Il noto psichiatra torna a scavare nell´interiorità con un lavoro a metà tra il saggistico e il letterario insistendo sull´aspetto temporale di ogni movimento dell´anima.
Le penombre della malinconia, le angosce senza oggetto, il sentimento della nostalgia, le ossessioni della colpa, le ferite dell´ansia, i rimpianti, le attese, le intermittenze del cuore: sono i temi – sempre uguali e sempre diversi – che ama trattare Eugenio Borgna, con una sua cifra personalissima.
Nel capitolo più sorprendente del suo nuovo libro – Le emozioni ferite (Feltrinelli, pagg. 222, euro 17) – l´autore si avventura invece in un territorio del tutto inedito rispetto al suo abituale lavoro di introspezione, e più in generale pochissimo esplorato, scavando nell´esperienza improvvisa e fragilissima della gioia. Da sempre molto si è pensato e si è scritto sulla condizione della felicità, ma non sull´immediatezza e sull´intemporalità della gioia che brucia in un istante, “nel presente del presente agostiniano”, o anche – scriveva in una lettera Rilke – «La felicità ha il suo contrario nell´infelicità, la gioia non ha contrario, per questo è il più puro dei sentimenti».
È Borgna a ricorrere alle citazioni, e nelle sue pagine si affastellano, ma l´uso che ne fa non è mai vanesio. Per restituire il “nocciolo metafisico” dell´esperienza emozionale della gioia è al Diario di Etty Hillesum che rimanda, a un documento straordinario pubblicato da Adelphi negli anni Ottanta. L´autrice olandese, uccisa ad Auschwitz, ha scritto pagine segnate da quella che Borgna definisce “la nostalgia dell´infinito”, sempre interna all´emozione della gioia. Anche in un campo di concentramento, Etty è misteriosamente capace di viverla, sorretta da una sua incredibile forza intima: «Ma cosa credete, che non veda il filo spinato, non veda i forni, non veda il dominio della morte, sì, ma vedo anche uno spicchio di cielo, e questo spicchio di cielo ce l´ho nel cuore, e in questo spicchio di cielo che ho nel cuore io vedo libertà e bellezza. Non ci credete? Invece è così».
Del resto “le emozioni ferite” non sono soltanto quelle enigmatiche e apparentemente indecifrabili della vita psicopatologica ma anche quelle della più normale quotidianità, tenute però spesso segrete: sono comunque stati d´animo che chiedono di essere compresi e riconosciuti, dimensioni essenziali della condizione umana, anche forme e modalità della conoscenza – secondo il pensiero moderno.
In questo suo nuovo scavo nell´interiorità, Borgna insiste molto sull´aspetto temporale di ogni singola emozione, di ogni movimento dell´anima. Scrive: «Quando si parla di tempo non ci si riferisce, ovviamente, al tempo dell´orologio ma al tempo soggettivo, al tempo vissuto: il tempo interiore della speranza è il futuro come quello dell´attesa, il tempo interiore della nostalgia e della tristezza è il passato, benché con incrinature diverse, il tempo della gioia è il presente così friabile e così inafferrabile, il tempo dell´ira è il presente dilatato, e deformato, in slanci di aggressività, il tempo dell´ansia è il futuro: un futuro che si rivive come già realizzato nelle ombre dolorose di una morte vissuta come imminente».
A metà tra il saggistico e il letterario, tra il rigore dell´analisi e il virtuosismo del linguaggio, Le emozioni ferite di Eugenio Borgna sembrano il nuovo tassello di un´opera che si presenta sempre più coerente al suo interno, quasi un corpus unico, seppure aperto, un viaggio a tappe nei paesaggi della vita interiore, nei significati profondi della malattia e in certi nuclei psicotici della normalità – nelle condizioni comuni dell´esistenza umana che sfuggono alle classificazioni diagnostiche. Alla soglia dei settantanove anni, ancora “primario emerito” dell´Ospedale Maggiore di Novara e libero docente all´università di Milano, Borgna non ha mai smesso di coniugare certe sue personali inquietudini con i gusti intellettuali dell´umanista idiosincratico all´algore degli specialismi – conoscendo Proust e Tolstoj, Sylvia Plath e Antonia Pozzi, Heidegger e Lévinas almeno quanto Jaspers e Binswanger.
Non si tratta solo di un suo modo di pensare il dolore psichico, ma anche di un suo modo di stare al mondo, ed è in questo connubio che si rintraccia l´assoluta singolarità della scrittura di Borgna, così ostile al grigiore dei tecnicismi, quel piacere di esprimersi in un linguaggio apertamente metaforico, capace di restituire l´intensità degli affetti. Oltre alla competenza professionale dello psichiatra, si coglie la sensibilità acutissima di un uomo estraneo alle varianti intellettuali del cinismo: è intatta la sua passione per l´umanità più sofferente, non si è affatto arresa al disincanto e neppure alle sciatterie culturali di quella psichiatria “organicista”, oggi dominante, che lui non esita a definire barbara.