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Giovedì 27 settembre 2012
CAMMINARSI DENTRO (415): Perché solo il bene alla fine è degno di considerazione
La rozzezza è la prassi della stupidità – ROBERT MUSIL
Il tempo della lotta per il riconoscimento è finito (per me). Le vane richieste e l’affanno e la preoccupazione di essere finalmente accettato, accolto, apprezzato, magari giudicato per il mio lavoro o per le mie qualità umane sono pratiche abbandonate, a vantaggio di un più sereno sentire, fatto di pacificato stupore, per l’umana stupidità.
Questo divertito stupore che a volte mi assale è come una benedizione, perché mi consente di vincere l’impazienza, che sempre vorrebbe esigere giustizia, andare addirittura all’incasso, come se da qualche parte ci fosse uno sportello approntato per noi, per farci ritrovare l’incanto perduto!
Siamo liberi di continuare a credere che quanto ci è stato negato fin qui sarà prontamente elargito, magari con qualche altra dilazione ancora, ma arriverà, oh, arriverà il premio ambito. Qualcuno si alzerà per dire sì, e allora potremo perdere i sensi per raggiunto orgasmo.
La fiera della vanità, con il corteo dei trucchi e delle meschinità che sempre contraddistinguono le condotte degli stupidi, sta lì, sempre in prima pagina. E’ come quel tipo di Educatore – si fa per dire! – che non risponde al telefono, se lo chiami, e che non risponde alle tue lettere, se gli scrivi, facendo derivare il proprio potere da questi gesti regali che apparentano le persone alle più basse specie prive di anima.
Le ‘virtù’ italiche sono note. Furono elencate da Leopardi nel suo famoso Discorso sopra lo stato presente dei costumi degl’Italiani. Da allora nulla è cambiato. Gli italofoni si affannano tutti ad inseguire vane chimere, facendosi guidare dalle sirene del potere. Disdegnano la pubblica utilità e la lealtà civile, a vantaggio di immediati riconoscimenti, strappati con i mezzi più abietti. L’importante in Italia è sempre vincere, mai partecipare.
Io preferisco per me questo tempo di mezzo, non più torrida estate, non ancora pungente inverno, in cui sembra di potersi fermare ancora a conversare, magari nello spazio virtuale, con dolci amici e conoscenti, che non disdegnano il retto conversare cittadino, accompagnandosi con donne virtuose – le famose trenta! – e riservate che preferiscono il riserbo al clamore della scena.
E’ possibile incontrare ancora donne di cui non si conoscano le nudità e che non aspirino a stare sotto i riflettori, mai dimentiche di sé, dei loro concreti doveri, giustamente chiuse nel perimetro della loro esperienza umana.
Questo tempo passerà, e come non ci lamentammo del caldo eccessivo, non lo faremo con il freddo eccessivo, e non ci attarderemo a discettare sulle mezze stagioni e sull’aumento dei prezzi. Altre delizie ci attendono, nell’arena della vita, dove non si consumano aspre contese per un posto in seconda fila. Non siamo nati per primeggiare noi, ci basta un posto qualsiasi da dove sia possibile sentire distintamente le voci care di coloro che non sono mai risentiti con noi.
Da questa umanità senza potere riceveremo tanti doni, non insperati, perché ciascuno di coloro che amiamo non ha bisogno delle nostre richieste per pronunciare il sì per cui forse siamo venuti al mondo, per cui ci siamo sollevati al di sopra della condizione misera da cui proveniamo.