CAMMINARSI DENTRO (219): Un centro di gravità permanente

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Mercoledì 10 agosto 2011

Non c’è dubbio che oggi è soprattutto di questo che avremmo bisogno: di un po’ di luce sopra la nostra frammentaria esperienza morale, ma anche di un po’ di voce articolata o di ragione da dare alla meraviglia, allo sgomento e alla pietà. – ROBERTA DE MONTICELLI, L’ordine del cuore. Etica e teoria del sentire (2003)

Questa mattina sento il bisogno di radunare tutte le mie idee per poter dire cosa quotidianamente metto dentro la relazione d’aiuto nel Centro di ascolto in cui lavoro. Magari pubblicherò, per tornare poi ad aggiungere e togliere nel corso della giornata; intanto, è urgente dire ‘tutto’. Credo che pochi sarebbero disposti ad ammettere che in fondo a guidare la nostra vita sono poche idee. Possiamo ‘mobilitarne’ tante ancora, se stimolati a farlo, e affiorerebbero complesse configurazioni di senso, se ci dedicassimo a un’opera di raccordo e ‘sistemazione’ delle idee stesse. Resta il fatto che, se indotto a scegliere, non esiterei a dire che oggi poche sono le cose, e chiarissime per me, che mi guidano.

Dal 2003 almeno ho imparato a tenere insieme ciò che era frammentario nell’esperienza morale. A una considerazione delle virtù prese una per una ho imparato ad opporre l’idea più chiara che se il coraggio è la virtù dell’istante, la fedeltà è la virtù dell’intervallo; la perseveranza è la virtù del compimento. Ho appreso che il coraggio è la virtù dell’inizio. E ancora che il coraggio non è un sapere ma una decisione. A proposito della mia identità, mi sono costituito come soggetto morale, come persona. Potrei ‘concludere’ dicendo che detto questo ho detto tutto. E’ senz’altro l’acmé, il punto più alto raggiunto, e non c’è da salire ancora.

Il compimento dell’esistenza personale è questo divenir chiaro in quale modo siamo intenzionati a consistere qui e ora. Non avrebbe senso, infatti, chiudersi nella convinzione che il momento di maggiore chiarezza sarà concesso negli istanti che precedono «l’ora che non ha sorelle». Dovremmo aspettare quel momento per poter dire di noi che abbiamo coscienza di ciò che siamo? L’identità personale sarà anche instabile e magmatica, ma non bisogna confondere i turbamenti quotidiani – che spesso ci spingono a credere che qualcosa stia cambiando in noi – con la struttura della nostra personalità.

Il primo sentimento da educare in noi è riassumibile in questa configurazione di senso: lontananza, assenza, mancanza, perdita. Riconoscere la forza del ‘negativo’, per volgerlo in positivo, facendone un aspetto della vita ineliminabile, da cui trarre lezioni, imparando a convivere con tutte le vicissitudini della coscienza. L’esperienza del dolore, infatti, è ciò che tempra il carattere.

A questa Darstellung – così Walter Benjamin chiamava le ‘configurazioni di senso’, cioè le unità complesse, i gruppi di concetti che insieme concorrono a dare senso a un’esperienza che non si lascia ridurre a un ‘semplice’ – va associata la malinconia d’amore, in cui si traducono assenza e lontananza. Dobbiamo imparare a coltivare l’attesa e la speranza, perché la malinconia non faccia precipitare nel così fu la nostra attesa: ciò che è stato non cessa di esistere per noi, se non ne facciamo un irredimibile. Dovremo imparare a redimere il tempo perduto, a riscattarlo, salvandolo dall’oblio. Il timore, poi, accompagna sempre la speranza: non ci faremo paralizzare dal fraintendimento; quel timore è connaturato alla speranza.

La malinconia d’amore conduce a un sentimento di perdita doloroso: ci comportiamo come se l’oggetto d’amore che ‘semplicemente’ si allontana da noi dovesse andare perduto per sempre! Dunque, bisogna ricordare il bene ricevuto. Solo a questa condizione è possibile sperare e dare senso alle nostre attese.

Riconoscere in noi l’angustia della mente è cosa che riusciamo a fare  solo dopo aver osservato un aprirsi della mente stessa a nuove evidenze: allora, ci rendiamo conto di come ci fossimo ‘chiusi’. Ma ci accade anche di ‘essere chiusi’, che qualcun altro ci chiuda, precludendoci l’esperienza, invadendo la nostra anima, con proibizioni e divieti, ordini e comandi. E’ il ‘grugnito’ scontroso, sgarbato, scorbutico delle persone intrattabili.

L’ordine del cuore, tuttavia, è il concetto più chiaro e più forte, che li comprende tutti: principi, regole, prescrizioni, valori, ideali, virtù, affetti. Quando ero ragazzo ci ricordavano sempre la ‘scala dei valori’. Dovevamo assegnare le cose importanti per noi a un posto della ‘scala’. La disposizione verticale era chiara: c’è qualcosa in cima e poi, a scendere, le cose via via meno importanti. Trattandosi di valori, ogni ‘gradino’ era importante.
Meno suggestiva, forse, ma più efficace l’espressione ‘ordine del cuore’, che contiene un principio d’ordine, appunto, e l’idea della mappa del territorio della mente e del cuore. Bisogna mettere le cose a posto: non bisogna stare ‘fuori di sesto’; un retto sentire assegnerà il giusto valore a persone e cose; l’esattezza del sentire farà giustizia del valore di ognuno, a nessuno negando i necessari riconoscimenti; la misura degli atteggiamenti contribuirà a mantenere la giusta distanza con le persone; l’attivazione degli strati profondi della personalità costituirà la misura del nostro valore. Nessuno può sottrarsi allo sguardo dell’altro, che saprà facilmente riconoscere in noi ordine e disordine.

La chiarezza morale, che possiamo anche chiamare onestà – a me piace dire onestà intellettuale, cioè capacità di riconosce gli errori commessi e di dare agli altri ciò che meritano -, contribuisce a darci la pace interiore, che è benessere e viatico.

La lezione più antica che io ricordi, però, mi è venuta da Nilde Jotti, la compagna di Palmiro Togliatti. In tempi in cui non c’era ancora il divorzio, che potesse intervenire a stabilire nuovi ordini negli affetti, i due vivevano insieme, pur essendo lui sposato. La loro unione, tuttavia, non era né ‘clandestina’ né ‘irregolare’: era il risultato di una scelta irreversibile. L’onorevole Jotti disse della vita sentimentale in un’intervista che bisogna evitare la confusione dei sentimenti. Stabilire in modo chiaro da che parte si sta e lì consistere. Non ho mai dimenticato le sue parole. Abbiamo bisogno di valori e di virtù e di principi che guidino l’azione, ma anche di ‘semplici’ prescrizioni, per non restare confusi in eterno, come si diceva tanto tempo fa.

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