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Giovedì, 9 giugno 2011
Ci siamo inter- rogati più volte in questi anni di fronte alla morte di uno dei nostri ra- gazzi. Abbiamo ripercorso la carriera del tos- sicomane in cerca del punto di rottura, del gesto che incep- pa il meccani- smo, della ferita originaria… Abbiamo enumerato sconfitte e fallimenti, astratti furori e incomprensioni, fraintendimenti e distrazioni… Abbiamo evocato la mancanza d’amore. Il poco amore. Il troppo amore. Il sentimento sbagliato di sé. La paura di non farcela. La fatica di esistere. Di essere se stessi. Al termine di tutte le spiegazioni, invocate soprattutto per dare un senso a una morte prematura, abbiamo rivolto lo sguardo altrove.
Una volta esaurito il lavoro del concetto, tentate tutte le spiegazioni, non paghi della logica e della scienza e dell’esperienza, abbiamo considerato il dolore delle madri – quello dei padri non interessa nella stessa misura -, per aiutare le stesse madri a darsi una ragione della violenza più grande. Ieri Ester diceva che non è naturale il fatto che un figlio muoia prima dei genitori. Ho pensato a lei.
Mi è tornato in mente il testo di Tiziano Scarpa, Stabat mater, e con esso lo Stabat Mater di Vivaldi, e poi quello di Pergolesi e di Scarlatti. Ho cercato il denominatore comune, per dare una risposta all’interrogativo: cosa significa per una madre veder morire un figlio? Forse, una prima risposta è contenuta proprio nel testo dello Stabat mater. Esso può aiutare a pensarsi oltre il dolore e la morte… perché un’esperienza anche più grande è stata fatta dalla madre di Cristo. E cosa contiene il testo che ce ne parla? Seguiamolo in latino e in italiano sulla base di quanto riferisce Wikipedia:
Stabat Mater dolorósa iuxta crucem lacrimósa, dum pendébat Fílius. Cuius ánimam geméntem, contristátam et doléntem pertransívit gládius. O quam tristis et afflícta fuit illa benedícta Mater Unigéniti ! Quae moerébat et dolébat, pia mater, cum vidébat nati poenas íncliti. Quis est homo, qui non fleret, Christi Matrem si vidéret in tanto supplício? Quis non posset contristári, piam Matrem contemplári doléntem cum Filio ? Pro peccátis suae gentis vidit Jesum in torméntis et flagéllis subditum. Vidit suum dulcem natum moriéntem desolátum, dum emísit spíritum. Eia, mater, fons amóris, me sentíre vim dolóris fac, ut tecum lúgeam. Fac, ut árdeat cor meum in amándo Christum Deum, ut sibi compláceam. Sancta Mater, istud agas, crucifíxi fige plagas cordi meo válide. Tui Nati vulneráti, tam dignáti pro me pati, poenas mecum dívide. Fac me vere tecum flere, Crucifíxo condolére donec ego víxero. Iuxta crucem tecum stare, te libenter sociáre in planctu desídero. Virgo vírginum praeclára, mihi iam non sis amára, fac me tecum plángere. Fac, ut portem Christi mortem, passiónis fac me sortem et plagas recólere. Fac me plagis vulnerári, cruce hac inebriári et cruóre Fílii. Flammis urar ne succénsus, per te, Virgo, sim defénsus in die iudícii. Fac me cruce custodíri morte Christi praemuníri, confovéri grátia. Quando corpus moriétur, fac, ut ánimae donétur paradísi glória. Amen. |
La Madre addolorata stava in lacrime presso la Croce su cui pendeva il Figlio. E il suo animo gemente, contristato e dolente una spada trafiggeva. Oh, quanto triste e afflitta fu la benedetta Madre dell’Unigenito! Come si rattristava e si doleva la pia Madre vedendo le pene dell’inclito Figlio! Chi non piangerebbe al vedere la Madre di Cristo in tanto supplizio? Chi non si rattristerebbe al contemplare la pia Madre dolente accanto al Figlio ? A causa dei peccati del suo popolo Ella vide Gesù nei tormenti, sottoposto ai flagelli. Vide il suo dolce Figlio che moriva, abbandonato da tutti, mentre esalava lo spirito. Oh, Madre, fonte d’amore, fammi provare lo stesso dolore perché possa piangere con te. Fa’ che il mio cuore arda nell’amare Cristo Dio per fare cosa a lui gradita. Santa Madre, fai questo: imprimi le piaghe del tuo Figlio crocifisso fortemente nel mio cuore. Del tuo figlio ferito che si è degnato di patire per me, dividi con me le pene. Fammi piangere intensamente con te, condividendo il dolore del Crocifisso, finché io vivrò. Accanto alla Croce desidero stare con te, in tua compagnia, nel compianto. O Vergine gloriosa fra le vergini non essere aspra con me, fammi piangere con te. Fa’ che io porti la morte di Cristo, avere parte alla sua passione e ricordarmi delle sue piaghe. Fa’ che sia ferito delle sue ferite, che mi inebri con la Croce e del sangue del tuo Figlio. Che io non sia bruciato dalle fiamme, che io sia, o Vergine, da te difeso nel giorno del giudizio. Fa’ che io sia protetto dalla Croce, che io sia fortificato dalla morte di Cristo, consolato dalla grazia. E quando il mio corpo morirà fa’ che all’anima sia data la gloria del Paradiso. Amen.
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Gemere e affliggersi. Rattristarsi e dolersi. Piangere. La voce che si rivolge alla Madre di Cristo chiede: Oh, Madre, fonte d’amore, / fammi provare lo stesso dolore / perché possa piangere con te. Una prima scoperta: c’è da chiedere un dolore più grande! Un dolore che sia almeno paragonabile a quello provato da Lei. Santa Madre, fai questo: / imprimi le piaghe del tuo Figlio crocifisso / fortemente nel mio cuore. Addirittura, la voce chiede di patire le stesse piaghe del Figlio! Condividere il dolore del Crocifisso. Essere parte del compianto. Essere feriti delle sue ferite. Essere fortificati dalla morte di Cristo. Consolati dalla grazia. Inebriarsi del sangue del Figlio.
Le madri hanno, allora, una via da percorrere nell’ora che non ha sorelle: non chiudersi nel loro dolore. Sapere che c’è un dolore più grande. Chiedere di poter partecipare ad esso. Trovare conforto nella grazia che si riceve tra i doni inaspettati. La grazia forse è il privilegio di ritrovarsi a vivere un’esperienza analoga a quella che provò la Vergine ai piedi della Croce. Riconoscere quel dolore come motivo di conforto e di speranza. Se da quella Passione derivò una Resurrezione e la promessa di Salvezza, è da quel dolore che non bisogna mai distogliere lo sguardo. Il senso che daremo ad esso ci aiuterà a trovarne per il nostro.
Nei prossimi giorni proporrò alla madre di Benedetto l’ascolto di Vivaldi e la lettura di Scarpa, perché trovi un primo motivo di conforto nell’una e nell’altra cosa. Non dobbiamo sempre trovare una ragione per il nostro dolore, perché non ci costringa a credere che avrà ragione di noi, per non restare confusi in eterno, come dicevamo da bambini con l’aiuto del vecchio Catechismo?
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