Un altro trascendere. In mezzo ai nuovi indecidibili.

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Sabato 2 giugno 2012

CAMMINARSI DENTRO (390): Ek-stasis

Ritrovarsi dopo trent’anni a contemplare un tempo inedito e sconvolgente in cui riappare inedita e sconvolgente una ‘voce’, non ancora un volto, un ritmo. L’onda dei ricordi è cosa da sistemare, collocare, gustare lentamente. Non sapere ancora la piega. Indugiare e rinviare, dopo avere già ripreso con impazienza ad anticipare e prefigurare. E però, avere udienza è bello. L’inaudito del sì che non promette nulla, ma che riconosce ed ammette e racconta è vero incanto. Un’emozione dimenticata. Non una promessa né una conferma del tempo trascorso, dei possibili traumaticamente interrotti. L’inedito è tutto qui, in questo indugio di cose che non sono strascico né residuale estenuarsi, in questo spazio che riappare noto, come se non fosse passato il tempo che è passato. 
Ritrovarsi qui e lasciarsi prendere dal timore di altre vanificazioni, senza nulla chiedere per sé, ormai paghi dei rimproveri e dei dinieghi, è un diverso custodire. E’ come se questo bene non potesse essere strappato via, ormai. E’ la timida ala della speranza che nulla spera, perché nulla può chiedere, forse, ormai. Dei doni sperati questo è il più grande. Al lamento per la vita che prende in giro succede questo spazio nuovo. Sento di non poter dire altro se non ‘spazio’.
E’ come spiarsi prudentemente, tentare la parola e accennare a un racconto. Ridire di sé i frammenti che si fanno tessera è già sognare il mosaico, quando a malapena saranno arabeschi  di fumo nell’aria. Consistere come parola sarebbe già un ‘questo’, come detto di cosa che sia qui, che sarà domani qui per noi.

Delle infinite forme che sappiamo del consistere è questa forse la più bella. Non l’affanno del desiderium, di cosa mai avuta che temiamo di perdere! E nemmeno il superbo vaniloquio dello spiegare e chiarire e chiarire, come se non bastasse la delusione impartita tanto tempo fa! Già oltre ogni ‘metafisico’ dissidio, rivendicare il poco che noi siamo, a nulla tendere se non al chiaro dire. Questo solo possiamo fare oggi. Solo attendere che dal deserto si levi una voce, magari un canto, che avanzi un volto e metta fine a questo lungo restare. Ma ci sarà ‘cammino’? C’è ancora una meta? e strada da aprire per procedere? Sarà possibile procedere, ormai? Possiamo solo innalzare al cielo i nostri ‘ormai’, per renderci finalmente a lei in umiltà, anche se il nostro non fu uno sbandato errare.

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