La più vuota delle immagini

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Domenica 18 marzo 2012

Contributi a una cultura dell’ascolto
Esercizi spirituali: Imparare a morire

CAMMINARSI DENTRO (365): MASSIMO CACCIARI, La più vuota delle immagini


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L’umiltà del male

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Domenica 18 marzo 2012

Contributi a una cultura dell’ascolto
CAMMINARSI DENTRO (364): Leggere FRANCO CASSANO, L’umiltà del male, LATERZA 2011

Nella partita contro il bene, il male parte sempre in vantaggio grazie all’antica confidenza con la fragilità dell’uomo. Chi vuole annullare quel vantaggio deve riconoscersi in quella debolezza, invece di presidiare cattedre morali sempre più inascoltate.

Senza un’élite competente e coraggiosa la politica muore. Ma questa spinta morale deve sapersi confrontare con la maggioranza degli uomini, misurarsi con la loro imperfezione, deve diventare politica. Come dimostra la figura del Grande Inquisitore, il male è un lucido conoscitore degli uomini e fonda il suo regno sulla capacità di coltivarne le debolezze. E sa adattarsi ai tempi, perché ha imparato a cambiare spalla alle sue armi: una volta esaltava la sottomissione, oggi offre con successo e su tutti i canali dosi crescenti di volgarità ed esibizionismo. Se vogliono far crollare questo potere, i migliori devono smettere di specchiarsi nella loro perfezione. Da sempre i Grandi Inquisitori usano questo sentimento di superiorità per isolarli da tutti gli altri, per ridicolizzarne l’esempio e renderli innocui. Chi spera negli uomini deve inoltrarsi nella zona grigia dove abita la grande maggioranza di essi, e combattere lì, in questo territorio incerto, le strategie del male. 


INDICE
 

MASSIMO CACCIARI interviene su Dostoevskij e il problema della libertà
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I fratelli Karamazov (1969)

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Il Grande Inquisitore – prima parte from Alessandro Pazzi on Vimeo.

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Il Grande Inquisitore – seconda parte from Alessandro Pazzi on Vimeo.

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Il perdono responsabile

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Domenica 18 marzo 2012

Contributi a una cultura dell’ascolto
CAMMINARSI DENTRO (363): Leggere GHERARDO COLOMBO, Il perdono responsabile. Si può educare al bene attraverso il male? Le alternative alla punizione e alle pene tradizionali, PONTE ALLE GRAZIE 2011

«Quando ho iniziato la carriera di magistrato ero convintissimo che la prigione servisse, ma presto ho cominciato a nutrire dubbi. Anche se non l’ho detto mai, ritenevo giusto, ad esempio, proporre che i giudici, prima di essere abilitati a condannare, vivessero per qualche giorno in carcere come detenuti. Continuavo a pensare che il carcere fosse utile; ma piano piano ho conosciuto meglio la sua realtà e i suoi effetti. Se il carcere non è una soluzione efficace, ci si arriva a chiedere: somministrando condanne, sto davvero esercitando giustizia?» 


INDICE
Premessa – Di che cosa si parla
Capitolo primo – La cultura e le regole
Capitolo secondo – La retribuzione del male con il male
Capitolo terzo – Il discorso della montagna
Capitolo quarto – La pena in una società senza perdono
Capitolo quinto – L’evoluzione  «umanitaria». Von Spee, Locke, Beccaria
Capitolo sesto – L’affermazione della dignità dell’individuo
Capitolo settimo – Uguaglianza formale e discriminazione sostanziale
Capitolo ottavo – La reinterpretazione della sanzione nelle scritture e nella società
Capitolo nono – Il piano ideale. Contraddizione tra dignità e pena
Capitolo decimo – Il piano pratico. L’inutilità del sistema
Capitolo undicesimo – Sicurezza e pena, due argomenti da non confondere
Capitolo dodicesimo – Il superamento della pena: un diverso concetto di responsabilità
Capitolo tredicesimo – Il perdono e le sue conseguenze
Capitolo quattordicesimo – Perdono e responsabilità, la relazione tra la vittima e il colpevole
Capitolo quindicesimo – I rimedi alla devianza. Per l’integrazione e contro la separazione
Capitolo sedicesimo – La mediazione penale e gli organismi internazionali
Capitolo diciassettesimo – Le risposte “artigianali” del sistema delle sanzioni in Italia

Presentazione

La gran parte dei condannati a pene carcerarie torna a delinquere; la maggior parte di essi non viene riabilitata, come prescrive la Costituzione, ma semplicemente repressa, e privata di elementari diritti sanciti dalla nostra carta fondamentale – come ne vengono privati i loro cari; la condizione carceraria, per il sovraffollamento, la violenza fisica e psicologica, è di una durezza inconcepibile per chi non la viva, e questa durezza incoraggia tutt’altre tendenze che il desiderio di riabilitarsi; la cultura della retribuzione costringe le vittime dei crimini alla semplice ricerca della vendetta, senza potersi giovare di alcuna autentica riparazione, di alcuna genuina guarigione psicologica. È possibile pensare a forme diverse di sanzione, che coinvolgano vittime e condannati in un processo di concreta responsabilizzazione? In questo libro efficace e illuminante, Gherardo Colombo indaga le basi di un nuovo concetto e di nuove pratiche di giustizia, la cosiddetta giustizia riparativa, che lentamente emergono negli ordinamenti internazionali e nel nostro. Pratiche che non riguardano solamente i tribunali e le carceri, ma incoraggiano un sostanziale rinnovamento nel tessuto profondo della nostra società: riguardano l’essenza stessa della convivenza civile.


“Il perdono responsabile”. La riflessione di Gherardo Colombo sul fallimento della giustizia punitiva


 


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Assalto alla giustizia

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Sabato 17 marzo 2012

Contributi a una cultura dell’ascolto
CAMMINARSI DENTRO (362): Assalto alla giustizia

«Rieccomi a sognare un Paese normale: senza più cedimenti interessati a una propaganda interessata; senza più la rassegnata acquiescenza a una delegittimazione della magistratura; senza più quello stravolgimento dei valori che arriva a presentare come trasgressione il controllo di legalità. Un sogno per ricominciare: prima che la trasformazione in farsa delle idee di libertà e giustizia divenga irreversibile».

Gian Carlo Caselli a Che tempo che fa del 17 marzo 2012 presenta il libro Assalto alla giustizia 


 


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Leggere MASSIMO GRAMELLINI, Fai bei sogni, LONGANESI

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Domenica 4 marzo 2012

Contributi a una cultura dell’ascolto
CAMMINARSI DENTRO (358):
Leggere MASSIMO GRAMELLINI, Fai bei sogni, LONGANESI

Anteprima dal sito del quotidiano La Stampa

 Presentazione a Che tempo che fa del 4 marzo 2012



STEFANO BARTEZZAGHI, Lacrime & bestseller, la Repubblica 16 marzo 2012 – Quando il racconto del proprio dolore diventa un format. L’ultimo caso è il libro di Gramellini che dopo il passaggio tv ha venduto 50 mila copie

MICHELA MARZANO, Perché vogliamo parlare tanto di noi, la Repubblica 17 marzo 2012

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Perché leggere, perché scrivere

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Venerdì 16 marzo 2012

CAMMINARSI DENTRO (361): Perché leggere, perché scrivere

 


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La follia di Exodus contro la peste del secolo

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Giovedì 15 marzo 2012

Un po’ di follia può contare più della sapienza e dell’onore – Qoèlet, 10,1

Un’organizzazione si conosce anche attraverso le sue pubblicazioni. Più importanti sono le persone. Le loro opere, tuttavia, servono a tracciare percorsi personali e a conservare frammenti di storia.
Degli Educatori di Exodus Franco Taverna è forse il più ‘antico’, avendo egli condiviso con don Mazzi tutte le scelte, dalla fondazione di Exodus.
La personalità schiva e sobria si riflette nelle tre opere da lui pubblicate fin qui: Avamposti. Exodus e le nuove frontiere (San Paolo, 2005), Come gira il fumo. Parole e fatti per capire e affrontare le droghe (San Paolo, 2007), Il decalogo dei folli (San Paolo, 2011).
L’avventura degli Educatori è tutta nella fiducia che le persone siano fornite di risorse su cui occorre fare leva, dentro tutte le relazioni umane, in quelle affettive come in quelle educative. A queste ultime non è certo estranea l’affettività, che un Educatore saprà temperare e modulare lungo il cammino che fa insieme all’altro.
A Franco Taverna piace il termine ‘camminanti’. Accanto a lui è piacevole sentirsi in cammino insieme.
E’ folle per noi credere che un uomo e una donna possano comunque salvarsi, a dispetto della loro condizione. Incamminarsi insieme sulla strada della ‘salvezza’ personale è l’arduo quotidiano che fa di Exodus un’avventura.


 

Contributi a una cultura dell’ascolto
CAMMINARSI DENTRO (359):
Leggere FRANCO TAVERNA, Il decalogo dei folli, SAN PAOLO 2011

Anteprima

Il decalogo dei folli presentato all’Urban Center con don Antonio Mazzi e Moni Ovadia

Il Decalogo dei folli riprende le parole proposte da don Mazzi in oltre venticinque anni di Exodus, parole che rappresentano la sua filosofia del cammino, la teoria che diventa prassi. Un libro da leggere come la storia, per azioni e fatti, del sogno dei “folli di Exodus”. Un sogno che può essere condiviso da tutti coloro che non si accontentano, che vogliono migliorare se stessi e contribuire a migliorare il mondo. Esistono molti tipi di follia, ma non tutti devono essere considerati un male. Da sempre ci sono persone che indossano volontariamente il vestito dei folli e non sul palco di un teatro, ma per strada, nella vita di tutti i giorni. Tra questi ci sono i folli con intenti demolitori e quelli che invece vogliono costruire, i folli positivi, come don Antonio Mazzi e gli educatori di Exodus. L’andare contro la morale corrente, insieme, per cercare nuove soluzioni: la vita in comunità, l’esodo, gli incontri, la Parola, ecco cos’è Exodus, che nella dimensione del cammino trova la sua prima e massima espressione. Il Decalogo dei folli è tutto questo, è la rassegna delle dieci parole più importanti delle carovane di Exodus, dove educatori, volontari, tossici ed ex-terroristi vivono fianco a fianco, una comunità che, nelle parole di don Mazzi, si fonda su quattro “ruote”: sport, musica, teatro e lavoro/volontariato e poi l’amicizia, l’accoglienza, la fraternità… sempre sperimentati concretamente, sulla strada, verso un nuovo modo, più autentico di stare al mondo.

INDICE
Prefazione di Aldo Bonacina
Introduzione
Lettera dal carcere
I. FOLLI NON PER CASO
La follia di Exodus contro “la peste del secolo”
Un metodo folle: le quattro ruote della carovana
II. ESODI
La carovana di Exodus
Terra battuta e asfalto
Le finestrelle delle prigioni
I tre esodi, quasi una preghiera
III. IL CAPITOLO
Capitolo delle stuoie
Fare il pieno
IV. LA PAROLA
Fare parola
Obiettivo: comunicare
Le prime parole scritte di Exodus:
La prima ruota: l’uomo
La seconda ruota: la vita-parola
La terza ruota: lo sport
La quarta ruota: il teatro
V. LE DIECI PAROLE DEI CAMMINANTI
Decaloghi minimalisti
(Rassegna delle dieci parole di Exodus)
Parole impegnative, parolefolli
Il fumo e l’arrosto…
Cinque tasche nello zaino del camminante
VI. CON LE SCARPE DA GINNASTICA
Semplice come il buongiorno
Lo zaino leggero
Apertura alla mondialità – don Tonino Bello
VII. PULIRSI LE SCARPE PRIMA DI ENTRARE
Banale, ma non troppo
Smontare le maschere
Comunicazione interrotta
Contro i soloni – don Tonino Bello 
VIII. IN FONDO ALLA STRADA
Dare un nome alla meta
Camminarsi dentro
Le parole della festa: festa, giustizia, amicizia
Padre nostro
Richiamo alla spiritualità per la Chiesa – don Tonino Bello 
IX. OLIO, PANE E VINO
Il pane
Avventura positiva
Nutrire di bellezza e di verità… e di fatica
Apertura alla città – don Tonino Bello
X. IL RITMO DEI PASSI
Sul metodo
Le piccole cose
Concretezza – don Tonino Bello 
XI. PER FINIRE, ANZI PER COMINCIARE
Antico e nuovo insieme
Un nuovo modo di stare insieme, un nuovo modo di stare nel mondo
Sempre sulla strada
Corinzi tredici 
 


Exodus è nato, vent’anni fa [il libro è stato pubblicato nel 2005], come un avamposto, come il luogo dove ricercare i nuovi bisogni e le strategie per rispondere ai nuovi bisogni utilizzando i semplici mezzi dell’educazione. Oggi, dopo vent’anni, è il momento di partire.

Dalla esperienza di Exodus un Vademecum per chi ha deciso di mettersi in cammino alla ricerca di un mondo migliore, con i consigli di alcuni esperti viaggiatori: don Antonio Mazzi, Luigi Bobba, Riccardo Bonacina, Cristian Carrara, Paolo Corsini, Edio Costantini, don Paolo Giulietti, Lino Lacagnina, Franco Mussida, Gianni Novello, Savino Pezzotta, Giuseppe Vico.
 


Cosa si nasconde dietro alle dipendenze e quali sono le radici del diffuso “atteggiamento drogato “? che pervade oggi i mondi vitali della comunicazione, dell’economia, della sicurezza, dell’educazione?
A totale dispetto dei numeri dell’escalation degli ultimi anni, il mondo degli adulti tende ad addolcire il dramma: in fondo ci sono pochi danni visibili, i morti per eroina sono diminuiti, anche l’AIDS tutto sommato “… non fa più così paura, e poi la droga è sempre esistita, sono cose che passano (!). Chi sono i responsabili della consapevole sottovalutazione del problema?

L’Autore, protagonista da sempre a fianco di don Mazzi del lavoro educativo delle comunità  Exodus, mette a fuoco i meccanismi che hanno consentito la normalizzazione del fenomeno “droghe “?, per poi individuare le tracce utili a genitori e a educatori utili a prevenire l’uso e abuso di droghe.
Il libro termina con una rassegna di percorsi possibili sperimentati nei differenti contesti della famiglia, della scuola e delle comunità  locali.
Parabola:

Sulla strada da Gerusalemme a Gerico per terra qualcuno incrocia un tossico mezzo morto.
Il monsignore sbarra il Tempio, il politico pensa ad una nuova legge, un portaborse telefona alla stampa “…
Qualcun altro passa di lì e lo riconosce: era Cesare, 16 volte in comunità , 16 volte ricaduto e 16 volte salvato. Questa era la diciassettesima “…

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Ma tu mi ami davvero?

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Giovedì 15 marzo 2012

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Contributi a una cultura dell’ascolto
CAMMINARSI DENTRO (360): Ma tu mi ami davvero?

Una variante introdotta da me a questo dialoghetto ‘lacaniano’ è la seguente: 

– Tu non mi ami più.
– Non è vero! Ti amo.
– Ecco! Vedi! Non mi ami più.

La domanda eccessiva d’apertura illustra in modo esemplare la natura del desiderio.

Il desiderio eccede sempre la domanda. Noi vogliamo sempre di più di quello che la parola riesce a dire. Il desiderio vorrebbe attingere l’impossibile. In questo caso, aspiriamo al possesso dell’altro. Non alla proprietà esclusiva. Non vorremmo sequestrare un corpo e rinchiuderlo là dove nessun altro possa trovarlo. Già dire ‘corpo’ è poco: vogliamo di più. Sappiamo che non basta incatenare e chiudere, per ottenere ciò che sguscia da tutte le parti. Tener fermi i corpi non basta: ciò che si sottrae alla vista, per svanire sempre di nuovo, è l’invisibile dell’esperienza dell’altro. E’ un’anima ciò che aspiriamo a raggiungere e ad abbracciare. A comprendere e a fare ‘nostra’. Ma tutto ciò che vogliamo non è qui, accanto a noi, di fronte a noi. Non è senso e tatto…

Se soltanto poniamo mente al fatto che a volte ci strega un sorriso e quello vorremmo fare nostro per sempre, come incatenarlo a noi, come impedire che sia inghiottito per sempre nel gorgo di ciò che fu, immemori del fatto che potrebbe tornare e tornare ancora? Il volto che ‘esprime’ quel sorriso potrebbe ancora farci dono della ‘felicità’ dell’istante eterno della sua apparizione.

Di tutte le epifanie mondane che la vita ci offre perché possiamo goderne non sono le più effimere quelle che ci innamorano e ci riempiono gli occhi di lacrime e il cuore di nostalgia?

E a che vale dire della nostra malinconia, che sarà derubricata a follia, che si tratta di malinconia d’amore, che gli umani non possono fare a meno tutti di provarla, se la pena che ci assale a volte ci abbatte e ci strania e ci fa vaneggiare oltre ogni ragionevole misura?

E’ stato pure detto del desiderio che è emozione distruttiva, se travalica i confini dell’accettabile e del tollerabile e del lecito…

Noi sappiamo schiantarci nell’attesa di un semplice sorriso, perché segretamente convinti che quel sorriso è preludio a beni più grandi riservati a noi.
E se pure qualcuno ci dirà che, al pari del desiderio, l’illusione è emozione distruttiva quando travalichi i confini del reale per sconfinare nel delirio d’amore, chi fermerà la febbre d’amore e ci farà finalmente trovare i bordi del reale in cui riposare pacificati, paghi della promessa che al termine di un sorriso non precipitò il mondo intero nel dubbio e che ci sarebbe stato ancora posto per noi in quel cuore che per un istante soltanto si aprì alla realtà della nostra presenza? 

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Leggere LUCIANA QUAIA, Vivere con le emozioni

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Domenica 4 marzo 2012

Contributi a una cultura dell’ascolto
CAMMINARSI DENTRO (357):
Leggere LUCIANA QUAIA, Vivere con le emozioni


 

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Leggere PETER CAMERON, Un giorno questo dolore ti sarà utile, ADELPHI

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Domenica 26 febbraio 2012

Scheda dell’Editore

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Incontro con FRANCO RELLA su Interstizi. Tra arte e filosofia, GARZANTI

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Domenica 26 febbraio 2012

«Fino a che punto l’arte e la scrittura possono testimoniare ciò che non ha espressione? Fino a che punto è possibile ipotizzare che al fondo di ciò che non ha espressione vi sia ciò che determina il nostro destino umano come il destino dei mortali?»

Il dissidio tra arte e filosofia è, come ha detto già Platone, antico e si è via via rinnovato nella storia della cultura Occidentale. In realtà sui confini di questa contesa si sono aperti interstizi, spazi in cui il pensiero concettuale e quello «per figure» si sono confrontati e spesso intrecciati proponendo, soprattutto dopo Nietzsche e nella nostra modernità, le forme più radicali e significative del pensiero. Questo libro è l’esplorazione di questi spazi e di queste forme in cui la tensione critica scopre qui, pur nelle differenze, uno stesso pathos del pensiero: una passione che interroga la tentazione del silenzio della poesia come della filosofia, quando la parola sembra non avere più presa sulla realtà o di fronte all’inafferrabilità delle cose, o dell’esperienza della soggettività, o del tempo, o ancora della morte. Nel tempo in cui si predica l’implosione e la fine della metafisica scopriamo la valenza propriamente metafisica di queste forme, un luogo in cui la parola resiste e tende ancora accanitamente a una verità possibile.

Leggere per non dimenticare – Stagione XVII 2011/2012 – Ciclo di incontri letterari ideato e curato da Anna Benedetti per l’Assessorato alla Cultura e Contemporaneità del Comune di Firenze. Presentazione n. 29 – 24 febbraio 2012 – Franco Rella, Interstizi. Tra arte e filosofia –  Introducono Sergio Givone e Susanna Mati


 

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La scoperta dell’opera di Franco Rella risale per me al 1977, quando uscì per i tipi di Feltrinelli il reading La critica freudiana, che contiene saggi di Alfred Lorenzer, Philippe Lacoue-Labarthe, Jean-Michel Rey, Rodolphe Gasché, Alessandro Pagnini, Giuseppe Sertoli.
Seguirono

  • Il mito dell’altro. Lacan, Deleuze, Foucault (Feltrinelli 1978)
  • Critica e storia (Cluva Libreria Editrice 1980)
  • Il silenzio e le parole. Il pensiero nel tempo della crisi (Feltrinelli 1981)
  • Miti e figure del moderno (Pratiche Editrice 1981) 
  • Vertigine del moderno (saggio introduttivo a Louis Aragon, Il paesano di Parigi, Il Saggiatore 1982)
  • Metamorfosi. Immagini del pensiero (Feltrinelli 1984)
  • La cognizione del male. Saba e Montale (Editori Riuniti 1985)
  • La battaglia della verità (Feltrinelli 1986)
  • Limina. Il pensiero e le cose (Feltrinelli 1987)
  • Asterischi, (Feltrinelli 1989)
  • L’enigma della bellezza (Feltrinelli 1991)
  • Le soglie dell’ombra. Riflessioni sul mistero (Feltrinelli 1994)
  • Romanticismo (Pratiche editrice 1994)
  • L’ultimo uomo (Feltrinelli 1996)
  • L’estetica del Romanticismo (Donzelli 1997)
  • Ai confini del corpo (Feltrinelli 2000)

Sito ufficiale di Franco Rella

Franco Rella su Wikipedia

Su Feltrinelli

 

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Il freddo dentro

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Sabato 25 febbraio 2012

CAMMINARSI DENTRO (356): Il freddo dentro


Stupisce non tanto che il soggetto sia felice
senza saperlo, ma che si faccia un’idea
di beatitudine da cui si senta escluso.
JACQUES LACAN 

La nostra cecità è forse incapacità di accettare che un altro sia incapace di amare? che sia segnato da aridità del cuore?
Trascorriamo lunghissimi periodi della nostra vita avendo sotto gli occhi un comportamento ripetuto che ha un chiaro significato per il cuore – se una persona non risponde alle nostre lettere, ci affanniamo a giustificare il suo comportamento senza mai accettare il rifiuto come rifiuto -, ma mettiamo a tacere il cuore, impedendogli di comunicare alla mente le sue ‘conclusioni’, che magari si tratta di un comportamento non occasionale, non un mero vezzo, qualcosa che si possa facilmente perdonare: le mancate risposte del cuore per anni, per decenni, sono la riprova di una mancanza di sensibilità, di una durezza di cuore che non comprendiamo.
Siccome il nostro cuore è stato educato, quando eravamo ancora bambini, al rispetto, abbiamo con il tempo imparato a dare un nome a tutte le cose e a sentire, a rispondere paradossalmente con un sentimento al discreto della realtà. Abbiamo istituito sempre file di continuità, anche là dove prevaleva il discreto.
E’ discreto il contrario di ‘continuo’. La durezza di cuore è la cattiveria dispiegata, l’aridità del sentire, il silenzio degli affetti, il mancato riconoscimento del valore delle cose del cuore che non si riduce a un solo momento!
Il lavoro più difficile da svolgere è avventurarsi nell’esistenza deprivata e nel non-luogo di un’anima che non conosce le parole dell’amore.

La nostra più grande cecità consiste nel non aver voluto credere, tutte le volte che abbiamo sentito le parole “Io non so amare”, a quel non-luogo di un’anima. Magari dall’altra parte sarà stato mobilitato il dispositivo – la macchina – delle risposte comportamentali al nostro vivo sentire, ma non sapremo mai se quel cuore era un vero cuore, se provava veri sentimenti, se assegnava valore alle nostre cose o se non si limitava, piuttosto, a rispondere ai fatti con comportamenti simili ai nostri, agli eventi quotidiani con performance adeguate, senza nessun moto interiore.

E’ di due giorni fa l’esperienza di un colloquio con la moglie di un tossicomane attualmente impegnato in un programma residenziale. Invitata a raccontare la storia di una relazione conclusasi con la separazione, Enrica ha riferito i comportamenti tenuti da sua madre e dalla madre di Enzo. Mentre sua madre aveva accolto Enzo come un figlio e suo padre aveva dato tutto il suo denaro ai due, perché avviassero l’attività economica progettata, la madre di Enzo si era rivelata fredda e austera, impaziente e intollerante: non voleva i suoi nipotini in casa! Ne sopportava solo uno alla volta… Enrica non ha esitato a definire la suocera, da lei sempre rispettata, come persona priva di sensibilità e di capacità di amare.
Ho subito ammirato in lei la capacità di visione, il coraggio di far parlare il cuore, che raramente si inganna: le sue parole corrispondono all’esperienza fatta di contatto con la madre di Enzo.
Del seguito del colloquio non dirò nulla, come dell’uso da fare delle informazioni preziose ricevute.
La riflessione corre solo a quel cuore, a quel non-luogo dell’anima, al volto senz’anima di una madre che non ha fatto posto in sé per i membri della famiglia che pure ha voluto.
Non mi preme dire altro qui. La scienza difficile con cui mi sto scontrando da qualche anno è proprio quella del silenzio del cuore. Tra le cose misteriose è questa sicuramente la più ardua da comprendere e da accettare. Più di ogni altra cosa, è urgente decidere cosa fare, considerato che ‘affiora’ sempre più un fenomeno che si estende – o che solo ora riusciamo a vedere – rappresentato dalle persone che non riescono a rispondere con il cuore alle sollecitazioni del cuore.
Riconoscere queste persone per potersi difendere dal freddo che si portano dentro. E poi?

 

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In altri mondi

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Mercoledì 22 febbraio 2012

CAMMINARSI DENTRO (356): In altri mondi

La singolare esperienza della lettura di Murakami può essere riassunta in un’idea, che a certe latitudini del pensiero accade di ritrovarsi in una sorta di mondo parallelo, una realtà con personaggi reali, con gli stessi personaggi con i quali magari abbiamo convissuto a lungo, ma che ci ‘trasferiscono’ lentamente in una condizione nuova.
I romanzi dell’autore giapponese iniziano con la proposta di un patto narrativo già stipulato: non possiamo farci niente: siamo già immessi in quella realtà che scopriremo solo alla fine essere diversa da quella in cui credevamo il personaggio vivesse.

Allo stesso modo, ci accade con l’affiancamento dei ragazzi affetti da tossicomania di ritrovarci per anni a condividere la persistenza in piani di realtà che sappiamo diversi ed estranei a quello in cui viviamo noi.
Il lungo cammino di fuoriuscita dalla dipendenza comprende anche un ‘rientro’ nella realtà. Tutti i ragazzi raccontano il passaggio, l’abbandono progressivo delle vecchie abitudini e il risveglio della mente e del cuore, che si ritrovano a vedere e sentire in modo nuovo. Tutti riferiscono di non ricordare nulla della ‘vita precedente’. Il vuoto di senso che si lasciano alle spalle è anche grave lacuna emotiva. Alcuni anni fa una ragazza si chiedeva, in una ‘testimonianza’ drammatica fatta in pubblico: “dove sono stata negli ultimi trentadue anni?”

Allucinazione della realtà, alterazione della coscienza, deformazione della percezione delle qualità di valore delle cose e delle persone. Psichiatria, tossicologia e filosofia si danno qui la mano nello sforzo di spiegare la “caduta della metafora” (Francisco Mele) e l’insorgenza del reale in forme immediate, senza la capacità di differire la soddisfazione del bisogno…

Anche noi, però, ci ritroviamo a fare i conti con situazioni che non esitiamo a definire surreali, irreali, kafkiane… Il ‘campo’ più proprio è quello dell’incomprensione, quando intervenga un prolungato diniego a mantenerci in quella sospensione, per cui aspettiamo che l’altro finalmente revochi l’embargo, restituendoci alla realtà della relazione che sola ci fa sentire nella realtà, a nostro agio, in sesto. 
Siamo a disagio, fuori di sesto, scaraventati fuori della realtà…

E’ divertente e amaro allo stesso tempo pensare alla metamorfosi di Gregor Samsa. La critica letteraria si è affannata a lungo nel tentativo di spiegare il significato di quella trasformazione kafkiana. Quest’ultimo aggettivo era diventato sinonimo di irreale. Allora, la sua scrittura precipitava nel fantastico malato. Come poteva avere a che fare con la realtà della fantasia una produzione così stramba e inverosimile?
Immaginate ora che vostro padre vi dica: tu sei uno scarafaggio. Non: sei come uno scarafaggio. Tu sei uno scarafaggio. Mi meraviglierete se poi mi metto a descrivere la vita di uno scarafaggio, a partire dalla sua ‘nascita’?
 

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La vita buona

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Lunedì 13 febbraio 2012

CAMMINARSI DENTRO (355): La vita buona

La vita buona è forse fatta di buone intenzioni, di promesse, giuramenti, fedeltà? E’ coscienza pacificata, spirito tollerante, magnanimità?
O non è, piuttosto, tensione irrisolta verso una chiarezza che non tutto concede, perché conta la cura di sé oltre il prendersi cura degli altri, di tutti gli altri che si aspettano qualcosa da noi?
Se poniamo mente al fatto che parliamo di vita buona e non, genericamente, di vita buona; se l’accento è posto su vita, ci sarà una ragione!

E’ tutto il nostro mondo-della-vita (Lebenswelt) a interessare lo sguardo, e ‘sguardo’ per noi significa educazione, educazione sentimentale, sentire, esatto sentire… Chiamiamo sguardo il ‘metodo’, il linguaggio che usiamo per andare incontro al mondo, oltre alla conoscenza del mondo, cioè dell’altro. ‘Amore’ e conoscenza qui si danno la mano: impossibile stabilire cosa venga prima e cosa dopo.
Andiamo verso l’altro che è in noi come l’altro che è fuori di noi.
Il territorio dell’anima e la realtà storica e sociale del nostro tempo si corrispondono. Come figli di questo tempo ne combattiamo le derive, cercando i varchi che rendano possibile consistere come soggetti morali.
La partecipazione diretta alla vita politica nelle assemblee elettive e dentro i soggetti politici organizzati è solo uno dei modi della presenza.
La ‘nuova socialità‘ che avanza nella grande Rete è terreno fertile per nuovi tentativi di arricchimento dell’identità personale: non siamo più atomi, condannati all’anomia di città anonime e di non-luoghi soltanto.
‘Uscire di casa’ significa anche ‘essere connessi’. Questa apertura al mondo arricchisce di infinite possibilità il nostro mondo-della-vita.
La cura di sé ne esce ridefinita. Non occorre più affannarsi a dimostrare che non si tratta di riflussi nel ‘privato’. Le reti sociali che siamo impegnati a costruire e a disfare sono il territorio nuovo in cui si manifesta una parte non piccola della nostra libertà.


 

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