Impiegheremo senz’altro una parte grande del nostro tempo di vita a ricordare i nostri morti, se sapremo amministrare quel tempo ripartendolo non tanto in momenti da riservare a questa o quella attività: le ore solitarie della notte e del primo pomeriggio, quelle del risveglio e le numerose pause tra le attività diverse che punteggiano il giorno non saranno ‘tempi morti’, se sapremo accompagnarci a noi stessi, riandando con la mente ai giorni lieti in cui una presenza preziosa ci riempiva il cuore fino a farlo traboccare di sguardi, strette improvvise, abbracci pudichi. C’è da tenere il conto di tutti quelli che abbiamo amato di amore sincero, magari senza dichiarare ad ogni piè sospinto dove andasse il cuore. Bisognerà mettere nel conto non solo chi non c’è più: mancherà all’appello anche l’amore mancato, assieme ai sentimenti impossibili, alle intransitabili utopie. Andrà sistemato non solo negli interstizi del tempo ma nell’ansito breve l’anelito e il sospiro, il grido trattenuto, il pianto sommesso. Non si tratterà di rievocare i mancati giorni: non di corse affannate né di sterili attese si nutrì l’ala della speranza. Ogni tempo fu un nome, ad ogni volto corrispose un indugio sulla soglia del vivere. Più saldo ancora sarà il gesto che affianca al passo dell’azione la sua vigile ombra, gesto che si fece proiezione di intenzioni e promesse, anticipazione di incontri, inquieto fantasticare, turbamento. Nel midollo della vita, non ai suoi bordi sentiremo la presenza dei nostri fantasmi. Di ognuno di essi pronunceremo il nome, disegneremo ancora il volto, ripassando le linee sicure che si affermarono allo sguardo. Racconteremo i giorni e le parole, le storie sospese dal tempo, le reliquie nascoste nell’astuccio di legno. Con loro non ci sentiremo soli. Sarà canto e preghiera, assorto silenzio e invocazione accorata. Cercheremo gli assenti, preoccupati che rammemorare e nominare abbia ancora un senso. Che resti almeno sospeso nell’aria il profumo lasciato dal passaggio dei Geni della casa!
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