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La società al femminile? Una fregatura di Claudio Risé, da “Il Giornale” del 22 ottobre 2008. La “società femminilizzata” è una grandissima fregatura per tutti, uomini e donne. Le donne, perché sono state spodestate anche della loro “regalità” domestica, ormai contesa da maschi petulanti, che sanno tenere la cucina spesso meglio di loro. I maschi, perché ricacciati dal circo politico-mediatico (del resto ancora in gran parte maschile) nel girone dei violenti, gente da sottoporre a schedature di massa del DNA, come propongono le Commissarie Europee, o da non lasciar viaggiare accanto a bambini soli, come prevede British Airways. Donne spregiudicatamente sfruttate sul lavoro, come i maschi, e uomini controllati e tenuti in permanenza sotto lo stigma del pregiudizio sociale: questo, e non altro, è la “società femminilizzata” sviluppatasi in modo accelerato dagli anni 70 in poi. Non a caso donne e uomini attenti a cosa accade e dotati di buonsenso, dalla filosofa e leader femminista Luce Irigaray al poeta e terapeuta americano Robert Bly, denunciano da molti anni questa “società degli eterni adolescenti” che, sollecitando vanità di potere nelle donne poi regolarmente frustrate nelle loro ambizioni, ha svillaneggiato il principio di responsabilità e deriso l’amore tra uomini e donne, mettendo in una miserabile competizione tutti contro tutti. Per comandare con più ampi consensi e sottrarre il potere (ancora massicciamente maschile) ad ogni controllo. La società femminilizzata ha persino avuto il suo banchiere centrale: Allen Greenspan, il Governatore della Fed di Bill Clinton, il controllore “soft” che teorizzava l’inutilità dei controlli; sotto il suo lungo regno è nato il delirio della finanza “derivata”, e si è preparato il grande crash che ha divorato miliardi di risparmi da un anno a questa parte. Se non comandano le donne però, e anzi ci stanno malissimo (basta guardare le liste dei presidi psichiatrici, o le statistiche sullo sviluppo dell’alcolismo, o dei disturbi alimentari) perché si parla di “società femminilizzata”? E’ un altro modo, più spostato sul versante degli orientamenrti culturali, per descrivere la “società senza padri”, come psichiatri, antropologi, e sociologi della politica chiamano già da quarant’anni la società occidentale. L’Occidente viene così identificato perché i padri non svolgono più la loro funzione nell’aiutare nell’adolescenza i figli ad uscire dalla simbiosi con la madre. Il cuore di questa faccenda non è però, come sembrerebbe dalla disputa tra Soffici e De Benoìst, questione di pannolini e di principio d’autorità, di costrutti culturali, e di velleità di potere dell’uno o dell’altro sesso. Il fatto è che i bambini stanno per nove mesi nella pancia della madre, e non nel padre, e quando nascono non è ancora costituita una soggettività psichica, e affettiva, differenziata. Sono nati biologicamente, ma non ancora come soggetti psicologici. Perché questo accada occorre che la simbiosi istituita nella gestazione continui per un periodo abbastanza lungo, durante il quale, nella fondamentale relazione madre-figlio, nasce il soggetto umano. In un gioco di sguardi, di scambi affettivi, di riconoscimenti reciproci, nella quale la madre non è sostituibile dal padre, semplicemente perché il bambino non è mai stato nella pancia paterna, né ha mai respirato coi suoi polmoni. Naturalmente il padre quella simbiosi, dovrà poi interromperla, perché altrimenti il bimbo non riuscirà mai a distaccarsi da quella figura amata e potente, rimanendone dipendente. Tutti i fenomeni che De Benoist elenca nel suo articolo, dall’onnipotenza terapeutica all’ “ideologia vittimista, alla moltiplicazione dei consulenti familiari, allo sviluppo del mercato delle emozioni e della pietà” non sono manipolazioni di un’occulta congiura femminile per la conquista del potere, ma in realtà risposte che il “mercato sociale”, guidato prevalentemente da uomini, offre a degli individui (la gran parte degli occidentali adulti), che solo parzialmente si sono staccati dalla madre, e fanno quindi una gran fatica a reggersi in piedi da soli. Il cuore del malessere della femminilizzazione è questo. Non c’è proprio nulla di male nel femminile; senza di esso la vita diventa molto triste. Solo che ogni essere umano, per esistere pienamente e liberamente, deve rendersi autonomo dalla madre. E può farlo solo quando un padre presente e amorevole l’aiuta a farlo; altrimenti ne rimane dipendente per tutta la vita, magari trasferendo questa dipendenza sulla moglie, sul marito, o sulla società. Per questo, la società femminilizzata è una colossale fregatura. Per tutti.