Nel presentare l’opera di Giorgio Agamben in uscita – Signatura rerum. Sul metodo – per i tipi di Bollati Boringhieri, Franco Volpi elenca nella forma breve della recensione le tre figure concettuali illustrate da Agamben in tre illuminanti riflessioni filosofiche: il paradigma, la segnatura, l’archeologia filosofica. Ritorneremo sulla prima e sulla seconda quando potremo disporre dell’opera in volume. Oggi preme indicare nella terza il primum al quale aspira il filosofo tutte le volte che sia mosso dall’imprescindibile esigenza «di risalire oltre ogni immediatezza, di sciogliere ogni punto non tematizzato e oscuro del discorso per riandare fino alla sua origine insormontabile. In questo modo l’originario non rimane un territorio remoto, ignoto e ininfluente, ma, richiamato a noi, si ripercuote continuamente sul nostro presente, che ne deriva, e gli conferisce intelligibilità». Dal momento che questa ‘mossa della ragione’ è «immanente in ogni analisi filosofica», è alla filosofia che occorrerà ricorrere sempre di nuovo per comprendere i problemi del tempo, tutto ciò che si fa problema e soprattutto ciò che si ripropone insistentemente, resistendo ad ogni spiegazione e ad ogni ‘rimedio’.
La riflessione biopolitica di Esposito, assieme a quella di Agamben, in tutti e due i casi erede di quella di Foucault, ci mette di fronte all’origo, a quella ‘nascita’ che ci manca quando cerchiamo il rapporto più chiaro tra le parole e le cose. La questione dell’insicurezza, che ossessiona stato e società dappertutto oggi, trova la sua più chiara formulazione nel paradigma immunitario, cioè nella pretesa di mettere al riparo la società dalla violenza, separando e ‘curando’ severamente il sintomo.