Domenica 21 aprile 2013
CAMMINARSI DENTRO (473): Dell’amore il volto interno
Finché una luce senza margini d’ombra
illumina l’oscurità del tempo,
risale ad uno ad uno i suoi tornanti
e m’accorgo di te entrata nella mia vita
neppure mi chiedo da che parte e quando
e se lo sei o se invece non sei sorta
su dalla sua profondità di notte in notte affiorando.
– Che farà qui – mi dico mentre splendi
e sorridi un sorriso anche mio – forse
veglia su di me. Forse affina da sempre il mio pensiero
occupato da troppe parvenze e monco –
e ti guardo come sei, già nota
sebbene mai prima d’ora veduta
e stupisco che l’amore abbia questo volto interno.Mario Luzi, Il pensiero fluttuante della felicità, dalla raccolta Su fondamenti invisibili
Di tutte le epifanie mondane di cui abbiamo fatto esperienza fin qui la sola che si affermi tra gli istanti eterni come irripetibile apparizione c’è lei, ogni volta di nuovo, solo colei che fa tremare il nostro cuore e ci riempie di gioia quando cade sotto il nostro sguardo e si fa subito sguardo che sorride a noi, soltanto a noi.
Avevamo apparecchiato per il rito d’amore un’altra macchina per noi, che valesse a proteggere le deboli mura dietro le quali credevamo di aver messo al riparo il nostro cuore. Avevamo immaginato un lento incedere, i gesti misurati di chi accortamente apre e chiude come fa la primavera con i suoi primi boccioli, lunghe pause dell’anima e spunti e avvertimenti e cenni di assenso, perché volevamo essere maneggiati con cura.
Ma lei era lì, già viva presenza che chiedeva ulteriorità di senso, un altro senso ancora, già desiderio di conoscenza. Noi la conoscevamo appena, eppure volevamo già fermare il tempo, ripercorrendo infinite volte gli istanti appena trascorsi per il futuro gioco della memoria. Cos’altro è poi il bisogno irrefrenabile di vederla ancora, quando si sia appena allontanata, se non l’urgenza della mente di disegnare ancora i confini e le frontiere interne e le piccole ombre e misurare la luce che promana dal corpo d’amore?
Le sue esitazioni sono state pure avvertimento, e il silenzio non pausa né accorto meditare. Le sue ostinazioni non erano attesa di un’altra certezza da fornire, perché uscisse dalla fredda insicurezza in cui sempre si cacciava. Attraverso gli occhi, invece, attraversò fino all’ultima stanza il labirinto, mentre la mente estatica contemplava ancora stupefatta il volto interno di quello che si ostinava a chiamare amore.
La viva presenza è presenza viva solo se a sua volta protesa a cogliere l’ek-stasis della propria presenza mondana. Non basta amare ed essere amati, se quest’ultimo modo di consistere nel mondo non è consapevole accettazione della propria mondana presenza, oggetto di un desiderio che attenderà sempre una risposta.