Camminarsi dentro non significa soltanto ‘espressione’, ‘vissuto’, ‘confessione’, ‘rivelazione’, ‘esame’, ‘dialogo interiore’. Per me, è anche riflessione sulle mosse della ragione, illuminazione di zone dell’esperienza di cui mi accada di venire in chiaro, argomentazione filosofica, attraversamento di istanti eterni, nomadismo intellettuale.
Disegnare mappe dell’esperienza è rinvenire nessi nascosti che si rivelano alla coscienza dopo il travaglio di anni e che aiutano a chiudere il circolo ermeneutico rilanciando il processo semiosico su altri piani di realtà, al culmine di epoche della vita che volgono al termine. La nottola di Minerva si leva in volo al tramonto, è noto.
Si dà qui una lettura del libro dell’anima. Si tratta di un’autentica lettura dell’anima, del fondo enigmatico e buio da cui mi accade di divinare, come accade a chiunque sia disposto ad aprirsi, rendendosi ‘beante’.
Il percetto prende la forma del delirio, del vaneggiamento, a volte del rimpianto e della nostalgia. Sempre è un fare il punto della situazione, lasciando spazio all’Ombra, alla parte ‘bassa’ dell’anima, alla parte esposta, fragile.
Questo scrivere è oltrepassamento della linea di confine tra ‘interno’ ed ‘esterno’, indicazione del territorio liminare, osservato al di là del confine stesso, lasciandosi alle spalle la porta aperta.
Camminarsi dentro, lasciando vedere quel che c’è dentro.
Camminarsi dentro, cioè farsi viandante, nomade, in esodo dallo spirito del tempo.
Abbozzo di un’etica del viandante, questo costituirsi come soggetto morale non può accontentarsi della sola resistenza contro le inerzie del tempo. Il passo di danza a cui aspira il movimento del pensiero è il sogno dell’avvenire, ricerca inesausta di senso, sforzo ininterrotto teso a dare un nome alle cose. Venire in chiaro di sé, per poter dire: «sono pronto».