CAMMINARSI DENTRO (88): Continuare a scrivere.

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Continuo a scrivere, con la speranza che, oltre la superficie dell’anima, da cui parlo, un’altra voce prenda a parlare per me e che da quelle profondità riesca a dire quello che so di non aver detto ancora.
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Spasmo o anelito che sia, il moto trattenuto che si fa parola è niente, mero vaneggiamento, quando non iroso contrappunto alle vicende politiche che angustiano. Oltre le angustie, ora. Sì. Questo è già bene, pacificante. A dispetto del bisogno di gridare indignazione e disgusto. Chi mai potrebbe udire i lamenti? Orecchie tali – disposte ad indignarsi insieme a te fino a farsi tuono – esistono ancora? Il tuono spaventa ancora qualcuno? Un altro sentire, allora, si richiede, più raccolto e meno partecipe del frastuono.

Naturalmente, questo non è ‘scrivere’, ma è certo testimonianza di sé, resoconto fedele dei giorni, liberazione di moti dell’anima che aspirano ad ‘esprimersi’ attraverso la parola. Tuttavia, la vasta area del non detto delle emozioni, del non detto della droga, del non detto dell’erotismo resta lì, mai nominata, non indecidibile, nemmeno indecidibile, giacché il non detto non è mai un indecidibile. Per quest’ultimo ci sono parole da trovare, per far esistere la cosa; il non detto, invece, è per definizione uno stato inesprimibile con il linguggio comune.
Se consideriamo, ad esempio, quanto ha saputo vedere Claude Olievenstein a proposito della condizione tossicomanica, grazie alla sua illuminazione della trance tossicomanica, si comprenderà cosa stiamo dicendo. Il ‘tossico’ finisce per desiderare il vuoto che precede l’antico piacere che non c’è più quando sia esaurito l’idillio con le sostanze, quando ormai non prova più alcun piacere e torna alle sostanze solo per non soffrire della mancanza, ma il paradosso della sua esperienza è soggiornare in quell’intervallo, nel tempo che precede la ‘soddisfazione’ di un bisogno ormai impossibile da ‘colmare’.
La mancanza, che è costitutiva del desiderio, assume nell’esperienza tossicomanica valore emblematico, in quanto finisce per essere il ‘luogo proprio’ della condizione di una persona che continua a cercare ciò che sa bene ormai essere negato.
Il silenzio dei tossicomani è nella loro incapacità – nell’impossibilità – di dire quel non detto: è nella natura di non detto che è tipica della droga il fatto che sia impossibile parlarne.

Sul non detto delle emozioni Olievenstein ha scritto per noi pagine definitive, credo. Nella mia ventennale esperienza di contatto quotidiano con tossicodipendenti non ho mai sentito raccontare l’esperienza nella sua compiutezza, e non per ignoranza dei soggetti: ognuno di loro pure ha parlato; io sono stato sempre teso nell’ascolto, per carpire finalmente il segreto di un’esperienza, ma solo leggendo Olievenstein ho compreso quello che mai nessuno aveva saputo raccontarmi.

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