Probabilmente, il Fondatore affiderà a loro il compito della formazione degli Educatori tutti e da lì verranno i nuovi Educatori di Exodus.
Il Fondatore è don Antonio Mazzi.
Le persone a cui affiderà il compito della formazione degli Educatori sono i giovani che stanno facendo esperienza in tutto il mondo accanto alla povertà.
La loro casa è Educatori senza frontiere.
La casa più grande è Exodus.
Accendiamo fuochi è il rapporto sociale 2007-2008 della Fondazione.
Il frutto più recente di Educatori senza frontiere è Camminammo camminando. Le strade che portano altrove, un personale resoconto dell’esperienza educativa all’estero stilato da Gabriella Ballarini.
Sulla quarta di copertina si leggono le parole di Marina:
«Prima di partire mi hanno detto che avrei potuto portare un solo cerotto e decidere quando usarlo, sapendo che poi avrei lasciato scoperte tutte le altre ferite. Dopo oltre due settimane non l’ho ancora usato, perché i miei compagni di viaggio hanno saputo curare le mie piccole ferite e ora non fa paura cadere. So di potermi rialzare e continuare a camminare.»
Gabriella – che ho avuto l’onore di conoscere agli incontri di formazione di Verona – scrive nella sua Introduzione:
«L’idea è quella di prendervi per mano senza proteggervi. Vorrei raccontarvi che nulla si origina se non viene generato da un minimo di confusione creativa, da una sorta di vertigine inebriante, da una buona dose di coraggio che mai deve ammantarsi di superficialità.
Ma poi il caos viene contenuto e controllato e si inizia a conoscere la strada, complicata, arroccata, ripida: la strada.
Quindi ci serve una mappa, una guida, dei riferimenti. Ci si mette in gioco e nel gioco si approfitta per trovare nuovi modi di comprendere, si creano sinonimi mai usati basati sul conosciuto, parole vecchie che si tingono di novità.
La metafora si evolve e diventa epifania, non uso più la strada per rappresentare qualcosa, trasformo la strada in quello che sto per fare.
E dall’epifania di una strada che diventa vita, aggiungo significato e ritorno alla metafora: la valigia del pellegrino. Da qui sviscero il pellegrinare, l’andare, il porsi un orizzonte fisico e metafisico.
Mi sento però così in alto che ho bisogno di riprendere contatto con il concreto, ho bisogno di “fare piccoli passi”, “piccole cose”. Riscopro il silenzio, lo svelamento, cerco di risalire alle origini, frugo nelle enciclopedie e trovo le radici: incontrare i popoli significa studiarne le strade.
Mi impegno nella scoperta del “talento nascosto”, una ricchezza da coltivare per farla moltiplicare, la povertà è da scoprire, criticamente, mantenendo la propria struttura, uscendo dalla logica della vittima e del carnefice: stare con quello che si ha e cercare di comprendere, senza fretta.
Ormai la partenza è vicina, ho bisogno di raccogliere informazioni, ho bisogno di progettare per avere chiari i miei obiettivi.
Ed è qui che cerco di comprendere il mio ruolo, chi sono, quanto sono disposta a “mettermi al servizio”, quanto sono consapevole del sacrificio, della dedizione, del rispetto e della volontà che devo investire in questo tempo che mi vedrà straniera in un Paese straniero.Analizzo la libertà nel metodo e contestualmente provo a comprendere il metodo nella libertà. Preparo il bagaglio, lo svuoto e lo riempio, lo misuro e mi misuro con chi mi accompagnerà in questo salto, con chi mi sosterrà. Sarò un esempio, ed esempio chiederò.
Attraverso racconti di cronaca e di autobiografia indagherò i labirinti della scrittura: le mie parole da conservare e da condividere, da capitalizzare e da spendere nella ricerca di una pedagogia possibile. Mi preparerò ad un incontro significativo con me stessa, con l’altro, con le Terre che mi troverò ad esplorare.
Non abbandonerò il sogno, cadrò verso l’alto coinvolta dai miei talenti, per raggiungere tutti gli orizzonti immaginabili e pazientemente comporli e scomporli: curiosa e consapevole attraverserò la frontiera.
Cercherò di catturare tutti i mondi possibili attraverso le immagini: sguardo rivolto alle culture che temono il furto dell’anima, ospite, rispettosa dei tempi, dei modi e del mistero delle sfumature.
Partenze e ritorni: mi siedo e mi allaccio le scarpe, per essere pronta al cammino, per essere preparata all’esodo.
Ho portato con me il volumetto di Gabriella Ballarini nel viaggio in Terra Santa. Ho iniziato a leggerlo nel lungo volo verso Israele. Lì, durante la Messa nel Deserto di Giuda e in un altro luogo importante, don Antonio ha parlato di noi – i suoi Educatori – come ‘scartini’, piccoli scarti, evocando, evidentemente, i Vangeli, l’idea che la Chiesa sarebbe stata edificata sulla pietra di scarto. Egli vuole che ci pensiamo come piccoli, di poco peso, di scarso valore (per la società del nostro tempo), ma consapevoli di essere seme che darà messi copiose. Gabriella è uno di questi semi preziosi. L’allusione diretta è alla povertà.
Egli vuole che siamo fedeli alle Beatitudini, soprattutto alla prima. Popolo in esodo dalle schiavitù del tempo, ci pensa impegnati in un lavoro educativo ‘senza frontiere’, proiettati verso la povertà del mondo.
E’ preoccupato, nello stesso tempo, che il nostro sguardo si posi con analoga sollecitudine e mitezza sui nostri fratelli vicini, perché il compito più difficile non è viaggiare, ma camminare insieme qui, nelle nostre case, dove più forte è la tentazione di erigere muri e chiudere il cuore alla comprensione e all’amore dell’altro.