Al cuore del post precedente incontro il tema cruciale dello svincolo familiare e, prima ancora, quello dell’affrancamento dalla figura materna, decisivo soprattutto per il maschio; non meno vitale per la femmina.
Di tutte le cose che siamo impegnati a discutere – bullismo, disturbi alimentari, condizione giovanile, rapporti tra i sessi… – questa mi sembra la più importante: si nasce veramente come persone con l’autonomia personale, imparando a staccarsi dalla madre. Questo è possibile (e facile) se la madre favorisce tale distacco, se non lo ostacola: ci sono madri che per decenni affermano che solo loro possono comprendere il loro figlio, perché lo hanno messo al mondo… Possono comprendere il bambino che hanno accudito, ma non il ragazzo che aspira ad essere se stesso, a scoprire la vita più che a sentirsela raccontare… Le madri non sanno dei loro figli, quando non stiano in silenzio ad ascoltarli vivere. In tutti i tossicomani che ho incontrato, l’influenza della madre mi è sembrata molto forte; i padri sempre ‘assenti’, per necessità ma anche per decreto: le madri non fanno nulla per favorire l’incontro tra padre e figlio. Anzi, si mettono in mezzo, ripetendo all’infinito che il padre è incapace di parlare con il figlio… Decidono loro che la cosa debba avvenire e come e quando e stanno lì per pochi minuti ad aspettare, scaduti i quali decretano che i mariti – esse impediscono ai loro mariti di fare i padri – non sanno fare i padri: credono che fare il padre sia la stessa cosa che fare la madre. Provate a chiedere alle donne che conoscete cosa sia un padre: non lo sanno! Esse non sospettano nemmeno che la ‘salvezza’ del figlio è nel padre, nel principio che egli incarna e rappresenta. La continuità e la durata della vita, l’accesso al simbolico, la scoperta del valore, il Segreto sono alcune delle cose maschili che le madri non conoscono, non capiscono e che spesso ostacolano. La più grande pretesa materna è quella di sapere tutto quello che un figlio pensa: non deve avere segreti! Così facendo, contrastano il lavoro paziente che il figlio fa di costruzione del confine tra ‘interno’ ed ‘esterno’, che è alla base della formazione del carattere e che è condizione di salute mentale.
I vostri figli non sono vostri. Sono i figli e le figlie della Vita che anela a se stessa. Vengono attraverso voi, ma non da voi e, sebbene stiano con voi, non appartengono a voi. Potete dar loro il vostro amore, ma non i vostri pensieri perche’ hanno pensieri propri. Potete alloggiare i loro corpi ma non le loro anime, perche’ le loro anime dimorano nella casa del domani, che voi non potete visitare, neppure nei vostri sogni. Potete aspirare ad essere simili a loro, non pero’ a farli simili a voi. K.GIBRAN
La vicenda storica e culturale del femminismo non è certo conclusa, se per femminismo intendiamo il cammino di emancipazione del genere umano femminile, che non finirà mai, come tutte le cose umane. Ridurre, però, come si sta facendo oggi, tutte le questioni al ricatto sistematico, per cui bisogna starci: il maschio è più debole della donna; i padri sono assenti; le madri hanno l’esclusiva dell’educazione dei figli… è violenza. Se è vero che parlare per generi – i maschi, le femmine – è rischioso, è altrettanto rischioso farlo quando si dice “il maschio”, “il padre”, senza sapere cosa sia un maschio, cosa un padre.
Le donne – tutte le donne – non sanno cosa sia un maschio: se lo sapessero, educherebbero i figli maschi come maschi e li lascerebbero andare quando è ora.
Le donne – tutte le donne – non sanno cosa sia un padre: se lo sapessero, lascerebbero spazio ai padri, restando in silenzio nella fase dell’adolescenza, rinviando al padre, spingendo i figli (soprattutto i maschi) verso il padre. La loro sterile onnipotenza è fonte di morte e di infelicità.
E’ vero che siamo tutti ‘condizionati’ dal sistema economico-sociale in cui viviamo. E’ altrettanto vero, però, che ognuno di noi ha il compito di ‘decondizionarsi’, di affrancarsi da ogni condizionamento. Ognuno di noi deve farlo per sé e deve farlo con i ragazzi. Occorre aiutare i ragazzi a diventare se stessi, ad imparare a riconoscere il personale destino, che è nel carattere personale.
Superato il sociologismo di trent’anni fa e passa, per cui si diceva che “è colpa della società…”, resta da dire che siamo interamente responsabili del nostro destino, anche per quella parte che non scegliamo noi. Io mi ritengo interamente responsabile di quello che sono. Ogni serio ragionamento – la possibilità stessa del dialogo – parte da qui, cioè dalla capacità di dire sempre e soltanto: Io…
Giudicare i problemi di un figlio – come quelli personali – facendoli dipendere dal contesto e basta o da questa o quella figura di riferimento non è fare gli interessi delle persone, come dei giovani che crescono: è, anzi, il miglior modo per impedire loro di crescere serenamente.
Il dato emergente oggi è la stupidità femminile, un fenomeno allarmante per cui si dà la tendenza persistente a dire tutto, a parlare di tutto, a voler spiegare tutto: le donne sanno tutto, comprendono tutto, capiscono tutto, lo capiscono meglio dei maschi, sono sapienti, sagge, hanno una memoria più forte, non si stancano, sono più ordinate, più metodiche…
Come ebbe a dire anni fa Doris Lessing, ogni donna oggi – anche la più stupida – è convinta di essere superiore a tutti i maschi. La scomparsa delle donne è in questo narcisismo diffuso, cioè nell’anaffettività, nell’insensibilità a cui si votano le donne, per cui puntano a fottere il prossimo, meglio e più efficacemente dei maschi, imponendo capricciosamente e violentemente – in modo subdolo – le loro ragioni. Lo spettacolo delle star di ogni genere, che danno di gomito per stare sulla scena, è patetico: merce tra le merci, le donne sono scomparse. Un tempo le donne, tutte le donne, erano dalla parte della pace. Passata di moda la pace, sembra che esse non siano più in grado di dire che la vita dei loro figli ha bisogno di pace per potersi propagare e durare.
Le ragazze e le donne interessate ad essere riconosciute come esseri umani non sono in competizione con nessuno, rispettano i ruoli, riconoscono i diritti degli altri, promuovono la vita ed esibiscono la sensibilità delle persone vive, che sanno riconoscere i propri limiti e stanno al quia, come tutte le persone di buon senso, come si diceva una volta. Se queste donne siano poche o tante non so. Ho 60 anni. Dei 40 anni che mi restano da vivere non so quanti potranno essere dedicati ancora allo ‘studio’ del femminile. Per quanto mi riguarda, non mi interessa più sapere cosa sia la donna. Mi accontento di frequentare nei modi possibili le donne con le quali è possibile stabilire un contatto, per non rinunciare al piacere sempre nuovo della scoperta della differenza. Tutte le forme di scrittura di cui mi sarà dato fare esperienza mi aiuteranno a conoscere l’anima femminile così come si fa nel tempo.
Nella storia della natura, il genere umano maschile e il genere umano femminile hanno subito trasformazioni grandi dal punto di vista antropologico negli ultimi decenni. I maschi non sono più quelli di prima. Le donne non sono più quelle di prima. Ci resta ogni giorno il piacere della scoperta. Assieme al compito di scegliere tra i nuovi maschi e le nuove femmine chi è proteso a realizzarsi in armonia con se stesso e con gli altri. Il resto è folclore.
Oltre il femminile, cioè oltre ogni astratta idealizzazione della donna e contro ogni separatezza. La dignità femminile non è pensabile senza la dignità maschile.
Oltre il femminile, cioè oltre ogni metafisico dissidio. In un’opera che giudico definitiva su questo punto, cioè sul femminino – Dallo Steinhof. Prospettive viennesi del primo Novecento (1980) -, Massimo Cacciari ha scritto che
“uomo e donna sono una stirpe, segnata dal destino della discordia, ma aperta anche alla dipartenza. Nel suo senso fondamentale, essa significa abbandono del discorso metafisico, per il quale ogni ‘doppio’, ogni diversità e differenza, appaiono male. La dimora per la quale uomo e donna, una stirpe, si fanno stranieri all’Anno in disfacimento, non è quella dell’unità dell’Essere della metafisica, ma quella della differenza in pace, della differenza che avviene sulla terra e sotto il cielo, che non si avverte più come colpa, ma come discordante armonia” (pp.170-178: Weibliches).