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Mercoledì, 8 giugno 2011
Era accaduto già altre volte, infinite volte, in quell’ora della notte che non è solo un’ora: si dice che vada dalle due alle cinque del mattino. Io ricordo che è l’ora in cui nascono i bambini, ma è anche l’ora in cui gli uomini muoiono. E’ allora forse che cedono le difese, e la vita nasce. O muore.
E’ accaduto anche questa volta. A me. Mi sono ritrovato per un’intera notte tra un Pronto soccorso e una Sezione TAC e il piano delle Sale operatorie, in una notte angosciosa, consumata tra disperazione e speranza, che si è conclusa con la morte di Benedetto.
Sono andato via alle cinque. La madre mi ha rivelato che è morto poco dopo. Al limite dell’ora del lupo. Io avevo detto a Teresa, che sedeva vicino a me, che l’ora era passata, immaginando che coincidesse con le quattro della notte. Non del mattino. Il mattino non viene dopo? Ero convinto che l’ora fosse passata, dunque che Benedetto fosse fuori pericolo. Avrebbe provveduto un tempo migliore a proteggerlo dai fantasmi che ci portano via.
Mi ero affidato alla notte, a cui non avevo mai creduto, per dare voce alla speranza nel mio cuore. Ero segretamente disperato. Sentivo che Benedetto non ce l’avrebbe fatta. E questo pensiero, che pure veniva confermato di volta in volta dagli amici anestesisti che aggiornavano le notizie con bollettini sempre più cupi, mi rendeva inquieto, perché temevo che gli altri potessero accorgersi di esso e rimproverarmi di essere andato avanti con il tempo, immaginando un esito ancora lontano. Trascorrevo da un’angoscia all’altra. I corridoi deserti dell’Ospedale in disarmo mi spaventavano. Mi ritrovavo ogni tanto a passeggiare da solo attraversandone alcuni vuoti e silenziosi. E mi affrettavo a tornare tra le persone in attesa, per mettere in fuga i fantasmi della notte.
«L’ora del lupo è quel tempo interminabile (per chi teme il sopraggiungere del buio) compreso tra le due e le cinque del mattino, il frangente in cui si palesano i fantasmi, in cui è impossibile trovare il sonno. L’unica possibilità è tenere gli occhi aperti, avvicinando alle pupille la luce di un fiammifero che si consuma velocemente. E poi un nuovo fiammifero, ancora un altro: stessa sorte, fino all’alba». Si apre così una recensione al film di Ingmar Bergman del 1968.
Gli incubi si materializzano nell’ora del lupo. Quando essa si è avvicinata, la speranza ha abbandonato il mio cuore. Quando è passata senza che nessuno dalla Sala operatoria uscisse a pronunciare la sentenza di morte, ho sperato timidamente che accadesse qualcosa che non potevamo nemmeno sospettare che si verificasse…
All’Obitorio, nel pomeriggio, Teresa si è avvicinata e mi ha sussurrato: aveva ragione lei sull’ora del lupo.
Ora non accenna a passare. Il nero stendardo piantato sulla mia anima mi impedisce di risollevarmi dalla tetra malinconia. E’ come se mi aggirassi ancora nei corridoi deserti. E ho paura.
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