CAMMINARSI DENTRO (33): “Siamo qui per dare senso alla nostra vita”.

Il punto più alto dell’intervento di apertura di don Antonio Mazzi, all’incontro di formazione con gli Educatori di Exodus del 9 gennaio, è stato senz’altro il momento in cui ha chiarito altre due espressioni sue – «Esperienza fraterna», «Esperienza di relazioni» – con le parole: «Siamo qui per dare senso alla nostra vita». Il paradosso più grande delle ‘professioni d’aiuto’ risiede forse proprio in questo ‘risultato’, nel guadagno che deriva a chi va incontro all’altro, nel momento in cui scopre che la liberazione dell’altro dalla sua condizione di minorità sociale è contestualmente affrancamento della propria esistenza da altre forme di schiavitù. Nel tentativo di ‘salvare’ gli altri, salviamo noi stessi. Quante volte abbiamo sentito dire da Operatori sociali e da Educatori sensibili che hanno appreso, hanno imparato…!?

Exodus è esperienza di relazioni, in quanto queste precedono, superano il peso, l’importanza data alle strutture, ai titoli, alle cariche, agli incarichi… Conta la prossimità ideale, la purezza dell’occhio con il quale guardiamo le azioni dei fratelli. La manutenzione degli affetti è certamente faticosa. Separarsi dalla confortevole sicurezza della propria casa per andare a bussare alla porta del fratello è esercizio aspro, quando la strada che abbiamo messo in mezzo sia grande. Ci stiamo chiedendo come si faccia a tornare a credere a chi ci ha traditi ripetutamente e siede in mezzo a noi, chiamato dal padre a riprendere il suo posto accanto a noi.

Exodus è esperienza fraterna, in quanto l’altro Educatore, i ragazzi-adulti ospiti delle Case di Exodus, i familiari, assieme a tutti coloro che entrano nel Cerchio, non sono mai folla indistinta, incontro occasionale, rapporto distratto e formale. Ci accade di abbracciarci tutte le volte che ci incontriamo. L’esercizio ininterrotto della virtù dell’amicizia ci vede impegnati a cercare le vie del perdono, per noi stessi e per chi ci ha fatto torto. Quello che vogliamo costruire è solidale catena. Il cammino di liberazione comune è legare, non sciogliere.

«Siamo qui per dare senso alla nostra vita». Siamo stati invitati a considerare il privilegio che ci è stato offerto dalla vita, avendo potuto scegliere di stare accanto all’esistenza spezzata, come a me piace chiamare la condizione tossicomanica. Siamo stati messi per strada, là dove avvengono incontri, perché incontrassimo i clochards che oggi sono più odiati e le prostitute da cui non smetteremo mai di comprare e i tossici malati di solitudine e i miti che  temono  sempre di sbagliare e i poveri che non ricordano mai cosa chiedere. Ci ritroviamo cocciutamente ad amare le persone sbagliate, perché ci è stato detto che l’amore è una legge, e noi vogliamo obbedire a questa sola legge.

‘Qui’ significa per me accanto all’Ombra. Non perché la mia vita sia insensata sto qui. La mia esigenza di dare senso alla mia vita nelle forme del dono (della libertà di donare) e dell’ascolto («Noi siamo un colloquio») corrisponde a un compito che dovrebbe essere di tutti: dobbiamo dare senso alla vita, perché essa è insensata, se intendiamo per vita la sola realtà biologica, la condizione animale, la ‘semplice-presenza’ di umani nel paesaggio urbano. Quando la vita si fa esistenza, prende corpo davanti a me la realtà umana: si dà l’evento della scoperta dell’esistenza dell’altro. La mia percezione di quella struttura emergente si fa contatto, che io deciderò quale significato abbia. Il valore dell’altro dipende dal significato che darò alla sua presenza, cioè dalla distanza che metterò tra me e lui. Dentro la relazione lo scambio emotivo, sempre asimmetrico – tranne che nell’amicizia – conferisce senso al mio domandare. Il paradosso della relazione educativa risiede nel fatto che non di ‘trasmissione’  della conoscenza si tratta: l’interdipendenza positiva che si instaura tra le persone è indicazione di mete, condivisione di scopi, cammino comune, pensare insieme.

Dare senso alla vita insieme è possibile, a condizione che si sappia riempire il vuoto che la contraddistingue e nel quale rischia di precipitare tutte le volte che sciogliamo la solidale catena che ci lega agli altri.

RIEMPIRE IL VUOTO

La difficoltà più grande che incontra la famiglia oggi nasce dal fatto che viviamo tutti in una società nella quale molte certezze sono venute meno, soprattutto dopo la caduta delle ideologie politiche: non ci appelliamo, più, in sostanza, ad una visione della realtà, ad una visione del mondo con la quale spiegare tutto. Abbiamo rinunciato a spiegare tutto. L’individuo non sa tutto del mondo. Crede però che si debba saper tutto, per poter guidare i figli.

Il genitore è disorientato, in mezzo alla selva dei simboli della cultura moderna, perché la varietà e la ricchezza dell’informazione e delle occasioni culturali generano l’illusione che a tutti sia concessa la partecipazione e garantita una qualche forma di protagonismo.

In realtà, tutti facciamo l’esperienza del VUOTO, che è accompagnata da un senso di spaesamento e di paura.

Siamo smarriti, perché avvertiamo che le cose tendono a ‘perdere senso’, se non provvediamo noi costantemente a dargliene uno.

Ciò di cui tutti facciamo esperienza è la paura del vuoto di senso, lo smarrimento per una perdita di significato della vita.

Il nostro compito è quello di fornire alla famiglia una risposta breve, spendibile immediatamente, perché i genitori hanno bisogno di risposte che abbiano un senso precostituito, gratificante, acquietante e “disangosciante” (una ‘fermata’ pronta e comoda, cioè la possibilità di chiudere subito l’angoscia).

Occorre partire così, per poterli portare successivamente ad affrontare il viaggio più lungo, dentro il quale non tapperemo subito l’angoscia, perché emerga un senso ulteriore, una potenzialità della coscienza inesplorata: non si tratterà di interpretare, ma di ascoltare, per vedere emergere spontaneamente un nuovo senso proprio attraverso l’esperienza dell’angoscia e del non senso.

La completezza a cui aspiriamo non c’è mai stata e non ci sarà mai. Si tratta di capirlo e di imparare a convivere con questo aspetto ineludibile e ineliminabile della condizione umana.

L’azione educativa della famiglia, perché giunga alla possibilità della proposizione di valori, ha bisogno di incontrare il negativo che è nel ragazzo.

I genitori, però, debbono comprendere quello che c’è di comune a tutti noi in quel negativo (la paura del vuoto), perché il vuoto, la mancanza di senso può tradursi in azioni distruttive e autodistruttive. Per impedire che si manifestino quelle energie negative, bisognerebbe arrivare a calmare l’angoscia da cui esse nascono.

L’azione educativa è culturale, nel senso che si traduce nella creazione di uno ‘spazio linguistico’, nella proposta di azioni dotate di senso, e per questo gratificanti, immediatamente remunerative per il ragazzo.

In sostanza, occorre facilitare il rapporto con la realtà, altrimenti prevarrà l’azione del negativo che è nel soggetto.

Fare questo è RIEMPIRE IL VUOTO CHE E’ NEI RAGAZZI.

Ma questo non è ancora un ‘fare’ concreto. E’ piuttosto una presa di coscienza teorica della nostra comune condizione. A partire da essa, occorre riempire il vuoto di cui parlavamo, insegnando a riconoscere nel fondo della loro coscienza le mancanze, le debolezze, la fragilità, l’insufficienza, l’incompletezza che sono in noi, prima ancora che in loro. Se riusciremo a far capire loro che l’età adulta non è un porto sicuro, che non è finita la battaglia per la chiarezza, che l’equilibrio raggiunto può essere insidiato quotidianamente dall’incertezza delle cose che ci circondano, perché non tutto dipende da noi, e che spetta ad ognuno di noi adulti continuare a lottare per dare senso alle proprie azioni, per far emergere con chiarezza la serietà delle intenzioni, perché il senso delle azioni sia riconoscibile e riconosciuto.

Riempire il vuoto dei ragazzi significa insegnare loro il significato della vita e della morte, dell’amicizia e dell’amore; la differenza tra maschio e femmina, il valore della fedeltà a se stessi, il piacere di godere di quello che si ha, il senso del tempo, i diritti degli altri.

Riempire il vuoto dei ragazzi significa aiutarli a comprendere che l’amore non è solo un sentimento ed un sentimento solo. Dentro l’esperienza dell’amore risaltano i nostri pregi e i nostri difetti. Entrano in gioco tutte le nostre sensibilità. Oltre l’innamoramento e l’idillio, affiorano le capacità di comprensione e di rispetto, la pazienza e la misura, la forza e il coraggio.

Riempire il vuoto dei ragazzi significa saper riconoscere i momenti in cui sono contenti ed essere contenti assieme a loro, saper riconoscere i momenti in cui sono tristi e riuscire a capire perché e trovare le parole per stare vicino alla loro tristezza senza sottovalutarla e senza esagerarla: arriverà il momento in cui si apriranno a noi, se saremo stati vicino a loro nel momento della gioia come nel momento del dolore.

Riempire il vuoto dei ragazzi significa capire anche se essi non parlano, riconoscere da pochi segni i loro stati d’animo e i loro sentimenti, le loro intenzioni come quello che li paralizza e impedisce loro di agire.

Riempire il vuoto dei ragazzi significa aiutarli

  • a non affogare nella noia e nell’inazione, nell’inerzia e nella pigrizia
  • a non ‘inacidirsi’ nel rancore e nel risentimento, nelle vane attese e nelle recriminazioni
  • a non confondersi e a non identificarsi troppo con gli altri
  • a non allontanarsi, presumendo che siano gli altri che debbono cercare noi
  • a non dimenticare mai che è più importante capire che essere capiti
  • a mettere al centro sempre gli altri, perché così facendo il mondo imparerà a riconoscere la loro umanità e a ripagarli della loro generosità
  • a sperare sempre, perché la disperazione è sterile e vana, e perché solo il bene, in ultima istanza, è degno di considerazione.

Se dimostreremo ai ragazzi di essere in grado di riempire il vuoto della loro vita, si affideranno a noi, ci cercheranno sempre, si aspetteranno parole di incoraggiamento e di conforto. Sarà possibile indicare un VALORE, il significato alto di ciò che non ha prezzo, perché da solo e di per sé riempie la nostra vita, ripagandoci di tutte le mancanze e di tutte le perdite.

[ dal PROGETTO LIBERA MENTE: L’AZIONE DI VOLONTARIATO CON LE FAMIGLIE E LA FORMAZIONE DEI GRUPPI DI AUTO-AIUTO ]

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