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La portata di questa idea è tutta da indagare:
Intanto, quello che vale per gli scrittori vale anche per noi, a proposito di scrittura.
Non realizziamo il controllo totale della scrittura, come se fosse attività esclusiva del pensiero.
I ‘prodotti’ della scrittura – non del pensiero o del linguaggio – vanno considerati per quello che sono, come espressione di un coacervo di forze e di facoltà che vi sono implicate e che a vario titolo intervengono nel processo della scrittura stessa.
Insegnare a scrivere, allora, è possibile, a condizione che la didattica della composizione (il corso di scrittura creativa…) non si riduca all’insegnamento della lingua e delle sue leggi, alla linguistica testuale e alle ‘regole’ di composizione dei diversi tipi di testo… Il mondo della vita di chi scrive non è meno importante di tutti gli attrezzi che pure servono allo scopo.
Si potrebbe dire che “c’è qualcuno che scrive”, ma chiedere che lo faccia e alle nostre condizioni non è sempre facile: la garanzia di successo non è assicurata.
Imparare a leggere – come esercizio spirituale -, allora, è una pratica da apprendere, un ‘vivere con’ (R.Barthes) chi scrive, al di là della mera testualità.
Se tutti potessimo attingere alla sorgente da cui ‘proveniamo’ senza fatica, riusciremmo forse a dire ogni cosa compiutamente, ma non nei modi conosciuti e previsti dal pensiero razionale. Siamo al di qua della scienza e della filosofia, nel campo magmatico della coscienza, dove luce e ombra non sono distinte e non sono ‘distribuite’ gerarchicamente come noi vorremmo.
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