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Domenica 29 aprile 2012
CAMMINARSI DENTRO (385): Nell’ascolto stupefatto dell’essere che si risolve nel suo svanire
Tra le cose difficili a cui dare un significato la più insidiosa per noi, perché capace da sola di generare le più dure illusioni, è l’esperienza degli sguardi e delle attenzioni di cui possiamo divenire oggetto da parte di una persona che voglia esprimere ammirazione, calda simpatia e rispetto.
L’impazienza che ci prende all’improvviso finisce per colorare di significati ulteriori un aurorale interesse, che non dovrebbe essere destinato a proseguire e a tradursi nella costruzione di una relazione duratura. La persona che ci sorride ci sorride e basta. L’apertura che mostra nei nostri confronti farà parte di un personale stile umano, che si manifesta ogni volta di nuovo con lo stesso sorriso e la stessa apertura. Ogni persona che incontrerà sarà oggetto delle stesse attenzioni, della stessa cortesia.
Il riguardo che ci viene riservato ci sembra troppo esclusivo, quasi fosse un’affezione suscitata da noi, solo da noi. Finiamo per credere che stia nascendo qualcosa di speciale, magari un’amicizia nuova.
Se poi si tratta di donna che appunta lo sguardo su di noi, come rinunciare alla tentazione di sprofondare nella più dolce delle illusioni, immaginando altri mondi e altre vite, cieli nuovi e terra nuova? E’ già Paradiso!
Il destino a cui rischia di essere votato ogni maschio è esattamente questo: non riuscire a mantenersi sulla soglia, attenendosi a ciò che appare, senza andare oltre ciò che appartiene allo spazio dei puri dati di fatto.
Non dovremmo mai sentirci autorizzati ad andare oltre ciò che ci viene dispensato: una donna dovrebbe sentirsi libera di manifestare un istintivo moto di simpatia; dovrebbe essere libera di sorriderci e di intrattenersi a discutere amabilmente con noi, se la compagnia sarà amabile… Ma tutto questo e altro ancora finisce lì.
Ci sono donne dotate di una innata freschezza, che non possono fare a meno di esprimere le loro emozioni, senza che questo poi voglia dire che ne nascerà un ‘impegno’, che i moti dell’anima e i gesti debbono condurre di necessità alla concessione di un incontro ancora e farsi preludio a file di continuità per noi.
Ci scioglieremo dall’abbraccio che non c’è stato con la stessa leggerezza con cui avremo conversato. Il sorriso elargito si spegnerà sulle labbra della persona incontrata senza rimedio. La malinconia che ci prende subito, perché avvertiamo distintamente che tra poco tutto finirà e finirà per sempre, invoca un rimedio. Bisogna trattenere la fonte della felicità subitanea che abbiamo provato.
Allora, sciuperemo con la stessa rapidità con cui siamo stati proiettati in Paradiso il bene appena ricevuto. La caducità di quella bellezza è cosa a cui non vogliamo rassegnarci. Vogliamo l’amore che dura. Non ci accontentiamo di quello che non dura. Non esitiamo, infatti, a chiamare già amore un moto dell’anima trattenuto e sospeso. Magari ci convinciamo del fatto che non è amore, che non è detto che debba essere chiamato sempre amore questo dolce che si distilla per noi nelle subitanee epifanie mondane della bellezza. Faremo tutte le necessarie distinzioni, per non irritare il giudice severo che ci richiama alla realtà, ma i demoni che ci accompagnano possono essere messi facilmente a tacere, presi dal miele che pregustiamo ad ogni istante che procediamo verso l’eternità.
Questo soltanto sappiamo fare. Stropicciare gli angeli senza rimorsi. Ignorare l’istante eterno che solo ci è concesso, incuranti del rischio di perdere il poco che pure ci è concesso. Tra i tanti Paradisi che amiamo edificare per noi, quando appare un nuovo che ci sconvolge l’anima per un po’, ce n’è uno che merita maggiore prudenza.
Dovremmo imparare l’arte dei congedi, la difficile arte degli addii, che pure si impone ad ogni piè sospinto, tutte le volte almeno che uno stupefatto avanzare della vita verso di noi si risolve in un altrettanto rapido svanire. Non vorremmo essere in quell’intervallo che precede la felicità, perché non riconosciamo i segni del tempo. Non si annuncia nessun Paradiso ancora. Perché l’anima si proietta allora verso un premio che non corrisponde a nessuna promessa dichiarata?
La creatura è in ascolto. Tendere a sentire le giuste voci è compito solenne. Solo così la vita non ci prenderà in giro.