In materia di xenofobia, l’amico amalteo mi ha lasciato questo commento:
«Su questo tema c’è una messa a punto di Giovanni Sartori che ho fatto da molti anni mia:
I nuovi venuti che oggi entrano in Europa entrano in un contesto diversissimo da quello degli immigrati che hanno creato la nazione americana.
Gli Stati Uniti non sono nati come una nazione che ha accolto e assorbito altre nazioni: sono costitutivamente una “nazione di nazionalità”.
Invece gli Stati europei sono oggi nazioni costituite (sia pure con qualche frangia non assimilata come i Fiamminghi, o anche vieppiù ribelle, come i Baschi) che si stanno imbattendo in contro-nazionalità, in immigrazioni sempre più massicce che ne negano l’identità nazionale.
E quindi il precedente americano non ci aiuta ad affrontare il problema.
Gli europei (dell’Ovest) sono preoccupati, si sentono invasi e stanno diventando reattivi.
Razzismo? È un’accusa sbrigativa, superficiale, che generalizza troppo, e che rischia di essere altamente controproducente. Chi viene denunziato come razzista senza esserlo si infuria, e magari finisce per diventarlo davvero. Non dobbiamo generalizzare, ma invece precisare. Lo spettro delle reazioni ai nuovi venuti è vario e complesso. molti casi la reazione è soprattutto difesa del posto di lavoro e del salario. È eminentemente il problema posto dagli immigrati dall’Est (europeo). Poi vengon casi di xeno-paura: un sentirsi insicuri e potenzialmente minacciati. Infine ci imbattiamo in reazioni di rigetto (xenofobia). Ed è solo a quel punto e da quel punto che ci imbattiamo in un vero e proprio razzismo.
In concreto, oggi in Europa la xenofobia si concentra sugli immigranti africani e islamici.
È tutta e soltanto da spiegare come un rigetto di tipo razziale? Sicuramente no.
In termini etnici gli asiatici (cinesi, giapponesi, coreani etc.) non sono meno diversi dai bianchi di quanto lo siano gli africani. E nemmeno gli indiani (che provengono dall’India) sono “come noi”: non lo sono per niente. Eppure né gli asiatici né gli indiani suscitano, di solito, reazioni di rigetto, nemmeno dove sono oramai numerosi (gli asiatici negli Stati Uniti, gli indiani in Inghilterra). Vale anche notare che gli asiatici non si lasciano assimilare più di quanto accada agli africani.
Dal che si deve ricavare che la xenofobia europea si concentra sugli africani e sugli arabi soprattutto se e quando sono islamici. Cioè a dire, si tratta soprattutto di una reazione di rigetto culturale-religiosa. La cultura asiatica è anch’essa lontanissima da quella occidentale, ma è pur sempre laica nel senso che non e caratterizzata da nessun fanatismo o comunque militanza religiosa.
Invece la cultura islamica lo è. E anche quando non c’è fanatismo, resta che la visione del mondo islamica è teocratica e che non accoglie la separazione tra Stato e Chiesa, tra politica e religione. Che è invece la separazione sulla quale si fonda oggi – in modo davvero costitutivo – la città occidentale. Del pari, la legge coranica non conosce i diritti dell’uomo (della persona) come diritti individuali universali e inviolabili; un altro cardine, soggiungo, della civiltà liberale.
E questi sono i veri nodi del problema. L’occidentale non vede l’islamico come un “infedele”. Ma per l’islamico l’occidentale lo è.
Excusez du peu, scusate se è poco.
Giovanni Sartori, Pluralismo multiculturalismo ed estranei, Rizzoli, 2000 (sic: 2000!), pagg. 48-49
Da quel momento ho individuato due principi che mi servono ad orientarmi: “coscienza del limite” (dal pensiero ecologista) , “Reciprocità” (pretendere anche dagli Altri quello che loro pretendono da Noi)».