Il volto
Questi volti apparsi tra la folla:
petali su un ramo umido e nero.
Così recita nella versione di Vittorio Sereni la poesia – quasi un haiku – di Pound, che in originale suona: The apparition of these faces in the crowd; / Petals on a wet, black bough. Il titolo In una stazione del métro (In a Station of the Metro) ci aiuta a comprendere meglio. L’epifania cui la poesia allude accade in una stazione metropolitana: il poeta vede sbucare dalla gola profonda del metrò (che nella sua lingua madre si dice underground – parola che egli volutamente evita); il poeta, dicevo, vede sbucare dal sottosuolo una folla indistinta, amorfa, anonima. Ma ecco che si accendono come fossero luci le facce; i volti appaiono e sembrano al poeta petali su un ramo bagnato, scuro. Su un ramo umido, nero, è difficile, non viene spontaneo immaginare dei petali; è in effetti una strana fioritura questa cui allude Pound, il quale grazie alla sua immaginazione poetizza la piovosa e tenebrosa stazione del metrò di una sera qualunque a Parigi […].
Il volto appare. Il modo della manifestazione del volto è l’apparizione. L’epifania illumina d’un tratto il buio dell’anonimato. Il volto è una luce che si accende nella notte della metropoli. Nella metropoli, che sia New York, Parigi, Londra, siamo tutti soli, un’indifferente moltitudine senza nome, una folla di equivalenze, uno uguale all’altro e a nessuno… Ma tale indifferenza a volte si strappa e una faccia ci colpisce; che non sarà necessariamente bella, ma singolare. E’ allora che percepiamo l’esistenza dell’altro.
Il volto non è il nome proprio, è un che di più essenziale del nome; non è l’identità, è semmai l’alterità, il segno umano per eccellenza. Un volto può attraversare la mia strada e rimanere anonimo – sarà per sempre l’altro, l’estraneo, non lo conoscerò mai. Eppure, per un istante avendo bucato l’indifferenza del mio sguardo, mi ha risvegliato dal sonno della vita, mi ha salvato dall’opaca monotonia quotidiana. Ho visto qualcuno, qualcuno ha arrestato l’inquieto trascorrere dei miei occhi da una superficie a un’altra. Io gli sono grata.
In una etimologia fantastica e fantasiosa di Isidoro di Siviglia, homo non vien più riferito a humus, e dunque alla terra di cui egli sarebbe composto, ma attraverso la parola greca anthropos viene riportato ad anatrepo – che significa “volgersi in alto”. L’uomo, dice Isidoro, è prima di tutto una creatura presa in una certa rivoluzione, che la trasporta verso l’alto; ha un volto, e questo è rivolto all’alto. L’uomo è questa torsione, l’umano nell’uomo è precisamente il fatto che egli ha un volto, e con esso si rivolge al suo dio.
Nel volto l’uomo è simile a Dio. Nel libro della Genesi si racconta come Dio in sei giorni abbia creato il mondo e in esso l’uomo e la donna: «Iddio creò l’uomo a sua immagine, a immagine di Dio lo creò; lo creò maschio e femmina». Sono parole famose, così tante volte commentate. Ci dicono della somiglianza tra il Creatore e la sua creatura. «Facciamo l’uomo a nostra immagine, secondo la nostra somiglianza» ripete Dio: non simile alle altre creature che ha già creato – agli altri animali viventi, quelli domestici, o ai rettili, alle fiere – ma a se stesso. Se è così, se l’uomo somiglia al Dio Padre che l’ha creato, come si fa a non amarne il volto? a non adorare le sue sembianze?
Non so se l’uomo assomigli davvero al suo dio. Certamente, il suo dio somiglia all’uomo nelle rappresentazioni che ne conosciamo. Non v’è dubbio che l’uomo ha dato al figlio di Dio, al Cristo, il suo volto. E’ per questo che il volto apre quella luce nella poesia di Pound. Per questo stesso motivo Pound affida all’immagine del volto l’epifania della complessa presenza dell’umano – l’umano colto nella folla, incarnato nelle diverse facce, che pur nella somma apparentemente non scomponibile di tanti altri che me ne dovrebbero impedire la percezione, tuttavia mi sorprende, mi arresta… Perché l’altro – qui, di fronte a me, vicino, ma distante, perché io non lo posseggo, lui non è in mio potere – sempre mi commuove col suo proprio unico singolarissimo volto.
NADIA FUSINI, I volti dell’amore, MONDADORI 2003, pp.7-9 – [Vedi la recensione di Valeria Merola].