Prima di ogni astratto furore

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Domenica 13 maggio 2012

CAMMINARSI DENTRO (386): Prima di ogni astratto furore

L’incanto di una donna è tutto nel respiro, nel soffio vitale che promana dalla bocca socchiusa, atteggiata a sospeso stupore o a contenuto piacere. È quell’impercettibile suono, a volte assenza di suono, che pure giunge fino a noi e che ci dice l’intensità del desiderio o l’emozione trattenuta, perché altro non è concesso nei momenti di perplesso abbandono. È un ansito breve che nasconde ben altro tumulto. È l’aurora del chiaro sentire, dell’abbandono fiducioso al sorriso o all’esplicito consentire alle nostre richieste insistenti o al tacito interrogare sul luogo della luce. La risposta al chiedere più grande, da dove provenga la luce, perché vogliamo trasferirci lì, proprio lì consistere nell’ek-stasis mondana. È un trasumanare del cuore, un incontro con l’oltranza della bellezza, nello spazio breve dell’apertura che ci viene in dono. Istante eterno è lo spazio di quel nunc. Non ancora sospiro, per i mancati giorni, né augurio per un evento lungamente atteso. Soltanto la voce del desiderio, affidata allo spirito dell’aria, parla del suo stupefatto esistere. Non ancora canto, quella voce accompagna il trascolorare del volto e racconta un altro tempo, dove non siamo stati mai, dove aspiriamo a tornare, all’origine di un’esistenza che vorremmo fosse stata fatta solo per noi. Da quelle oscure lontananze vogliamo che ci parli ancora di sé, che si leghi alla nostra mancanza per far tacere la muta preghiera che sola può dire il nostro astratto desiderio.

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