tuo malgrado.
Ah, fosse mai che le ali vive
dell’anima librata sulla folla
potessero salvarla dall’assalto
dell’immortale volgarità umana!FËDOR TJUTCEV
*
CAMMINARSI DENTRO (299): Ineluttabili malinconie
________________________________________________________________
Mercoledì 2 novembre 2011
Il potere distruttivo delle illusioni non sarà mai documentato abbastanza! Non parlo degli esempi e degli argomenti da addurre a sostegno della tesi della loro ‘pericolosità’. Su questo c’è una letteratura autorevole, che intendo riproporre. Mi riferisco al lavoro che facciamo su noi stessi lungo le età ulteriori della vita, quando affiorano i ricordi sgradevoli e quando i mancati riconoscimenti ci educano lentamente all’idea che quei riconoscimenti non arriveranno mai, perché magari è troppo tardi per noi, perché i detentori del ‘potere’ da cui dipendiamo hanno modificato le loro regole, che non contemplano più la nostra presenza o che la considerano residuale, niente più!
Gli ‘esempi’ che più mi fanno soffrire oggi non possono diventare materia di ‘discussione’ qui: il danno che già ho ricevuto a causa di esse si accrescerebbe ulteriormente! Questo mi porta a pensare che di vere illusioni si è trattato, che parlarne è rischioso, che questo aspetto non è secondario rispetto alla loro natura.
L’esito di questa scoperta, di cui si fanno sempre più chiare le implicazioni pratiche, è il silenzio: l’effetto più evidente del loro ‘smascheramento’ dentro di me è dato dalla scelta del silenzio. Non parlarne con nessuno è scelta morale, oltre che una forma di difesa.
Una catena di errori che abbia prodotto guasti nei rapporti con qualcuno e per i quali non c’è rimedio si traduce finalmente in un’assoluta assunzione di responsabilità. Se pure altri avranno contribuito o addirittura saranno stati determinanti nell’evoluzione degli eventi, l’impossibilità di parlarne deriva spesso proprio dalla confusione che si è generata, per la quale non vale di pena di chiamare in causa chi non ammetterebbe mai una responsabilità pur piccola.
La mente trascorre da un evento all’altro, cerca l’anello che non tiene, una via di fuga, un argomento a cui aggrapparsi per fornire all’altro la possibilità di aiutarci, magari riconoscendo una parte soltanto di responsabilità, ma è inutile! In alcuni casi non c’è altro da fare che arrendersi di fronte all’intransitabilità di un’utopia, perché in queste dimensioni grandi si traduce il grumo di eventi di cui non si riesce a venire a capo.
Immaginate, ad esempio, che qualcuno abbia messo in giro ‘voci’ su di me, in parte vere. Cosa dovrei fare? Andare a cercare una per una le persone raggiunte da quelle ‘voci’ per fornire l’interpretazione più attendibile, solo perché ‘salva’ la mia immagine dal discredito? Non rischia di essere controproducente il ricorso alle spiegazioni ‘postume’, quando magari il tempo sta già provvedendo a sfumare, a diluire, a illanguidire i ricordi?
La forza delle emozioni che accompagnano l’evento maggiore può essere determinante, facendo propendere per la strada della recriminazione, del lamento, dell’indignazione, se ci convinciamo che in quel modo restituiremo credibilità al nostro nome.
Più spesso, tutte le strade sono ostruite: il garbuglio è tale, la qualità umana delle persone implicate è così scadente che è preferibile tacere. Il silenzio che consegue è la misura di prudenza a cui è indispensabile ricorrere per non complicare il ‘quadro’.
Resta il compito grande dell’elaborazione minuta dei passaggi, dei sentimenti associati alle scelte intempestive, della necessità del danno… Tutto ciò che si è determinato nel tempo è parte della catena che ha portato al danno. In nome del danno, non è possibile invocare ‘sconti’ o addirittura ‘assoluzioni’: la pena va scontata fino in fondo.
Ci sono pene che non finirò mai di scontare, perché ho già potuto verificare che le persone che si ritengono offese, ferite, colpite da me anche a distanza di anni mostrano di non essere per niente intenzionate a perdonarmi.
E’ compito del pudore nascondere la colpa con la catena delle conseguenze, contribuendo a creare lo spazio dell’Inconfessabile che mai nessuno conoscerà.
________________________________________________________________
CAMMINARSI DENTRO (299): Ineluttabili malinconie
Servizio pubblico!
________________________________________________________________
Martedì 1 novembre 2011
Ieri c’è stata la presentazione – durata: 1:16:13 – di Servizio pubblico.
________________________________________________________________
Contributi a una cultura dell’Ascolto CAMMINARSI DENTRO (298): MAX SCHELER, Essenza e forme della simpatia, FRANCO ANGELI 2010
________________________________________________________________
Sabato 29 ottobre 2011
Introduzione di LAURA BOELLA, Rileggere il Sympathiebuch, pp.7-28
1. Un testo inesplorato, pag.7
2. Il co-sentire tra natura, conoscenza ed etica, pag.13
3. Il fenomeno dell’espressione, pag.21
Nota alla traduzione, di Laura Boella, pp.29-32
MAX SCHELER, Essenza e forme della simpatia
Premessa alla prima edizione, pag.33
Premessa alla seconda edizione, pag.34
Premessa alla terza edizione, pag.38
A. Il co-sentire, pp.41-153
I. La cosiddetta etica della simpatia, pag.41
II. Distinzioni tra i fenomeni del “co-sentire”, pag.43
III. Teorie genetiche del co-sentire, pag.67
IV. Le teorie metafisiche, pag.78
1. La dottrina di Schopenauer, pag.78
2. La portata delle teorie metafisiche in generale, pag.83
3. L’amore e le spiegazioni metafisico-monistiche, pag.94
4. Unipatia e metafisica, pag.97
5. Unità della vita, pag.99
V. L’unipatia cosmica nelle figure affettive della storia, pag.101
VI. Le leggi di fondazione della simpatia, pag.116
a) L’unipatia fonda il ri-sentire, pag.116
b) Il ri-sentire fonda il co-sentire, pag.118
c) Il co-sentire fonda la filantropia (humanitas), pag.118
d) La filantropia fonda l’amore acosmico della persona e di Dio, pag.119
VII. La cooperazione delle funzioni simpatetiche (unipatia, ri-sentire, co-sentire, filantropia, e amore cosmico della persona), pag.121
VIII. Origine filogenetica ed espansione del co-sentire, pag.143
IX. Con-patire e con-gioire, i loro modi, pag. 147
X. Il valore etico del co-sentire, pag.149
XI. Il rapporto dell’amore con il co-sentire, pag.150
B. Amore e odio, pp.154-204
I. Per una fenomenologia di amore e odio, pag.154
1. Il negativo, pag.154
2. La datità degli oggetti di valore nell’amore e nell’odio, pag.162
II. I valori fondamentali dell’amore e l’“amore per il bene”, pag.166
III. Amore e persona, pag.169
IV. Forme, modi e tipi dell’amore e dell’odio, pag.171
V. I limiti della teoria naturalistica dell’amore, pag.176
VI. Critica della teoria naturalistica e lineamenti di una teoria costruita sui fenomeni, pag.179
1. Amore e pulsione, pag.179
2. I fatti della prospettiva degli interessi, pag.187
3. Il problema della “trasmissione”, pag. 189
4. L’uniforme espansione di amore e odio, pag.192
5. Dell’ontogenesi di Freud, pag.193
C. L’io altrui. Tentativo di un’eidologia, teoria della conoscenza, metafisica dell’esperienza e posizione reale dell’io altrui e degli esseri viventi, pp.205-247
I. significato e ordine dei problemi, pag.205
II. L’evidenza del tu in generale, pag.222
III. La percezione dell’altro, pag.225
Glossario, a cura di Laura Boella, pp.249-251
________________________________________________________________
Contributi a una cultura dell’Ascolto CAMMINARSI DENTRO (297): MAX SCHELER, Il valore della vita emotiva, GUERINI 1999
________________________________________________________________
Sabato 29 ottobre 2011
Saggio introduttivo – LAURA BOELLA, Il paesaggio interiore e le sue profondità, pp.11-45
1. Idealismo-realismo, pag.20
2. Apparenza e realtà nella coscienza, pag.30
3. La realtà della vita psichica, pag.35
MAX SCHELER, Gli idoli della conoscenza di sé, pp.49-154
Premessa, pag. 49
Capitolo primo – Essenza dell’illusione a differenza dell’errore, pag.59
Capitolo secondo – Illusione e percezione interna, pag.65
Capitolo terzo – Un errore generale nella concezione e spiegazione delle illusioni, pag.97
Capitolo quarto – Fonti generali delle illusioni della percezione interna, pag.105
MAX SCHELER, Riabilitare la virtù, pp.157-178
L’umiltà, pag. 160
La riverenza, pag.171
________________________________________________________________
Leggere anche il knoll del fenomenologo GUIDO CUSINATO dedicato a Scheler.
*
Contributi a una cultura dell’Ascolto CAMMINARSI DENTRO (296): MAX SCHELER, Ordo amoris, ARACNE 2009
________________________________________________________________
Sabato 29 ottobre 2011
«L’uomo, prima di essere un ens cogitans o un ens volens, è un ens amans». Rivendicando il primato dell’amore, Scheler mostra il ruolo delle modalità affettive di consapevolezza nella scoperta e nella co- struzione dell’intima identità personale, non- ché la stretta relazione tra la formazione di tale identità e l’esperienza morale della persona. E questo fino al punto che conoscere intimamente una persona significa conoscere il modo in cui essa ama o odia: «Chi ha l’ordo amoris di un uomo ha l’uomo stesso». [dalla quarta di copertina]
Questa edizione dell’opera di Scheler è arricchita da un saggio introduttivo in cui si esamina il modo originale in cui il filosofo riprende motivi agostiniani, da note al testo che intendono fornire gli strumenti per una corretta lettura, da parole chiave che nell’elaborazione speculativa di Scheler assumono un significato particolare e, infine, da una nota bio-bibliografica in cui, oltre a ricostruire brevemente il cammino esistenziale, intellettuale e filosofico dell’autore, vengono indicati gli studi più recenti che tengono in conto il concetto di ordo amoris.
INDICE
Saggio introduttivo – LORETTA IANNASCOLI, «Ordo amoris» e «ordre du coeur»: la costruzione dello spazio (morale) nel tempo, pp.7-92
1. Inquietas cordis. L’affinità spirituale con Agostino, pag.11.
2. Ordo est amoris. La visione dell’oro amoris in Agostino, pag.21
3. La tranquillità dell’ordine. La realtà in-quieta e in-appagata, pag.26
4. Dilectio e cupiditas. Amore ordinato e amore disordinato, pag.36
5. Amare in Deo. Dio è centro e non termine di ogni comprensione. Il riferimento imprescindibile con il Bene, pag.56
6. L’ordine dell’amore e l’ordine del cuore: «diventa ciò che sei!», pag.65
7. In lumine Dei. Un mondo da costruire assieme, pag.77
MAX SCHELER, Ordo amoris, pp.94-197 – con testo tedesco a fronte
Note del curatore, pp.199-228
Parole chiave, pp.229-234
Nota bio-bibliografica, pp.235-244
Nota bibliografica, pp.245-258
________________________________________________________________
Leggere anche il knoll del fenomenologo GUIDO CUSINATO dedicato a Scheler.
*
Contributi a una cultura dell’Ascolto CAMMINARSI DENTRO (295): MAX SCHELER, Amore e conoscenza, ARACNE 2010
________________________________________________________________
Sabato 29 ottobre 2011
L’essere oggetto d’amore è, per così dire, il luogo in cui solamente la persona esiste e può quindi anche venire alla luce. – MAX SCHELER, Essenza e forme della simpatia
Prima di tutto il saggio introduttivo, perché il tema che propone è nevralgico per noi, qui. Dell’amore, infatti, si dice che non è in Scheler uno dei sentimenti ma, assieme all’odio, quanto di più originario ci sia in noi. Anzi, Scheler assegna all’amore e solo all’amore il compito di fondazione della persona.
Saggio introduttivo – LORETTA IANNASCOLI, L’evidenza specifica del- l’amore, pag.7-76
1. L’esattezza del «senti- re», pag.11
2. La scoperta degli atti intenzionali propri dell’e- mozione, pag.21
3. L’architettura emozio- nale dell’animo umano. I livelli di profondità dei sentimenti intenzionali, pag.31
4. La priorità (non tem- porale ma dell’ordine di fondazione) degli atti di percezione del valore rispetto agli altri atti della coscienza, pag.42
5. A partire da una fenomenologia dell’amore, pag.49
________________________________________________________________
In Amore e conoscenza, come già il titolo enuncia chiaramente, Max Scheler affronta l’antica e complessa questione del rapporto fra amore e conoscenza, sostenendo la tesi che il conoscere è intimamente legato alla capacità di compiere atti d’amore.
Egli esplora dapprima il terreno che, nonostante il diverso sentimento nei confronti dell’esistenza, la filosofia greca e quella indiana hanno in comune, per poi mostrare la novità rivoluzionaria dell’idea cristiana dell’amore, sottolineando che Agostino è stato il primo a darne un’elaborazione concettuale e filosofica che apre la strada per chiarire i rapporti di fondazione fra sfere diverse che si strutturano in base a quello che è un vero e proprio ordine impartito dall’amore.
A Loretta Iannascoli dobbiamo la traduzione, le note e gli apparati, oltre al saggio introduttivo. Con testo tedesco a fronte.
INDICE
Saggio introduttivo, pp.7-76
Max Scheler, Liebe und Erkenntnis – Amore e conoscenza, pp.77-149
Note al testo, pp.151-177
Parole chiave, pp.179-183
Nota bio-bibliografica, pp.185-195
Nota bibliografica, pp.197-209
________________________________________________________________
Leggere anche il knoll del fenomenologo GUIDO CUSINATO dedicato a Scheler.
*
CAMMINARSI DENTRO (294): Nel cerchio dell’apparire
________________________________________________________________
Giovedì 27 ottobre 2011
[Una lettera scritta tanto tempo fa,
tra il sonno e la veglia]
Caro ***,
se ti parlo del tempo dell’attesa e se racconto di un incontro che ci sarà presto con una giovane donna che chiede consiglio e forse qualcosa in più, mi interessa anche farti sentire qualcosa di me in questo intervallo breve della vita.
Quante volte ci ritroviamo a vivere tra la calma piatta della quotidianità e l’irruzione improvvisa nella vita di una presenza di cui non riusciamo a darci una ragione! Corriamo subito a chiedere. Vogliamo sapere di lei. Da dove viene? Dove è diretta? Riconosce in noi i tratti di un destino che si incontra con il suo? Perché parla a noi in modo da turbarci, come se stessimo nascendo nell’istante della parola? Ma tutto questo è ciò che vorremmo chiedere. E’ ciò che già si agita nel nostro cuore.
Siamo già chiamati altrove. I pensieri volano verso regioni già troppo lontane. Anticipiamo incontri e dialoghi e trasalimenti e sospiri. Siamo nel regno delle chimere. Non di generose illusioni si tratta, qui. Non c’è niente che ci autorizzi a spingerci tanto lontano! Eppure, la macchina del desiderio è già in moto. Piccole porzioni di territorio sono già lì davanti a noi, arredate già per ospitare sogni e speranze. Ma di illusione si tratta.
Altra cosa è la speranza. Essa si nutre di certezze, di palpabili segni e soprattutto di voci che risuonano dentro di noi, a confermare che non di sogno si trattò. Non seducenti chimere e luoghi di favola ci chiamano. Il corposo richiamo della voce di lei è l’evento che ci turba ora veramente e a ragione: quella voce era rivolta a noi.
Bisognerebbe dire: il tempo della voce. Tutto il tempo che essa è stata sospesa nell’aria e l’ha riempita di sé, facendo intorno spazio alle cose del cuore e assegnando un posto provvisorio all’incanto dell’ora, noi eravamo presi dall’attimo estatico, protesi verso quell’altrove, giacché la presenza a noi di quell’epifania mondana non era tutta lì. Essa non era semplice-presenza, come sappiamo da sempre.
Era compito per noi far durare l’istante in un ritmo del cuore che fosse inizio. Perché si diano file di continuità – ed è quello che vogliamo per noi, di fronte a questo che solo merita il nome di evento, perché unico e irripetibile – bisogna procedere nella terra incognita che si stende davanti a noi, ed essa non è fatta di territori, colline, avvallamenti, svolte improvvise. Essa è solo una pianura uniforme da cui non è possibile ancora vedere sollevarsi un’idea né un palpito.
Ci ritroviamo immersi nel cerchio dell’apparire – avvertiamo la presenza – quando sorgono all’improvviso catene di montagne, dure e consistenti, lungo le quali vediamo emergere prepotenti Curiosità e Sofferenza, Orgoglio e Spavento, Furore e Nostalgia. Ma soprattutto, Invidia e Amore.
La cosa che appare a noi non ci appartiene. E’ della stirpe delle creature che sono destinate a dileguarsi. Più delle cose inanimate, che pure amano nascondersi. Oltre il puro ritrarsi delle cose, il nascondimento di lei è ciò che in questi giorni mi turba di più.
Il silenzio subentrato alle incursioni nella mia anima è di quelli che forse sono nell’ordine naturale delle cose, ma l’Impazienza è parte di quegli sommovimenti geologici che l’Amore produce in noi. Ecco: ho scritto Amore. Non è accaduto (ancora) nulla, eppure sembra che l’apparato che si intravvede costituisca il preludio a cose che non posso fare a meno di assimilare al dominio dell’erotica, se non addirittura a quello dell’amore dispiegato.
E’ insensato tutto questo. Lo so. Tu ti chiederai cosa mi stia accadendo. In realtà, non si può dire che stia accadendo qualcosa. E’ il lavorio della mente che è sconvolta nelle sue abitudini quotidiane quando intervenga un evento inaudito a turbare il corso normale delle cose. Nel campo della coscienza è apparsa una figura di cui debbo disegnare i contorni. Essa mi parla, anche se assente. Non trovo più la via che conduce alle mura di difesa. Non so bene da dove venga l’attacco e quale regione dell’anima sia maggiormente esposta. Sono nella condizione di chi non sta scegliendo, perché le cose stanno semplicemente accadendo. Forse, dopo riuscirò a dire cosa e come. Per ora, posso solo dirti che quando apparve niente è stato più come prima.
*
Contributi a una cultura dell’Ascolto CAMMINARSI DENTRO (293): BORIS CYRULNIK, La vergogna, CODICE EDIZIONI, Torino 2011, pp.230, € 19,00
MASSIMO DONA’, Come fare a restituire la nostra vita al mistero dell’esistere?
________________________________________________________________
Giovedì 20 ottobre 2011
Bologna, 2 aprile 2011 – Convegno internazionale “Alla ricerca dell’io. Rudolf Steiner e la cultura contemporanea”
____________________________________
CAMMINARSI DENTRO (292): Il Vangelo come somma di tutte le filosofie
________________________________________________________________
Giovedì 13 ottobre 2011
Una parte grande dell’insegnamento della Letteratura è sempre stata, per me, l’ideologia letteraria dello scrittore. Fatte le necessarie distinzioni tra Estetica del tempo, programmi delle correnti letterarie, mutamenti della sensibilità, poetica dell’autore, all’interno di quest’ultima ho utilizzato i testi dell’autore che dessero un’idea del suo modo di intendere il mondo e tutto il resto. L’ideologia di uno scrittore comprende la visione del mondo – quando lo scrittore ne abbia una manifesta che poi finisce per esplicitare -, l’idea della letteratura, della lingua, dello stile. Di solito, si trascurano i testi cosiddetti minori, soprattutto quelli non strettamente letterari, mentre non è raro che un artista affidi proprio a ciò che non ha pregio artistico la parte più vera di sé.
Alessandro Manzoni scrive nel 1819 le sue Osservazioni sulla morale cattolica, in risposta alle tesi dello storico ginevrino Sismondo Sismondi, che accusava la Chiesa cattolica di essere responsabile dello stato di servitù dell’Italia. Il testo che segue è sempre stato considerato da me esemplare, cioè collocato tra quelli che gli studenti del quinto anno del Liceo dovevano assolutamente conoscere, per comprendere la mentalità dello scrittore. La volontà di conciliare Illuminismo e Cristianesimo risalta non solo in questa opera, assieme alle venature giansenistiche presenti in tutta l’opera. Al di là della volontà di conciliazione delle due culture che guidavano la sua vita, Manzoni riesce a tenere insieme in questo testo sul Vangelo polarità distinte che ancora oggi orientano la nostra sensibilità morale.
IL VANGELO
Ciò che è, e ciò che dovrebb’essere; la miseria e la concupiscenza, e l’idea sempre viva di perfezione e d’ordine che troviamo ugualmente in noi; il bene e il male; le parole della sapienza divina, e i vani discorsi degli uomini; la gioia vigilante del giusto, i dolori e le consolazioni del pentito, e lo spavento o l’imperturbabilità del malvagio; i trionfi della giustizia, e quelli dell’iniquità; i disegni degli uomini condotti a termine tra mille ostacoli, o fatti andare a vòto da un ostacolo impreveduto; la fede che aspetta la promessa, e che sente la vanità di ciò che passa, l’incredulità stessa; tutto si spiega col Vangelo, tutto conferma il Vangelo.
_________
Nota del Curatore dell’antologia scolastica da cui è tratto il brano.
Ciò che è: Don Abbondio; ciò che dovrebbe essere: il Cardinal Federico. Su codesta antitesi di due mondi divisi per un insanabile contrasto è imperniata l’ispirazione sia delle tragedie sia del romanzo. Più marcato e drammatico nelle due tragedie, temperato nel romanzo da una visione più fiduciosa del mondo, e dissolto nel sorriso dell’umorismo. In ogni caso si può dire che il Vangelo fu per lui la lampada inestinguibile con cui si aiutò a scrutare il cuore dell’uomo e la storia dell’uomo nei secoli, il Vangelo gli rappresentò la somma di tutte le filosofie.
________________________________________________________________