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Ritrovato dopo ventisei anni, sepolto in un palchetto sotto i miei occhi, il volume di Asor Rosa contiene dolorosi frammenti del tempo felice della politica, o meglio, di un tempo che era già successivo. Il tempo dopo la felicità. A quei tempi, credevamo che la felicità fosse una virtù civica, roba da consumare insieme. Io non mi sarei mai permesso di pensare di poter essere felice da solo, radunando e accumulando beni solo per me… Quando lessi la prima volta il testo che segue, ne ricavai una pessima impressione: mi sembrò solo un pretesto per affermare la volontà di sapere che era propria della sessualità e basta. Ero già convinto che l’amore dosse (quasi) tutto. Lo vedevo dappertutto.
A rileggerlo oggi, mi sembra quasi la delicata presa di posizione di un vecchio ormai ridotto ad elemosinare l’amore, non potendo sperare nei percorsi lunghi e obbligati a cui tutti siamo tenuti. Se allora mi vergognai perfino di averlo letto, oggi mi sembra un documento umano da tenere a disposizione e su cui riflettere, per non scartare nessuna ipotesi sull’amore e sui modi in cui è umanamente possibile viverlo.
177. Un amore astratto. I. Può esserci un amore totalmente astratto? un amore, cioè, che non ha bisogno di convivenza, di famiglia, d’incontri quotidiani, ma s’accontenta di avere come proprio oggetto una pura idea? un amore non finalizzato a questo o quello, ma solo al fatto di esserci – sentimento senza obiettività né obiettivo, pago di sé? Io credo che sia possibile. Anzi, se ci si pensa, ci si rende conto che nelle condizioni presenti della vita, dove i rapporti, le relazioni, le gerarchie sono sempre più importanti che non la sostanza, l’essere e l’esserci, l’unica forma di amore vera è questa che non si identifica necessariamente in un rapporto, anche se non lo esclude. Non parliamo di «amor platonico»: se mai, del suo contrario. Se si riesce infatti a concepire l’amore come una forma essenziale della vita, si capisce anche che solo quando esso è, per così dire, de-socializzato e de-storicizzato – messo «fuori di relazione» – riacquista tutta la sua originaria carica biologica ed anche una forte, insolita tensione sessuale. Solo che, anche a questo proposito (a proposito del sesso, voglio dire), l’amore astratto non lo finalizza mai alla costruzione di una storia ma alla ricerca di un’identità. Anzi, il punto d’incontro del sesso dei due partners diventa esattamente questo: non c’è amore, per loro, né vero congiungimento sessuale, senza che, specchiandosi l’una nell’altra, le due personalità non ne vengano reciprocamente ingigantite. Il sesso, cioè, torna ad essere strumento di conoscenza dal momento in cui l’astrazione, delimitandone il campo, gli impedisce di essere usato. Tutto il contrario avviene per l’amore-famiglia e per l’amore-pornografia, i due poli estremi nel mondo d’oggi di una progressiva (presunta?) socializzazione dell’amore. Tutti vogliono socializzare l’amore: ma l’amore che resta, ed è intangibile, non è condivisibile. Passione e astrazione in questo caso vanno insieme.
II. Solo l’amore astratto può mettere veramente in crisi sia la coppia sia la famiglia, queste due concezioni speculari dell’impossibilità umana di andar oltre i limiti costituzionali del genere. Le mette in crisi, voglio dire, perché non si contrappone loro antagonisticamente, ma neanche le elimina (né ambisce eliminarle). Sta in un piano suo, dove il possesso dell’oggetto è totale e al tempo stesso reciproco – fatto quasi miracoloso, direi, e che non avviene mai laddove l’amore passa attraverso le figure istituzionalizzate della famiglia e della coppia (neanche della coppia irregolare o adultera, naturalmente). Questo amore astratto è così possente e totale, così privo di limiti, da sconfinare continuamente e irresistibilmente nell’immaginario.
III. L’amore astratto non può che essere un amore scettico, disincantato, ironico e auto-ironico: non è per niente quello che comunemente si definirebbe un «amore caldo», o, meglio, non ha il calore dell’estate ma piuttosto quello assai caratteristico del gelo, e proprio per ciò è capace d’essere fortissimo, intenso, bruciante, e di una ostinazione senza pari. Il dubbio, infatti, che in campo erotico spesso nasce dalla sproporzione esistente fra il risolto e l’irrisolto e fra il reale e il (cosiddetto) irreale, lui se l’è lasciato dietro le spalle: non ha dubbi, precisamente perché non crede più in niente; non crede più in niente – e dunque può credere fortemente nell’unica cosa che resta al di là di qualsiasi obiettivazione: la reciproca ricerca dell’identità – senza motivazioni, senza scopo e senza uso. Anche da questo lato, dunque, l’amore astratto entra nel dominio, o addirittura è già di per sé una componente importantissima del dominio dell’immaginario.
IV. L’amore astratto, per conservare intatta la sua forza, non deve cercare di diventare né l’amore-coppia né l’amore-famiglia né l’amore-pornografia, ma non può aspirare neanche – l’ho già detto – a eliminarli o a rimpiazzarli. Si dirà: ben poca cosa, quest’amore, che non riesce a collocarsi con pari dignità accanto agli altri suoi simili, né ad imporsi a loro, se è migliore di loro. Confessiamo pure questa debolezza: il carattere umbratile, non pubblico, reticente, talvolta del tutto segreto, dell’amore astratto. Ma proprio questo è il punto: l’amore astratto è migliore di loro, perché non è loro… Questo è l’abisso che lo separa dalle altre forme di amore, le quali, invece, poiché tutte partecipano dell’universo della comunicazione, sono diverse fra loro, ma per l’appunto non incomunicabili, anzi hanno qualcosa in comune: tant’è vero che si sopportano tranquillamente a vicenda e che aspetti dell’una passano facilmente nell’altra (quanta pornografia nella vita segreta della coppia o della famiglia, e quanti sogni di normalità nella morale piccolo-borghese e filistea della moderna produzione pornografica). L’amore astratto, invece, non comunica con gli altri perché non ha, come loro ce li hanno, né scopo né uso: apparentemente non serve a nulla, e quindi non può essere usato. Tecnicamente parlando, è una macchina immaginaria per la produzione di alte energie, che possono essere soltanto consumate e disperse… L’amore astratto nasce al di fuori dei circuiti fondamentali della società moderna, perché non ha a che fare né con la produzione né con il consumo né con la ri-produzione né con l’informazione, né, perfino, con i bisogni comunemente intesi (intesi, dico, come espressioni di socialità). Serve solo a chi lo prova solo a confermargli che c’è. E’ eminentemente tautologico.
V. Per quanto sia caratterizzato da un’altissima eccezionalità, tuttavia l’amore astratto è la forma di amore che più si avvicina a quell’indeterminato ma universale amore, che lega l’uomo alla propria specie e alla conservazione di essa. Questo amore universale raramente emerge in forma consapevole e si presenta come discorso, ragionamento, dialettica, tentativo di persuasione. Più spesso esso si presenta come il cemento puramente naturale, sub-esistenziale, dei rapporti sociali e degli avvenimenti storici, senza il quale né gli uni né gli altri sarebbero possibili: perché, senza un presupposto pre-sociale e pre-storico, la società e la storia non avrebbero su che fondarsi. Ebbene, anche questo amore universale è astratto come quello, individuale, di cui abbiamo precedentemente parlato: anch’esso, infatti, non ha motivazioni né scopo, e può essere usato solo nel senso del tutto indiretto e genericissimo (e tuttavia, come si può ben intendere, decisivo) che, ove esso non ci fosse, nulla ci sarebbe. Tornando a noi, dunque, si potrebbe dire che l’amore astratto insinua fra due individui il modo d’essere più vicino a quell’amore in base al quale la specie vive, anzi più esattamente, in base al quale la specie è. Questa è un’altra spiegazione possibile della sua straordinaria e sorprendente intensità.
VI. L’amore astratto, per sua natura, è il più indifferente alle distinzioni fra i sessi, e può manifestarsi perciò tanto fra un uomo e una donna quanto tra individui dello stesso sesso. Questa è una prova ulteriore della sua maggiore approssimazione all’universalità rispetto alle altre forme d’amore contemplate. Anzi, si potrebbe dire che, data la maggiore difficoltà che un amore fra due uomini o fra due donne sia storicizzato e socializzato, e comunque riconosciuto e accettato nel sistema delle relazioni vigenti, all’amore astratto sono in grado di arrivare più facilmente i rapporti omosessuali (che non sempre, peraltro, coincidono con i rapporti tra gli omosessuali). Si può anche dire, però, che fra un uomo e una donna, fra questi due esseri reciprocamente diversi, l’amore astratto ha più probabilità di raggiungere la dirompente intensità d’un rapporto che non sceglie, per manifestarsi, nessuna delle forme istituzionali possibili, ed anzi, miracolosamente, le nega tutte (coppia, famiglia, gruppo, pornografia, ecc.). E’ vero, peraltro, che nell’amore astratto la diversità non è decisiva: anche fra un uomo e una donna, infatti, esso presenta un carattere paradossalmente omosessuale. Poiché non ha né motivazione né scopo né uso, e si basa sulla pratica di un possesso totale e al tempo stesso reciproco (è ovvio che, se quest’ultima condizione non si pone, non si può parlare di amore astratto), esso si spoglia delle motivazioni istituzionali dei sessi, tende a un piano di parità e recupera tutt’intera la carica del sesso in quanto la fruisce del tutto indipendentemente dal rapporto storico-sociale, entro cui di solito le altre forme d’amore si collocano. Tutto il retroterra è cancellato, persino i due sessi tendono ad eguagliarsi. L’amore astratto, cioè, funziona da specchio, è uno specchio: permette ad ognuno dei due amanti di vedersi letteralmente nell’altro. Al limite – come nell’antico mito dell’androgino – ognuno non fa che amare sé nell’altro: ognuno si ama da sé, ma nella polarità dei due individui distinti, e destinati a restar tali.
VII. L’esperienza suprema dell’amore astratto è la reciproca auto-identificazione dei due esseri che vi partecipano, attraverso il piacere sessuale. Spogliato ormai di ogni attributo storico ed evenemenziale, questo non è, infatti, che il modo più alto di potenziare la propria identità in quella dell’altro – e viceversa. Amando sé in lui (o in lei), ciò che si viene a desiderare è che le differenze siano confermate e magari precisate solo perché risultano necessarie a potenziare l’elemento di unità, il cemento reale, che i due corpi si sforzano di realizzare: il fatto, ben visibile, che essi vorrebbero non separarsi più, vorrebbero continuare ad aderire fino alla loro completa consumazione e dissoluzione. Questo, per esempio, è un tipico fatto che non fa notizia: come notizia, infatti, è assolutamente banale. Ma se si prescinde da questa sostanziale possibilità, non solo il rapporto sessuale, ma qualsiasi altro rapporto tra esseri umani non sarebbe neanche pensabile.
VIII. La cosa più difficile da spiegare è perché l’amore astratto si manifesti proprio fra quei due individui determinati, e non fra altri. Facciamo, intanto, questa constatazione preliminare: l’amore astratto fa emergere senza ombra di dubbio un segmento di destino dal caso-caos, con il quale, sia pure confusamente, tutti i giorni facciamo i conti: il piacere altissimo, che l’amore astratto, anche attraverso il sesso, consente, è in stretta relazione con l’affiorare di questa consapevolezza. Se questo è vero – e sul piano psicologico ed emotivo se ne può fare un’esperienza difficilmente confutabile – allora bisognerà arrivare alla conclusione (ahimè, quanto presuntuosa!) che all’amore astratto si perviene soltanto quando si verifica l’incontro di due identità superiori, nelle quali il processo di autoidentificazione e separazione rispetto a tutto il mondo circostante è già andato molto, molto avanti. La congiunzione sessuale, in queste condizioni, è la rappresentazione simbolico-biologica (un fatto biologico, che, potremmo dire, assume valenze concettuali-simboliche, o un simbolo fortemente incardinato nel linguaggio biologico), è la più efficace «sacra rappresentazione» di questa perdurante, ineliminabile tensione fra unità e diversità, fra sotto e sopra, fra pensiero e corpo: ha, insieme, tutta la forza del simbolo, e tutta la forza della biologia; spinge i cervelli oltre i confini dati dal sapere umano, senza, al tempo stesso, proporsi (né potrebbe farlo) come «nuovo modello». E’ supremo, unico, irripetibile e incomunicabile: è conoscenza, senza essere sapere (e tantomeno persuasione). E’ l’anticamera del nulla; ed è, al tempo stesso, il tutto.da ALBERTO ASOR ROSA, L’ultimo paradosso, EINAUDI 1985, pp.155-161