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Giovedì 17 novembre 2022
OLTRE IL REALE C’E’ VITA
Della realtà sappiamo tutto. Essa ci avvolge, è ‘comune’ a tutti noi. Ne facciamo esperienza ininterrottamente. Facciamo i conti con il suo aspro sapore, a volte. Altra cosa è il Reale, il nostro Reale, tutto l’invisibile della nostra esperienza personale, che pure è incarnata. Paesaggio affettivo, sfondo su cui si stagliano le figure a cui diamo vita, proiettando in esse le mappe del nostro cervello e le immagini della nostra mente. Costruiamo la nostra mente, arredando la provincia che abitiamo, fatta delle cose che appartengono solo a noi: tutto il passato personale, i suoi residui a volte grandi e insopprimibili, difficili da elaborare pienamente, da sublimare, perfino da rimuovere, il nostro Irredimibile; i rimpianti, le malinconie, la nostalgia, le vane attese, le feroci illusioni; gli amori mai nati, i malnati, gli amori impossibili, quelli sbagliati; i tempi e le epoche della nostra vita, i fatti memorabili, le viltà e le miserie, l’Inconfessabile; i nostri avi, i maestri, quelli di cui ci siamo fatti eredi, la Phronesis, la saggezza personale; il vero amore, i dolci figli, la Speranza; la casa, il lavoro, le relazioni formali, gli impegni di ogni genere, di cui è piena la nostra vita.
Immaginate poi che accada qualcosa, di udire altre voci, di essere chiamati altrove, di essere improvvisamente immersi in una sorta di idillio, nel piacevole conforto di un incontro inatteso, insperato. Che si affacci a salutarci un volto, una voce, le attrattive di un’esistenza che esiste, all’apparenza leggera e accessibile allo sguardo, promettente. Senza illudersi mai, scoprire che un dialogo è possibile, consistere insieme in una regione mediana, che non trascura, non ignora, non finge di non ricordare il proprio Reale e quello di chi ci sta di fronte.
Non costituisce forse l’inciampo maggiore il suo ‘peso’, lo sfondo d’impossibile che piace tanto al desiderio, con le sue aporie irrisolte? Quante volte abbiamo creduto di poter credere e ci siamo incamminati sulla strada che non portò mai da nessuna parte, se non alla scoperta infinite volte ripetuta della consistenza del nostro Reale? Non decidemmo mai di congedarci del tutto da esso, per approdare a nuovi lidi, per realizzare un’altra vita solo sognata, magari vagheggiata lungamente, fatta di cose pure iniziate, di nuovi tempi pure vissuti, di intere epoche che non segnarono mai il distacco impossibile da esso.
Eppure, oltre il Reale c’è vita. Ci accade di oscurare, mettere in secondo piano, quasi ‘dimenticare’, fingere di non avere infanzia e storia, una vita e un amore, una casa e un lavoro, uno spazio vitale ampio e ben ‘arredato’. Ci accade di sentire che non di infedeltà si tratta né di velleitario conato verso il nuovo e l’attraente mondo precario ed effimero di ciò che non dovrebbe avere diritto di cittadinanza, ma che pure si dà, gioiosamente ma non irresponsabilmente né superficialmente dimentico di tutto l’Irreversibile che sta lì a ricordarci che abbiamo lungamente vissuto già, che abbiamo avuto tanto di cui ringraziare, che non è saggio aggiungere di che farsi perdonare.
Non al di là del Reale, dunque, ma oltre il Reale. Non presumendo di poter ‘scavalcare’, elidere, mettere a tacere tutto ciò che conta e che pesa e che parla e che chiama a sé, ad ogni piè sospinto.
Oltre a tutto il Reale, che sembra non esaurire le possibilità dell’esistenza che esiste nel tempo mondano, si dà altro che è possibile esperire, per cui non ci sarebbe ‘spazio’, ma che pure trova ‘posto’, paradossalmente dentro e accanto e lungo i confini del nostro Reale. Ora prudentemente sulla soglia, ora distante, ora dentro i confini, accanto a tutto il pieno che sembra non concedere spazio per altro.
Fare spazio, trovare tempo, contemperare, concedere credito, dare voce, dare il nome che non ferisce e non offende, arredare e ospitare e chiamare e amare di un altro amore, al di sopra dell’amiciza e dell’amore, al di qua dei sentimenti noti, nella regione abitabile del tempo che pure abitiamo con le infinite relazioni che non costituiscono pericolo per il Reale che pure abitiamo.
Un critico vivente scriveva anni fa su un “amore astratto”, concepito come possibile al di sopra di tutto il già noto, chiara comunanza di intenti tra spiriti consapevoli di tutto il peso delle cose, oltre il quale consistere senza nominarle. Come il personaggio protagonista di “Ultimo tango a Parigi”, che non vuole sapere, baroccamente convinto di poter mettere tra parentesi il dolore che pure si porta dentro e condiziona quello che fa.
Le obiezioni morali al nostro sentire sono destinate ad infrangersi tutte contro il sentimento della Gioia e contro il sentimento del Dolore che segnano il nostro consistere ‘ai bordi del Reale’, nel territorio che sempre concorre a definire l’imponderabile, l’impercettibile, l’inscalfibile tratto dei margini della nostra esperienza, là dove ci accade di scoprire l’esistenza dell’altro, nella sua consistenza che saremmo tentati di definire ‘eterna’, per l’impossibilità di sottometterla alle leggi della precarietà, della provvisorietà, dell’inattendibilità che contraddistinguono spesso i sentimenti umani.
La destinazione mondana a cui ci consegna la Gioia proviene dal sentirla come originata da quella esistenza che spontaneamente si situa nelle regioni abitate da noi, che ci viene incontro e che ci parla e che si allontana da noi senza generare alcun sentimento di privazione, di assenza, di mancanza. Non sarebbe Gioia, se non fosse contraddistinta da pienezza e dall’assenza del desiderio di chiedere altro. Siamo paghi del fatto che lei esista, che una persona esista per noi, interessata a parlare con noi e a riguardarci a sua volta come esistenza che esiste, che non genera il senso doloroso della mancanza, dell’assenza, della privazione.
C’è da dire che un tale sentire si addice agli spiriti magni, alla grandezza morale di chi è consapevole di sé e riesce a fondare interamente sulla propria coscienza le scelte consce di cui è capace.
Se l’esperienza del dolore è la sola voce che garantisca il governo del sentimenti, accanto alla Gioia sarà il Dolore a sostenerci nel cammino esistenziale. Percorrendo insieme i sentieri del reciproco riconoscimento, arrederemo la provincia dell’impero, senza trascurare mai le altre voci, quelle che abitano da sempre il nostro Reale. Consistere in questo territorio, nella terra incognita dell’esperienza dell’Altro è divino, perché fonte di Gioia sempre rinnovata. Questo è il vero mistero, il dono insperato che si rinnova facendoci sentire creature privilegiate, che non hanno più bisogno di doversi sentire degne di essere amate.

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