Nel contatto con lei e dopo il Seminario – tornando a casa – avevo la sensazione forte di essere sul punto di innamorarmi di lei. Anzi, direi proprio che mi ero innamorato di lei! Ma come poteva darsi una circostanza del genere, considerato che accanto a me c’era la mia donna, quella che poi sarebbe diventata mia moglie? Eppure, i sintomi erano chiari.
Nella Clinica delle malattie nervose e mentali dell’Università di Roma, fra il ’69 e il ’71, seguii le lezioni di Psichiatria, che erano completate da un Seminario tenuto dal dottor Luigi Cancrini, uno degli Assistenti del prof. Reda. Quest’ultimo teneva una cattedra di Psichiatria per i soli studenti di Filosofia e di Giurisprudenza: era consentito, in quegli anni, seguire per due annualità Corsi di altra Facoltà. Io avevo scelto Psichiatria.
Una volta alla settimana Cancrini teneva il suo Seminario, che consisteva nel dialogare con un malato, che stava con noi per tutta l’ora del Seminario. Noi dovevamo ‘indovinare’ di quale malattia soffrisse.
La donna di cui parlo in apertura di questo ricordo era una giovane schizofrenica. Per me, era bellissima, anche se pallida e magra oltre misura. Io sentivo la sua anima. Per tutta l’ora, sperai che si accorgesse di me, che parlasse a me, solo a me.
Tirò fuori da una grande tasca della sua lunga veste un quaderno di poesie e ce ne lesse più di una. In uno dei componimenti diceva di sé: sono una schi. Non c’erano dubbi sulla natura della sua sofferenza.
Ci rivelò di aver fatto l’amore con Gesù, e questo mi sembrò sublime. Pensai subito che, naturalmente, nessuna aveva creduto al suo amore per Gesù. Io, invece, tremai al pensiero che forse era vero, che Gesù era andato da lei, a riscaldare la sua vita: il suo dolore doveva essere talmente grande che solo un amore altrettanto grande avrebbe potuto lenirlo. Avevo perso la fede proprio in quegli anni, ma alle sue parole avvertii che un miracolo era avvenuto. Sì, doveva essere così. Nonostante tutti i miei studi, capii allora che non avrei mai potuto fare l’alienista, come dicevano alcuni in quegli anni: io credevo alle sue parole! Se mi avesse preso per mano, l’avrei seguita, dimenticando tutto il resto.
Ci fece vibrare all’unisono con la sua anima per tutto il tempo. La dolcezza del suo cuore e la soavità della voce potevano non colpire al cuore?
Fu allora che scoprii la fragilità. Ma ne fui consapevole molti anni dopo. A quei tempi, non sapevamo di essere fragili anche noi: la corazza dell’ideologia ci proteggeva dall’anima del mondo, che a stento penetrava in noi. Ma lei, lei era entrata, eccome!
Per mesi e poi per anni mi accompagnò nelle notti insonni, quando veniva a visitare le mie solitudini, regalandomi ancora il suo sorriso e la dolcezza della sua voce disperata.
A noi rivelò ancora che si era ammalata dodici anni prima, che le crisi erano sconvolgenti e distruttive, che si piegava in due e inginocchiata pregava Dio di liberarla del tormento che opprimeva la sua anima. In seguito, aveva imparato a convivere con i fantasmi che visitavano i suoi giorni, assediando la mente senza pietà.
A quei tempi non sapevo piangere ancora, per fortuna! Se incontrassi oggi una creatura come lei, so per certo che la mia vita cambierebbe in un giorno. Mi disporrei accanto a lei, la implorerei di permettermi di starle accanto, anche in silenzio, per sentire soltanto il suo cuore. Le racconterei di un’altra donna che era venuta incontro alla mia vita, cambiandola radicalmente: negli anni successivi compresi ad una ad una le cose che lei ci aveva detto e distillai uno per uno i dolci affetti che aveva suscitato in me. Sì, io l’ho amata veramente quel giorno.
So bene che nessuno dei trattati sulle passioni umane né le biblioteche che contengono le storie, i versi, i saggi scientifici sull’amore contemplano la possibilità di un’intera vita condensata in un giorno, ma io sono sicuro di averla amata, con l’ardore del mio giovane cuore, e ne piango oggi, per averla perduta irrimediabilmente.