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Giovedì 27 ottobre 2011
[Una lettera scritta tanto tempo fa,
tra il sonno e la veglia]
Caro ***,
se ti parlo del tempo dell’attesa e se racconto di un incontro che ci sarà presto con una giovane donna che chiede consiglio e forse qualcosa in più, mi interessa anche farti sentire qualcosa di me in questo intervallo breve della vita.
Quante volte ci ritroviamo a vivere tra la calma piatta della quotidianità e l’irruzione improvvisa nella vita di una presenza di cui non riusciamo a darci una ragione! Corriamo subito a chiedere. Vogliamo sapere di lei. Da dove viene? Dove è diretta? Riconosce in noi i tratti di un destino che si incontra con il suo? Perché parla a noi in modo da turbarci, come se stessimo nascendo nell’istante della parola? Ma tutto questo è ciò che vorremmo chiedere. E’ ciò che già si agita nel nostro cuore.
Siamo già chiamati altrove. I pensieri volano verso regioni già troppo lontane. Anticipiamo incontri e dialoghi e trasalimenti e sospiri. Siamo nel regno delle chimere. Non di generose illusioni si tratta, qui. Non c’è niente che ci autorizzi a spingerci tanto lontano! Eppure, la macchina del desiderio è già in moto. Piccole porzioni di territorio sono già lì davanti a noi, arredate già per ospitare sogni e speranze. Ma di illusione si tratta.
Altra cosa è la speranza. Essa si nutre di certezze, di palpabili segni e soprattutto di voci che risuonano dentro di noi, a confermare che non di sogno si trattò. Non seducenti chimere e luoghi di favola ci chiamano. Il corposo richiamo della voce di lei è l’evento che ci turba ora veramente e a ragione: quella voce era rivolta a noi.
Bisognerebbe dire: il tempo della voce. Tutto il tempo che essa è stata sospesa nell’aria e l’ha riempita di sé, facendo intorno spazio alle cose del cuore e assegnando un posto provvisorio all’incanto dell’ora, noi eravamo presi dall’attimo estatico, protesi verso quell’altrove, giacché la presenza a noi di quell’epifania mondana non era tutta lì. Essa non era semplice-presenza, come sappiamo da sempre.
Era compito per noi far durare l’istante in un ritmo del cuore che fosse inizio. Perché si diano file di continuità – ed è quello che vogliamo per noi, di fronte a questo che solo merita il nome di evento, perché unico e irripetibile – bisogna procedere nella terra incognita che si stende davanti a noi, ed essa non è fatta di territori, colline, avvallamenti, svolte improvvise. Essa è solo una pianura uniforme da cui non è possibile ancora vedere sollevarsi un’idea né un palpito.
Ci ritroviamo immersi nel cerchio dell’apparire – avvertiamo la presenza – quando sorgono all’improvviso catene di montagne, dure e consistenti, lungo le quali vediamo emergere prepotenti Curiosità e Sofferenza, Orgoglio e Spavento, Furore e Nostalgia. Ma soprattutto, Invidia e Amore.
La cosa che appare a noi non ci appartiene. E’ della stirpe delle creature che sono destinate a dileguarsi. Più delle cose inanimate, che pure amano nascondersi. Oltre il puro ritrarsi delle cose, il nascondimento di lei è ciò che in questi giorni mi turba di più.
Il silenzio subentrato alle incursioni nella mia anima è di quelli che forse sono nell’ordine naturale delle cose, ma l’Impazienza è parte di quegli sommovimenti geologici che l’Amore produce in noi. Ecco: ho scritto Amore. Non è accaduto (ancora) nulla, eppure sembra che l’apparato che si intravvede costituisca il preludio a cose che non posso fare a meno di assimilare al dominio dell’erotica, se non addirittura a quello dell’amore dispiegato.
E’ insensato tutto questo. Lo so. Tu ti chiederai cosa mi stia accadendo. In realtà, non si può dire che stia accadendo qualcosa. E’ il lavorio della mente che è sconvolta nelle sue abitudini quotidiane quando intervenga un evento inaudito a turbare il corso normale delle cose. Nel campo della coscienza è apparsa una figura di cui debbo disegnare i contorni. Essa mi parla, anche se assente. Non trovo più la via che conduce alle mura di difesa. Non so bene da dove venga l’attacco e quale regione dell’anima sia maggiormente esposta. Sono nella condizione di chi non sta scegliendo, perché le cose stanno semplicemente accadendo. Forse, dopo riuscirò a dire cosa e come. Per ora, posso solo dirti che quando apparve niente è stato più come prima.
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