Lunedì 23 dicembre 2013
CAMMINARSI DENTRO (479): Accade sempre qualcosa, se cerchiamo persone
Accade sempre qualcosa tutte le volte che abbandoniamo le ferree certezze ‘ideologiche’ su ciò che è maschio e ciò che è femmina per tentare di avanzare nella terra incognita dell’esperienza dell’altro. E’ una persona che incontriamo.
Siamo convinti del fatto che il Maschio e la Donna non esistano più, che sia passato il tempo in cui era possibile assegnare a un campo o all’altro in modo esclusivo capacità e competenze, abilità e attitudini: si trattava di vere e proprie nature. Non si avevano dubbi sulla razionalità di una parte e sulla sensibilità dell’altra. Come se la prima fosse appannaggio esclusivo di un genere! Come se lo stesso genere non possedesse sensibilità alcuna!
Abbiamo anche avvolto di un alone di mistero un’esistenza – quella femminile – che in realtà possiede la stessa ‘dose’ di mistero che avvolge tutte le creature, se mistero, poi, significa incognito, sconosciuto, ma non impenetrabile.
E se ogni nostra difficoltà dipendesse per intero dalla nostra attitudine a sostare senza impazienza presso la realtà dell’altro, a dare valore a sguardi, sorrisi, disponibilità umana, gentilezza, udienza?
Non dipende per intero dal tempo che ci viene concesso la possibilità di ‘entrare’ nella vita di una persona, nell’invisibile dell’esperienza personale, fino a cogliere quanto di più ‘nascosto’ si possa immaginare e che non è mai il segreto ultimo, il cuore della cosa stessa?
Cosa chiameremo vita ed esistenza, anima ed esperienza, se non sapremo sentire sulla superficie delle cose la traccia che conduce oltre la superficie stessa? e perché poi si dovrebbe di necessità abbandonare la superficie per guadagnare un grado di realtà più grande, quando occhi e sguardo, bocca e voce, viso e volto, assieme ai movimenti del corpo che non sono mai disgiunti dai moti dell’anima ci parlano e non da azzurre lontananze ma da una viva presenza che si staglia sempre lì di fronte a noi?
Vorremo opporre occhio a sguardo, bocca a voce, viso a volto, vita ad esistenza, a vantaggio di occhi, bocche, visi, vite, dimentichi di quanto dipenda da noi saper toccare i confini dello sguardo altrui, farsi guidare dalla voce alle soglie dell’anima, rinvenire segni, tracce, semi che diano senso all’umano consistere di chi è viva presenza, senza cessare mai di essere al contempo chiara trascendenza? e cosa vuol dire non abbandonare mai la superficie delle cose se non che su di essa è depositato il senso? E’ lì che si ‘nasconde’ il senso delle cose, non in insondabili profondità ancestrali o personali.
Solo se ci faremo guidare dall’apparenza della cosa – della persona – potremo cogliere il senso dell’esistenza altrui, senza nulla trascurare di ciò che pure si mostra a noi. Dare un volto alle persone è compito nostro. Fare di una vita una biografia è compito nostro. Lasciar esistere e favorire il consistere di una persona è compito in parte nostro.
Sicuramente, rappresentarsi una donna in un modo che sia accettabile per lei può sembrare cosa facile. Eppure, questo è compito.
Crescono a dismisura nella società separazioni e divorzi. I single costituiscono un terzo della popolazione adulta. Le relazioni sentimentali tra maschi e femmine, al di là del frastuono sessuale, sembra siano difficili, sempre più difficili.
Di tutti i maschi giovani che conosco e frequento da anni quasi tutti sostengono che le donne ‘non si trovano’, che è difficile trovarne sane di mente, che ‘vogliono comandare solo loro’, che ‘ballano da sole’ e così via. Altrettanto grande è il numero delle ragazze che lamentano la difficoltà di costruire relazioni durature con maschi che a quarant’anni non hanno ancora finito di smaltire le smanie dell’adolescenza.
Torniamo al punto di partenza: codici d’accesso smarriti? In realtà, occorre ripartire sempre dalla presenza, dal rapporto concreto con persone concrete, con le quali instaurare rapporti basati su chiarezza e onestà di intenti. Non è pensabile che sulla base della chiarezza non ci sia altrettanta chiarezza. Non è pensabile che ad un chiaro sentire non corrisponda un sentire altrettanto chiaro.
Se ci ritroviamo dentro rapporti ‘asimmetrici’, in cui non ci sia risposta soddisfacente alle attese personali, è cosa buona e giusta far partire l’orologio, darsi il tempo necessario per stabilire se valga la pena oppure no continuare a cercare ciò che nell’altro non si trova. Possiamo accontentarci anche del poco che riceviamo. C’è chi si accontenta anche del nulla che riceve! C’è perfino chi riceve solo violenze! Quando l’amore si ammala, non è più amore. Se non c’è reciprocità e rispetto, non è amore. E’ altro.
E’ tempo di approdare a una visione ‘laica’ dell’amore, per arrivare a comprendere nel suo ‘campo semantico’ anche le patologie dell’amore.
Urge non una riforma intellettuale e morale, come suggeriva Gramsci, ma più modestamente una educazione sentimentale, per uscire dall’analfabetismo emotivo che ci opprime.
Dante esaltava le trenta donne in Firenze che avevano intelletto d’amore. C’è da chiedersi, al riguardo, se si tratti di sensibilità personale coltivata ed ‘educata’ dalla famiglia e dalla scuola che invochiamo o di una personale phronesis, di nativa saggezza, accresciuta con l’esperienza e con lo studio.
Di certo, ci aspettiamo reciprocità, uno ‘scambio di risorse’ anche dentro le relazioni sentimentali, perché la mancanza da cui proveniamo non si faccia solitudine gratuita e incomprensione.
In questo umano consistere si giocherà la nostra capacità di fare ‘manutenzione degli affetti’, perché il sentire personale duri oltre il godimento di un giorno. C’è differenza tra le vive emozioni che pure ci animano e il durevole sentire che è proprio dei sentimenti! Non è più tempo di ridurre tutto a stato emozionale, per dare voce e spazio finalmente allo strato personale della sensibilità, il luogo della nostra umanità e il tratto distintivo della nostra personalità: il sentimento. La vita della nostra mente ‘proviene’ dalla vita delle relazioni e si nutre di essa. Perché è così difficile mettere al centro i sentimenti?