Domenica 15 febbraio 2015
DI CHE COSA PARLIAMO QUANDO PARLIAMO D’AMORE : Elaborare abbandono e perdita in absentia, cioè riconoscere che di abbandono e perdita si tratta
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Sarà pensabile come paradosso dell’esperienza il fatto di ritrovarsi ad elaborare il significato di un’esperienza sentimentale senza poter contare sul ‘contributo’ dell’altro o è destino di ogni relazione consumata dal tempo e dalle circostanze che spetti a chi resta il compito di decidere cosa ne vada di sé, delle proprie ragioni, del tempo che resta? Quando ormai si sia scoperto che un accordo sulle cose non è più possibile e il tasso di litigiosità oscura ogni buona intenzione, sarà sufficiente riguardare la cosa, la relazione, come compromessa e basta, al punto che non si dia in nessun modo la possibilità di dare un senso a ciò che resta, per fare in modo che sia un resto che dura oltre ogni insanabile contrasto?
Il tono stesso di questa riflessione forse è sbagliato: se l’asimmetria costitutiva di ogni relazione sentimentale è già problema, cosa dire di una relazione in cui l’altra parte è afasica, non parla, non può parlare, perché non sa di sé, non avendo mai avuto il linguaggio dei sentimenti per dire chi e cosa. Forse tutto si riduce prosaicamente a una psicopatologia dell’esperienza amorosa. Ostinarsi a chiedere e a cercare e ad aspettare non ha senso, se non si siano avute già risposte, se non si sia già trovato ciò che si cercava, se il tempo dell’attesa non sia mai stato definito. L’assenza dell’altro, allora, andrà riguardata e vissuta correttamente come abbandono e perdita. L’elaborazione richiesta sarà quella del lutto, perché di ciò che non vive non si può dire altro, se non che non è più vera presenza, non è più presenza.
Se è sempre vero quanto segue
E’ quasi impossibile separare dal nostro spirito quello che non c’è. Che cosa dunque saremmo, senza l’aiuto di ciò che non esiste? Ben poca cosa, e i nostri spiriti disoccupati languirebbero, se le favole, i fraintendimenti, le astrazioni, le credenze e i mostri, le ipotesi e i sedicenti problemi della metafisica non popolassero di esseri e di immagini senza oggetti i nostri abissi e le nostre tenebre naturali. I miti sono le anime delle nostre azioni e dei nostri amori. Non possiamo agire che movendo verso un fantasma. Non possiamo amare che quello che creiamo. – PAUL VALERY
allora dovremo lasciare l’ultima parola al nostro cuore e alle sue ragioni: in questa parte della nostra vita, siamo disposti a credere solo alle parole del nostro maestro Jacques Lacan: “L’amore è sempre ricambiato”. A chi si ostina a credere che il vero amore o l’amore puro o l’amore bello o l’amore sincero o l’amore sia amare comunque e chiunque, perché conta solo amare, posso solo augurare un rapido risveglio: capire dopo decenni di aver vissuto un amore inutile, ché magari non è mai stato ricambiato, non aiuta a sentirsi bene. Non esistono, tuttavia, strade brevi o scorciatoie: nessuno apprende facilmente la lezione della realtà. Un sano sentire incorpora quotidianamente nell’esperienza personale ‘dosi’ crescenti di realtà: è lo sguardo benevolo dell’altro la conferma di essere nella realtà. Se non si è corrisposti, l’unica realtà possibile è quella ‘sognata’.
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