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Sabato 27 agosto 2011
La sventura è un “enigma”. Ha la stessa essenza della sofferenza fisica, da cui è inseparabile: la sofferenza fisica, quando è tale che non si può né sopportarla né smettere di sopportarla, e dunque sospende il tempo facendone un presente privo di avvenire eppure impossibile come presente (impossibile raggiungere l’istante seguente; tra l’istante seguente e quello attuale si sovrappone un infinito invalicabile, l’infinito della sofferenza; d’altra parte il presente della sofferenza è impossibile, costituisce l’abisso del presente). La sventura ci fa perdere il tempo, ci fa perdere il mondo. – MAURICE BLANCHOT, L’infinito intrattenimento
Delle opere di Giacomo Marramao sul tempo, assumere La passione del presente come paradigmatica, per quanto riguarda il rapporto dell’Educatore con il tempo, costituisce una scelta strategica: la dimensione del presente è una costellazione di senso – rinvia a una pluralità di concetti – che occorre dipanare un po’ alla volta, per dare forza all’azione educativa e rendere sempre più chiara la natura della relazione educativa.
A scuola ho sempre considerato il tempo una risorsa educativa. Scandire la programmazione in unità di apprendimento, in sequenze, in momenti a cui seguivano altri momenti, e considerare determinati ‘passi’ propedeutici ad altri ‘passi’ conferiva vigore e certezza a tutti gli altri aspetti dell’attività didattica.
Dal 1989, cioè da quando ho avviato l’esperienza dell’ascolto, e fino al 2008, cioè quando sono andato in pensione, la realtà della scuola e quella del centro d’ascolto procedevano insieme influenzandosi a vicenda. Almeno dalla parte della relazione educativa.
Quando noi diciamo che nella relazione d’aiuto si verifica un vero e proprio «scambio di risorse» – sono i teorici del resource exchange a sostenerlo – intendiamo riferirci all’interdipendenza reciproca, a un legame interpersonale che qualifica la relazione umana in senso non unidirezionale.
La dimensione personale del tempo, con tutte le sue implicazioni, entra nella trama degli incontri a scandire un ritmo che non è certo quello dato dal tempo meccanico dell’orologio: tra un colloquio e l’altro, la persona che siede di fronte a noi è in attesa; si aspetta da noi qualcosa che non saprebbe dire cosa sia e che è già presente nel fatto che il tempo meccanico di un colloquio, che le è concesso, è un dono inaspettato; si stupisce perché i fatti e le emozioni che accompagnano i fatti appaiono interessanti a noi, che ascoltiamo senza impazienze né atteggiamenti superficiali; si dispone al racconto tutte le volte che è indispensabile costruire catene di fatti che si succedono nel tempo, giacché sa bene che siamo interessati ai suoi racconti; prova viva emozione alla scoperta che ricordiamo le cose dette nei colloqui precedenti; scorge file di continuità nel nostro fissare sempre un nuovo appuntamento con una regolarità non meccanica, ma preoccupata degli impegni, degli ostacoli imprevisti; avverte come umanissimo il fatto della continuità nel tempo, che è da noi rivendicata come spazio da prendersi per depositarvi emozioni e sentimenti; affida a noi i pensieri pensati tra un colloquio e l’altro e apprezza il fatto che abbiamo colto la preoccupazione di riferire a noi un pensiero importante intervenuto prima del colloquio in corso e che è stato riservato a noi, doveva essere riferito a noi;
Se mi si chiedesse di riassumere in una formula il gesto dell’Educatore che lavora gratuita- mente in un Centro di ascolto, non esiterei a dire che egli porta in dono il tempo, ma non il proprio tempo libero, le ore pomeridiane dei colloqui di motivazione: il tempo del dono è la somma delle risorse di cui l’Educatore dispone e che mette a disposizione dell’altro, in una relazione in cui c’è interdipendenza e scambio. Che sia ineguale sia la ‘partecipazione’ al legame sia la partecipazione allo scambio è ciò che è più proprio di ogni relazione vera. Chi pensa che debba esserci dono unilaterale o scambio di sole cortesie o, al contrario, impersonale prestazione e basta, non sa di cosa sia fatto il nostro lavoro e se non sa le cose di cui parlo: difficilmente sarà presente all’appuntamento con l’altro che da sempre lo attende.
Le emozioni dell’operatore nella relazione d’aiuto, il suo sguardo – l’educazione sentimentale ricevuta, ma anche la sua prospettiva -, la distanza dall’altro, attesa e speranza, solitudine e silenzio, la capacità di autoeducarsi attraverso l’esplorazione dell’esperienza personale, la conoscenza di sé realizzata attraverso le emozioni, la speranza progettuale: questo ed altro entra in questa assunzione del presente come espressione della realtà cairologica del tempo.
Assumere il tempo come principio ordinatore di qualsiasi relazione umana significa
- mostrare e offrire all’altro il posto che si occupa come una condizione data dall’intreccio tra libertà e situazione, se per ‘situazione’ intenderemo sartrianamente tutto ciò che non possiamo scegliere (Destino compreso) – dal giorno e dal luogo di nascita alla famiglia, al carattere – e per ‘libertà’ la nostra protensione verso il futuro, la spinta a realizzare desideri e sogni, progetti di vita e ideali politici;
- affermare la realtà di questo presente non come attimo fuggente ma come istante eterno, come un nunc, un tempo-ora, uno spazio della coscienza dilatato fino a comprendere in sé
– tutte le presenze che popolano il nostro paesaggio affettivo
– e le voci che vanno a costituire la fonosfera in cui risuonano le nostre voci
– e i volti che non smettiamo mai di disegnare, per fornire di biografia le vite che ci stanno a cuore.
Chiameremo presente non solo l’oggi – che pure ci aiuterà a contenere il proprio (la nostra natura, la nostra essenza, la nostra identità) – che si manifesterà nei modi più diversi ma anche, soprattutto, il mese e l’anno e il tempo (l’età, le età) della nostra vita. Il presente per noi è dimensione dell’esistenza-progetto, non della vita.
Esso ‘contiene’ in uno ciò che siamo stati e ciò che vogliamo continuare ad essere, l’affermazione della nostra errante radice, la condizione per cui siamo perennemente in esodo dalle derive del tempo, protesi a realizzare un’autenticità che sola dà senso all’esistenza.
Gli esercizi spirituali in cui siamo costantemente impegnati arricchiscono di senso questo presente, che mostriamo nella relazione d’aiuto, nella relazione educativa, in tutte le nostre relazioni significative. Esso è l’invisibile della nostra esperienza. L’accesso ad esso è consentito soltanto agli amici dell’invisibile, cioè a coloro che sono interessati ad accedervi e che non si accontentano della ‘semplice-presenza’, di ciò che appare.
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Dell’opera di Marramao a noi serve il capitolo 5 – Presente. Simbologia del kairós e sindrome della fretta, pp.89-107 – e in particolare il primo paragrafo – Tempestività e disaccordo – che si apre così: «Nessuna figura del tempo è in grado di esprimere l’asse del presente quanto l’immagine del kairós». (Sulla ‘sindrome della fretta’ torneremo presto).
Il significato greco di kairós, con la ricca simbologia che si stratificò nel tempo, fu ridotto a Occasio con i Latini e quindi a caducitas, cioè a un’inesorabile accelerazione di un Tempo che tutto divora e che si fronteggia con tempestività. Si trattò poi di cogliere l’attimo, il momento propizio. In Machiavelli troveremo la massima esaltazione dell’Occasione, che occorre saper cogliere: istante critico, risolutore e fecondo.
I Latini avevano una sola parola, tempus, per esprimere i due significati di ‘tempo’. Noi ci ritroviamo nella stessa difficoltà. L’inglese ha time e weather, il tedesco Zeit e Wetter, per esprimere rispettivamente la realtà del tempo cronologico e quella del tempo meteorologico.
Benveniste avverte che l’etimologia del termine ‘tempus’ è incerta.
Il greco ha chrónos e kairós. La conclusione di Marramao – che segue Benveniste – è che il latino tempus corrisponde a kairós!
«Benveniste associa il termine kairós […] al significato del verbo keránny-mi, «mescolare», «temperare», giungendo alla conclusione che «tempus coincide, nelle sue diverse accezioni, con kairós». Lungi dal risolversi nel significato di «momento istantaneo» o «occasione» […] kairós viene così a designare, al pari di tempus, una figura stratificata e oltremodo complessa della temporalità: figura che rinvia alla «qualità del- l’accordo» e della mescolanza oppor- tuna di elementi diversi – esattamente come il tempo atmosferico. […] La mia riflessione genealogica si concludeva con l’enunciazione di una tesi e insieme con la formulazione di un auspicio: forse proprio l’idea del tempus-kairós, del tempo debito della «temperanza» e della «miscela propizia», dell’incontro e della tensione feconda tra energie e potenze diverse, è in grado di re- stituirci il senso del nostro ritaglio evolutivo e, con esso, della gram- matica delle nostre forme di vita». (pp.89-94)
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INDICE
Prefazione
PASSAGGI
1. Modernità-mondo, pp.17-49
1.1. Preambolo. Il mondo e l’Occidente oggi
1.2. Passaggi argomentativi
1.2.1. «Global age»: opportunità e rischi
1.2.2. Postmodernità o modernità-mondo?
1.2.3. Uniformazione e differenziazione
1.2.4. Il cortocircuito del «glo-cal»: una lettura filosofica
1.2.5. «Redistribution/recognition»: conflitto di interessi e conflitto identitario
1.2.6. Differenza – «non» differenze
1.2.7. Incommensurabilità e incomparabilità
1.2.8. Sfera pubblica e retorica: tra argomentazione e narrazione
1.2.9. Oriente/Occidente: un mitologema speculare
1.2.10. Cosmopolis e filosofia: verso un «dialéghesthai» globale?
2. Nomos. Il momento socratico, pp.50-54
2.1. Tra «sophía» e sofistica
2.2. Socrate e Zarathustra
DILEMMI
3. Identità. Questioni teoretiche, pp.57-67
3.1. Ragione e identità: un campo di tensione
3.2. Confine e condivisione
3.3. Preferenze e appartenenze: il comportamento razionale standard e l’«under-scepticism» dei comunitaristi
3.4. «Reason before identity?»
3.5. «Multiple-Self»: identità multiple e comportamenti oscillanti
4. Narrazione. Lo statuto pluriversale del Sé, pp.68-86
4.1. «Overlapping»
4.2. Venti tesi
4.2.1. Costrutti variabili
4.2.2. Singolare e molteplice
4.2.3. Malintesi e normativizzanti
4.2.4. Drammaturgia
4.2.5. Maschio «con proprietà»
4.2.6. Migrazione dell’io
4.2.7. Paradigmi meno stilizzati
4.2.8. Conflitto
4.2.9. Al di là della «rational choice»
4.2.10. Lato-Weber e lato-Durkheim
4.2.11. Imperativi ipotetici e incondizionati
4.2.12. Normatività individuale razionalità sociale
4.2.13. Razionalità imperfetta
4.2.14. «Agency»
4.2.15. Sfera pubblica e narrazione
4.2.16. Dar conto
4.2.17. Soggetti narranti
4.2.18. Retoriche con prova
4.2.19. Universalismo della differenza
4.2.20. Morale provvisoria
COSTELLAZIONI
5. Presente. Simbologia del kairós e sindrome della fretta, pp.89-107
5.1. Tempestività e disaccordo
5.2. Eternizzazione del presente
6. Messianismo. Walter Benjamin e noi, pp.108-130
6.1. Messianismo senza attesa
6.2. Formule insature
6.3. Rappresentazione e concetto
6.4. Immagine e ideale
6.5. Fine dei tempi e tempo della fine
6.6. L’attimo del pericolo
6.7. L’azione messianica
6.8. L’abisso secolarizzato del cosmo
6.9. Caducità e redenzione
6.10. Noi, gli attesi
7. Libertà. L’ontologia di Herbert Marcuse, pp.131-153
7.1. Ontologia della libertà
7.2. Heidegger vs Heidegger: istanza critica e fallacia naturalistica
7.3. Ragione dialettica e singolarità
CONFINI
8. Humanitas. Genealogia di un concetto, pp.157-168
8.1. Umanità e ragione: l’«ideologia europea»
8.2. «Humanitas» e «universitas»
8.3. L’«altrove»
8.4. Umanità e modernità-mondo
9. Diritti. Dall’«ordine hobbesiano» al cosmopolitismo della differenza, pp.169-186
9.1. Tra passato e futuro
9.2. L’«ordine posthobbesiano»
9.3. Umanità e orrore
9.4. Archeologia dell’attualità
9.5. Diaspora e interregno
10. Civitas. Europa delle nazioni ed Europa delle città, pp.187-205
10.1. Dissonanze e contaminazioni
10.2. Solidarietà chiasmatiche
10.3. La rete e il gioco delle differenze
11. Evento. L’11 settembre e la responsabilità della filosofia (un confronto con Jürgen Habermas), pp.206-221
11.1. Fede e sapere
11.2. «Revelations»
11.3. Tecnica e fede
11.4. Postsecolarismo
11.5. Verità e disincanto
11.6. «Multiversum»
ENDIADI
12. Esperienza. Archeologia della logica identitaria (rileggendo Enzo Melandri), pp.225-250
12.1. «Linea» e «circolo»
12.2. Analogia
12.3. Anomalia
12.4. Simbolico
12.5. Archeologia
12.6. Critica
13. Morte. Poco dopo Fulham Road, pp.251-257
13.1. Epifanie
13.2. La rappresentazione e il rimosso
13.3. Antiteologia della morte
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La mia riflessione ininterrotta sul Tempo risale al 1983, anno di pubblicazione di Potere e secolarizzazione. Le categorie del tempo, di Giacomo Marramao, a cui dedicai l’intera estate.
Seguirono Minima temporalia. Tempo spazio esperienza (1990), Kairós. Apologia del tempo debito (1992) e Cielo e terra. Genealogia della secolarizzazione (1994), tutti dedicati al tempo. Torneremo a illustrare i più diversi aspetti della crucialità del tempo, criterio ordinatore all’interno della relazione d’aiuto, come in tutte le relazioni umane.
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