Ci sono persone che sono destinate a non morire mai. Esse restano nel nostro cuore e riscaldano la nostra anima per sempre, accompagnando i nostri giorni con la luce del loro spirito indomito. Il prestigio politico e la dirittura morale sono tali che occorre evocare la loro figura per trovare conforto all’infamia dei nostri tempi.
Giacomo Sperduti è una di queste persone. Ho avuto il privilegio di condividere con lui la lunga esperienza politica dentro il Partito Comunista Italiano, di cui sono stato dirigente per quasi dieci anni, a partire dal 1970, quando presi la tessera di partito e cominciai a leggere il quotidiano l’Unità – cosa che non ho smesso di fare, fino ad oggi.
Ricordo, tra le mille cose belle vissute con lui, le riunioni del comitato Federale – l’organismo dirigente provinciale -, in particolare una, molto animata. In essa, Giacomo addirittura era sotto accusa, per ragioni che non ricordo. Egli si difese con un linguaggio forte. Le sue parole risonavano nella Sala delle riunioni facendo tremare l’aria intorno. Alle accuse personali rispose con argomenti che mi stupirono: non usò riferimenti politici; non accennò a fatti; non invocò idee a sostegno di una tesi. Con viva indignazione gridò: «Io sono l’angelo!». Non disse “un angelo”. Disse proprio “l’angelo”. E continuò: «Sono talmente indifferente al denaro, che mia moglie quando esco di casa controlla sempre che ne abbia con me. Me lo infila in tasca a mia insaputa, per non farmi trovare in difficoltà!». A quei tempi era Sindaco di una città vicina a quella in cui io vivo. Della sua onestà non dubitò mai nessuno. Oggi non c’è più. E’ morto un anno fa. Eppure, nel mio cuore è ben viva l’immagine del professore di Filosofia amato da tutti gli studenti, la casa piena di libri, la compagna fedele di sempre, la vasta cultura, l’umanità discreta e sicura. I principi, le idee, i valori. La sua voce calda e accorata, quando parlava della gente per cui visse sempre.
Io sono l’angelo. Io sono puro, incontaminato; occhio puro, mente sincera; visione salda e sincera; fratello fedele nelle aspre battaglie della vita. Come dimenticare quel grido nell’aria, che risuona ancora dentro di me? Come dire ancora quello che significò negli anni successivi, quando il riflusso nel privato, il terrorismo, le viltà intervennero a spegnere l’entusiasmo degli anni in cui si costruivano certezze economiche per chi non ne aveva mai avute?
Con lui conobbi la stagione che si aprì nel 1969, con l’abolizione delle gabbie salariali. Allora, un nostro carpentiere guadagnava la metà di quello che guadagnava il carpentiere di Ponte Tresa, in provincia di Varese. Ci sembrò giustizia introdurre quella novità.
Oggi, c’è chi chiama giustizia il contrario: l’obiettivo, oggi, è abbassare il salario dei lavoratori meridionali!
Oggi non è tempo di angeli. Imperversano gli sciacalli e altri animali che si nutrono della carne dei morti e che danzano allegramente nelle loro ricche case, al riparo da ogni pericolo: la clava della forza è nelle loro mani. Essi la usano contro i poveri e non solo contro di essi. Non è tempo di angeli. Non è morta solo la pietà, come diceva Pasolini. E’ morta perfino la compassione. C’è un acre odore di morte intorno. Di quello che eravamo, nemmeno il ricordo.