L’ultimo messaggio educativo recepito dai miei alunni di terza liceo, nella primavera del 2008, è quello contenuto nel titolo, e quel messaggio mi è stato restituito da loro stessi che, a conclusione dell’anno scolastico, mi hanno salutato con una proiezione di foto, sullo schermo dell’aula multimediale, che si chiudeva con quelle parole. Essi mi dicevano: «Noi ricorderemo. E non smetteremo di sperare». Non avrei potuto chiudere meglio la mia carriera di insegnante.
Della capacità di ricordare il bene ricevuto ci sarebbe da discutere a lungo, per la quantità di affetti e di forze che sono implicati, che è veramente grande.
Innanzitutto, gioca un ruolo centrale la relazione principiale con la propria madre. Quello che è accaduto nei primi anni di vita è destino, cioè carattere. La capacità di amare, ma soprattutto la capacità di accettare l’amore che ci viene dagli altri si apprende lì, in quella zona nevralgica dell’esperienza.
La strutturazione poi del rapporto con il proprio Sé e con il mondo esterno consentirà di definire più o meno marcatamente la linea di confine tra ‘interno’ ed ‘esterno’, da cui dipenderà il sentimento del pudore, la capacità cioè di difendere il territorio interno dalle incursioni del mondo esterno… La sfera della libertà personale è promossa e sostenuta da quel sentimento di sé.
L’attivazione degli strati profondi della sensibilità, come risposta all’irruzione di un significato che gli altri ci rimandano, si fa capacità di dare valore all’esistenza altrui. E’ quello che potremmo chiamare ‘scoperta dell’esistenza dell’altro‘.
La ‘conoscenza’ delle emozioni, delle passioni, dei sentimenti, intesa qui come esperienza del dolore, ci dà infine la possibilità di dire l’indicibile. Daremo un nome ai moti dell’anima. Esprimeremo compiutamente quello che sentiamo. Sapremo scegliere cosa fare. Agiremo in modo consapevole. Riconosceremo la realtà dell’anima. Ringrazieremo per il bene ricevuto. Perché avremo imparato a dire: Bene. Lo ameremo e gli daremo un nome.
Della capacità di ricordare il bene ricevuto sembra che non riesca a tenere conto e ad avvalersi chi si fa prendere dalla gelosia, dall’invidia, dalla superbia… Ogni affermazione di sé che neghi l’altro è negazione della grazia, cioè della capacità di ‘arrendersi’ all’altro. L’arrendevolezza delle passioni, infatti, è ciò che si richiede per ‘fare spazio’ dentro di sé all’altro: lo spazio occupato dall’altro non ‘si svuota’ né ‘si fa grigio’ quando intervengano distanza, assenza, lontananza, addirittura mancanza. L’esperienza del dolore è, innanzitutto, questo: gestione degli stati d’animo dolorosi ma necessari di cui facciamo quotidianamente esperienza. Non è solo il male grande – la mancanza, conseguente a morte o abbandono – a segnare l’esperienza del dolore.
Il vuoto in cui ci ritroviamo è compito: dobbiamo riempire il vuoto e combattere l’insensatezza del mondo, lavorando in ogni istante nella nostra anima perché tutto ciò di cui abbiamo già fatto esperienza ci sostenga. Qui interviene il ‘ricordo’ del bene ricevuto. Il ‘sapere’ incorporato nell’emozione non va perduto.
Farsi guidare dalla ragione, per me, significa soprattutto questo: ricordare il bene ricevuto.
I miei alunni sanno bene di essere stati amati un giorno. Il calore della cura di cui sono stati oggetto li riscalderà per sempre. Essi sanno di essere creature degne di essere amate. Hanno imparato che è più difficile accettare l’amore che darne.
La gratitudine che, così facendo, esprimiamo a coloro che ci amano alimenterà la nostra capacità di amare e ci sosterrà nei momenti di avversità, quando si richiederà resilienza, cioè la capacità di rialzarsi se l’immensurabile si abbatterà sulla nostra casa: allora non dovremo dire di essere sventurati. Sarà quello in giorno in cui non dovremo disperare di noi.
L’istante eterno generato dall’amore ricevuto vivrà in noi, scintilla vitale che aiuta ad oltrepassare l’attimo violento.
Allora bisognerà sfidare il tempo, rispettando la sua legge. Se è vero che nulla appare invano, riconosciamo che la stella apparsa sul nostro cammino splende ancora. Contro la malinconia del così fu, lasciamoci sostenere dalla gaia scienza della caducità. Non dobbiamo temere il ritrarsi delle cose. Esse sono sempre lì, pronte a regalarci ancora lo stupore che promana sempre da tutto ciò che è bello.