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La fenomenologia come pratica spirituale (367): Come se non finisse il mondo
Martedì 21 gennaio 2025

Dei tanti modi di sentire il tempo che resta, noi preferiamo quello più scontato, che contiene il desiderio di continuare a celebrare la vita, cioè affrontare i giorni come se avessimo ancora tanta vita davanti a noi. Dobbiamo congedarci solo dal nostro passato, dopo averlo riscritto infinite volte, per farne materia di una nostalgia che recasse gratitudine, lontano da ogni rimpianto.
Mentre impariamo a morire, ci dedichiamo a nuovi progetti che facciamo anche fatica a realizzare. Sappiamo di noi che siamo pronti ad affrontare l’ora che non ha sorelle in pace, senza rimpianti né angosce. Possiamo dire con un grande poeta cileno: confessiamo di aver vissuto.
Dovendo, tuttavia, continuare ad arredare la città che abbiamo approntato per noi, abbiamo scelto la grande biblioteca in cui saranno conservate tutte le nostre pagine. Sarà una paziente e metodica disseminazione di senso concepita per sconfiggere ogni dépense. C’è un modo tipico del nostro tempo di conferire il riconoscimento della paternità, dell’integrità, dell’intangibilità di un’opera personale che risiede nei meandri noti dei registri del patrimonio immateriale dell’umanità: luoghi senza recapito urbano dove andranno ad abitare le nostre idee. Sarà il nostro dove: là dove depositeremo le tracce delle strade che abbiamo percorso per arrivare fin qui, a questa chiara consapevolezza di aver elaborato tutta la nostra esperienza vissuta, dopo aver raccolto la sfida del senso vissuto. Se non saremo colpiti dal disfarsi del linguaggio, compileremo fino all’ultimo giorno la lista dei nostri scritti, iuxta propria principia, rinviando al grande Registro che conterrà tutte le nostre tracce, in una Blockchain che certificherà e garantirà per sempre che abbiamo veramente vissuto, lasciando che l’Imago da cui proveniamo si facesse Scrittura e finalmente tempo ritrovato.
Daremo un nome alla nostra piccola città. Sarà una sola strada a guidare alle dimore delle idee, dove le parole dispensate avranno restituito il senso del divinare dal nostro fondo enigmatico e buio.
L’elaborazione simbolica dell’esperienza vissuta non lascerà in giro scarti, né la scia malinconica dell’infranto. Abbiamo onorato i nostri frammenti, facendone elementi indispensabili per proseguire l’arredo della provincia che abbiamo abitato. Abbiamo adorato la sola dea della chiarezza, per la quale abbiamo cercato le parole nei crepacci, alla maniera di Virginia, per dare voce al volo della mente. I nostri momenti d’essere testimoniano la volontà di sapere che ha costituito il nostro Oriente: siamo stati aperti alla conoscenza delle persone che abbiamo amato.
Accanto all’Ombra, siamo stati in ascolto delle voci della terra, prediligendo soprattutto quella delle donne. Siamo grati del bene ricevuto. Abbiamo lungamente ringraziato e perdonato.
Abbiamo guadagnato il posto che occupiamo senza toglierlo a nessuno, coltivando il nostro giardino, per renderlo accogliente. Volevamo essere una mente ospitale. Sappiamo che non esiste la terra senza il male. Quest’ultimo può essere combattuto efficacemente solo mettendosi sulle tracce del bene, disegnando la propria città per essere trovati sempre, come se non finisse il mondo quando non ci saremo più.

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