Che l’amore sia un’altra cosa lo sapevo già. Che dovessi convincermi fino in fondo che sto andando incontro al mio destino mi è altrettanto chiaro. Che per poterlo fare bene debba deporre le insegne regali è più duro da accettare, considerato che da tempo sembra che esse siano state deposte e giacciano nel fango, senza che il passante interessato a raccoglierle si sia offerto alla bisogna. Quale aura mai andò perduta, che non abbia saputo poi fare tesoro del nuovo evo per convincermi a consistere pago del mio solo pane sulla dura soglia? Ho forse chiesto ed implorato invano, ancora? Non ho forse appreso ad obbedire alla clava del silenzio e a superare le malversazioni dei dinieghi e a misurare il calcolo del dare e dare, senza chiedere più nulla? Dopo la scuola della rinuncia lungamente accarezzata, in vista di altri premi mai avuti, cosa resta se non godersi l’aria pungente dell’inverno da tutti odiato ingrati? Non è questo preparazione alla primavera che inesorabile verrà, a rinnovare aperture e dolci illusioni? Non è forse vero il mandorlo in fiore e l’annuncio di altre rugiade? Il vento leggero che porterà profumi lontani ci tradirà sulle cose di cui è messaggero? Il tepore delle giornate tornerà. Sì, tornerà. E questo basta a fare dell’uggia di oggi non un eterno imperversare e l’infierire della sorte avversa. Io so che l’inverno passerà. Finirà con esso la stagione della cattività domestica e spalancherò le mie finestre al sole del mattino. Non potrò opporre altre resistenze all’intruso ospite del giorno: sarà luce, e il profumo portato dal vento mi dirà che lassù, tra le montagne, il germoglio delle piante più selvatiche è promessa anche per me. Non ho avuto solo l’inverno in sorte, per fortuna! Se la stagione aspra chiuse i cuori ad altre evidenze e scoraggiò la timida ala della speranza, come non affacciarsi allora a dire sì a questo lento incedere del tempo che altrettanto lentamente se ne andrà? Se le finestre restarono chiuse per me per tutto l’inverno, con l’inverno passerà anche il ricordo di quelle finestre dolorose. C’è già nell’aria un sentore di cose che cambiano e muoiono. E’ questo tempo che impone al cuore di incominciare a sciogliersi nell’abbraccio dei giorni sempre meno scuri. Non è ancora luce, ma certezza che essa inonderà tutt’intorno qui, anche per me.
Aver esitato e aver indugiato tanto su questa soglia improbabile fu l’aspra ventura che un altro responso aveva sconsigliato già. Ma possiamo noi chiedere conforto all’ostinato peregrinare intorno alla reggia d’amore e desistere ordinando al cuore di obbedire? Per guadagnare quale terra meno incognita e fortuita, sognando terre al di là delle terre? In giornate come questa ciò che salva è poter sollevare gli occhi da terra e scoprire che è quel sollevarsi un inizio di salvezza. Una gioia segreta si insinua tra le pieghe del giorno. Il grembo della terra è il luogo che nasconde le ragioni di questo sussulto del cuore. E’ deserto intorno. Eppure, sopraggiunge insperato il pensiero che la pioggia insistente ha fecondato il grembo arido del campo. L’inverno ha fatto la sua parte. I malanni che ha portato pure sono stati graditi. I giorni trascorsi sotto le calde lenzuola hanno educato ad accettare ed accettare ancora. Anche da quel tepore è stato necessario sciogliersi, per tornare a sentire gli ultimi brividi dell’inverno che se ne va. Al termine di una giornata senza te sono fermo a questa evidenza della notte: la guerra degli affanni è cessata, ormai. Bisogna lasciare solo che la notte passi, senza cedere alle tentazioni delle tenebre, che non spaventano più. E’ stata una bella giornata per me. Rientrando da città vicine, al culmine del compito consueto del sabato, ho incontrato il sole. E’ bastata la luce, se pure il freddo non è stato scacciato dalla luce. E’ stata una bella giornata senza te.