Che c’è di peggio del fatto di ricordare il tempo felice nel tempo della miseria?

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Ricordando Domenica, 6 febbraio 2011

CAMMINARSI DENTRO (468): Feierlich und gemessen – Solenne e misurato

Come il movimento di una Sinfonia che si levi in crescendo per sostare meditante, in attesa della pausa breve, il cuore a volte avanza intrepido in mezzo alle voci che si accavallano scomposte per affermare la sua nota, il timbro di un’anima. Si ferma, allora, interdetto e perplesso, distratto da quelle voci che si fanno frastuono fastidioso e rumore, per ritrovare maestoso il cammino appena interrotto: il tempo di un’esitazione e poi di nuovo un polifonico succedersi di piani di realtà sfiorati, accennati, decisamente toccati.

E’ così che avanza la voce del desiderio nelle notti di luna, quando la sua pelle rispecchia il volto di Selene e tutt’intorno è festa di cicale e la nottola tace. E’ questo silenzio che siamo protesi ad ascoltare. Siamo in attesa. Quando la cicala interromperà il suo monotono frinire, il verso spettrale dell’uccello notturno annuncerà sinistri eventi al cuore. Questo temevamo. Che un segno esterno si facesse segnale, promessa smentita di nuovo dal cicaleccio del mondo, che si fa da presso a dire cose inaudite e strane. Che il tempo dell’amore è finito. Già il poeta aveva messo in guardia: il canto dell’allodola è cosa ben diversa dal canto dell’usignolo. La notte è finita.

Perché non accettiamo la felicità di un giorno – di una notte – e pretendiamo, invece, file ininterrotte di continuità, una condizione riservata solo agli dei immortali? Non fu voce del desiderio anche la sua? Non erano rivolti a noi sorrisi e gemiti, i dolci sguardi e le pause assorte dell’anima? Cos’altro chiedere al cielo, se non un’altra notte ancora, un incontro ancora con il nostro destino, il miele delle ore  e dei giorni non degli anni e dei secoli, la Luna su di lei, il dolce che si distilla nel cuore affannato? che si calmi il respiro, per più delicati affanni, per l’abbraccio, i capelli scompigliati e i lacci del cuore finalmente vinto dalla grazia e dal canto che monotono incede a ricordare che anche un’altra notte è passata?

Sia allora solenne e misurato il canto dell’anima che muta risponderà al canto di lei. Osservare l’incanto del suo stupefatto esistere. Un’altra nota ancora. Salutare insieme il giorno che avanza, io pianoforte, lei violino, e sentire l’eco della cicala, perché la notte continui ancora nel cuore assonnato e stanco.

Lunedì 25 marzo 2013

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